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La questione rifiuti in Umbria non è risolta. Ci sono linee guida regionali che vanno dall'incentivo alla raccolta differenziata, dove bisogna arrivare al 65 per cento almeno entro il 2012. E poi la chiusura del ciclo. Questa seconda parte è delicata: c'è chi sostiene la termovalorizzazione e chi invece su nuove tecnologie o addirittura la grande scommessa di rifiuti zero. Ieri sera a Ponte della Pietra di Perugia oltre 80 tra cittadini, tecnici regionali e dell'Arpa, hanno assaggiato la proposta di Rifondazione Comunista sul piano dei rifiuti. Una proposta concreta, non ideologica, ma soprattutto in grado di poter dare delle risposte sia sul piano dello smaltimento che su quello della salute. Rossa Gattucci responsabile del procedimento per il Prc ha spiegato alla platea due capisaldi del progetto amministrativo di Rifondazione Comunista: 1) Per ottenere velocemente buoni risultati di differenziazione è necessario un contributo decisivo degli utenti. Questa collaborazione diventa più agevole se si introduce nel sistema un metodo di incentivazione e quindi di una tariffazione puntuale che vada a premiare coloro i quali differenziano. La raccolta porta a porta con l’uso della tecnologia RFID; questo permetterebbe di stabilire chi ha conferito il differenziato e la quantità di materiale depositata e quindi l’applicazione di tariffazioni precise. L’RFID è una tecnologia già in uso per altre attività che potrebbe essere considerata un codice a barre di tipo avanzato. Inoltre questo semplice apporto tecnologico permetterebbe di poter tracciare i rifiuti, in particolare i tossico/nocivi, dalla loro produzione fino al loro destino finale. La tracciabilità dei rifiuti è uno dei punti irrinunciabili di un serio progetto di gestione dei rifiuti; senza di essa non si potrebbe applicare una corretta tariffazione e, soprattutto, non si potrebbe esercitare un controllo sui materiali pericolosi che spesso la cronaca ci dice dispersi in modo arbitrario e incontrollato. 2) Per rafforzare l’intera operazione di raccolta differenziata merita un accenno la modalità di trasporto di tale materiale. Questa fase dovrà prevedere una raccolta e un trasporto non distruttivo in modo da non disperdere il differenziato e rallentare così l’intero processo. Inoltre, i mezzi di trasporto dovranno rispettare le nuove normative sulle emissioni; in particolare, nei centri urbani si propone l’uso di veicoli piccoli alimentati elettricamente. In relazione a quanto detto, possiamo ipotizzare due diverse architetture di gestione: una per la gestione del differenziato e l’altra per la parte di rifiuti indifferenziati. Inoltre, questa modalità di diversificazione tra le due tipologie di RSU renderebbe il procedimento conforme alle disposizioni del DLgs 152/2006 (Codice dell’ambiente) per quanto riguarda gli obblighi previsti per le aziende che gestiscono i rifiuti tal quali. 3) Per una buona gestione del differenziato si propone l’attuazione di parchi della valorizzazione dei materiali con gestione pubblica e privata. Tali realizzazioni sarebbero i contenitori delle filiere per il trattamento e la commercializzazione delle materie prime recuperate dai rifiuti (carta, legno, plastiche, vari metalli, ecc.). Essi darebbero luogo a diversi vantaggi: permetterebbero il recupero delle aree di discarica inutilizzabili, avvierebbero un interessante incremento occupazionale e delle professionalità, darebbero impulso alla ricerca finalizzata a un ulteriore potenziamento tecnologico. In altre parole, si otterrebbe uno sviluppo di tutta una filiera industriale, con un’attività di ricerca che trova il naturale sbocco nel lavoro specializzato e nell’occupazione di qualità. Per quanto riguarda il destino di quel 35% di rifiuti che rimane alla fine del ciclo, si propone uno smaltimento qualificato. La conseguenza di un livello di raccolta differenziata che superi, nel medio periodo, le percentuali previste e si attesti intorno ad un 75%, è di fatto il superamento di un’impiantistica di tipo termico, per così dire, tradizionale. Faccio riferimento alla termovalorizzazione, una tecnologia ormai obsoleta ed economicamente non sostenibile alla luce di un progressivo calo del rifiuto indifferenziato e della autosufficienza regionale. Sulla base di quanto detto, avanziamo la proposta di una impiantistica leggera, controllata e partecipata dalle realtà locali, dislocata sui territori in base alle diverse esigenze locali e dimensionata su base regionale. La proprietà di tali impianti dovrà essere pubblica o mista, cioè pubblica e privata. La chiusura del ciclo, dunque, implica la predisposizione di un bando pubblico a carattere europeo in grado di garantire economicità e trasparenza, adeguata valenza tecnologica e caratura degli impianti alle esigenze del territorio. L’impianto dovrà essere scelto da un tavolo tecnico, composto da esperti, appositamente predisposto dagli organi regionali e dovrà rispettare parametri di flessibilità tali da permettere il suo uso in un arco temporale che vedrà man mano ridursi la quota di rifiuti indifferenziati da trattare e, di converso, sorgere la necessità di smaltire solo i rifiuti pericolosi. Quindi, alla fine, se l’intero sistema di gestione dei rifiuti da noi proposto fosse adottato, questi impianti leggeri avrebbero il compito residuale di smaltire esclusivamente i rifiuti tossico-nocivi, per i quali, anche in un sistema ideale “rifiuti zero”, si dovrebbe comunque prevedere una qualche forma di smaltimento. Condividi