treni-rotaia.jpg
di Daniele Bovi Sono 14 milioni le persone che, secondo il Censis, si spostano ogni giorno per motivi di lavoro o studio verso le principali città - un processo esploso negli ultimi due decenni e in rapida e costante crescita - eppure gli investimenti per il servizio ferroviario pendolare da parte dello Stato sono fermi da anni. Nell'ultima finanziaria, tanto per fare un esempio, mancano all'appello qualcosa come 400 milioni di euro. Lo Stato dunque investe le briciole, le Regioni fanno altrettanto. Risultato: il servizio ferroviario pendolare è allo sbando. Alle carrozze vecchie e sovraffollate, ai ritardi e ai disagi che spesso caratterizzano il viaggio in treno dei pendolari si aggiunge ora il rischio concreto di veder tagliare diverse linee. Manca perfino il nuovo orario, quello che dovrebbe entrare in vigore il 14 dicembre e che per la prima volta Trenitalia non ha stampato perché tuttora non in grado di stabilire quali e quanti mezzi ci saranno a disposizione. Come è possibile che a fronte di un sostanzioso aumento della domanda pendolare, i servizi diminuiscano? Come si spiegano i quotidiani disagi di chi si muove in treno verso le principali città italiane? Più che un rapporto, quello presentato ieri da Legambiente è un vero grido di dolore che riguarda il trasporto ferroviario dei pendolari. Ventisei pagine di grafici e tabelle dove, tra le tante cose, emerge anche come le regioni spendano per questo settore al massimo lo 0,4 per cento del bilancio. La ciccia, la parte più sostanziosa del bilancio, se ne va per le strade. La spesa regionale per le infrastrutture infatti, ha visto premiare nel periodo 2002-2008 per circa l'84% gli investimenti a favore delle strade, mentre alle ferrovie e alle metropolitane sono stati destinati rispettivamente il 10,57% e il 5,53% del totale. Come ne esce l'Umbria dal rapporto di Legambiente? Per quanto riguarda gli stanziamenti sul bilancio regionale (fatti da spese per il servizio e per il materiale rotabile), la nostra regione spende lo 0,08 per cento del bilancio. Pochino, sicuramente meglio dello zero carbonella di Molise, Calabria e Sardegna. Comunque lontano dalla vetta, dove c'è la Toscana, con un tuttavia modesto 0,38 per cento. “I dati della tabella – dice lo studio - costringono a trarre una conclusione amara: uno degli obiettivi alla base della riforma Bassanini e del trasferimento dei poteri alle Regioni, ossia legare al potere di controllo l’apporto di investimenti per il miglioramento del servizio, è fallito”. Alla voce “Spesa delle regioni per il servizio”, sulla casella dell'Umbria, per gli anni che vanno dal 2001 al 2007, è stampato uno zero. Sempre nello stesso arco di tempo invece, le penali applicate dalla regione a Trenitalia per violazioni del Contratto di servizio sono state pari a 780mila euro. E qui lo studio sottolinea un punto interessante: “E’ paradossale ma in alcune situazioni le penali applicate per carenze rispetto a quanto previsto nel contratto di servizio hanno superato gli stanziamenti (in Piemonte, Puglia, Basilicata, Emilia Romagna, Umbria, Lazio) come se le risorse per migliorare il servizio possano venire dalle casse vuote delle ferrovie italiane”. Come già accennato in precedenza la maggior parte della “ciccia” va a finire per le strade, e anche il cuore verde d'Italia non si discosta dal dato generale. Tra il 2003 e il 2008 i finanziamenti per le arterie viarie sono ammontati a 107 milioni, contro i 5 milioni e 480mila euro destinati alle ferrovie. Il 95 per cento delle risorse cioè, viene assegnato alle strade. Tra il 2001 e il 2008 poi, sottolinea Legambiente, l'Umbria ha stanziato zero euro per aumentare il numero di treni/km, mentre ha speso quasi 20 milioni per l'acquisto di nuovi treni. Buona invece, secondo l'associazione, l'istituzione nella regione di una Consulta dei pendolari. Al seguente indirizzo il rapporto completo: http://www.legambiente.eu/documenti/2008/1022_pendolaria09/pendoalriaOK.pdf Condividi