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MILANO - L'indagine sulla forza espressiva della materia, portata avanti per tutta la vita da Alberto Burri, viene ripercorsa in una mostra inaugurata oggi alla Triennale, dove rimarra' fino all' 8 febbraio. Come ha sottolineato il presidente della Triennale Davide Rampello, questa rassegna vuole essere anche una dovuta riparazione a Burri, che nel 1989 aveva espresso l'intenzione di non esporre piu' a Milano, offeso dalla rimozione del suo 'Teatro Continuo' a scene mobili, eretto nel Parco Sempione. Alberto Burri (Citta' di Castello 1915 - Nizza 1995) era un medico che aveva deciso di darsi all'arte durante i suoi due anni di prigionia in un campo di concentramento del Texas, nel corso della seconda guerra mondiale. Tornato in patria, la sua fama esplose a livello internazionale gia' all'inizio degli anni Cinquanta, quando espose i suoi celebri 'sacchi': autentici sacchi di juta adoperati e pertanto disfatti, ricuciti, rattoppati, macchiati. Come sempre per il nuovo nell'arte, all'inizio avevano anche scandalizzato, ma poi la loro grande espressivita' aveva vinto. Burri aveva poi proseguito la sua ricerca con altri materiali: fu la volta dei legni combusti, delle plastiche erose da fiammate, lamiere saldate a fuoco, catrami, muffe, forme di cellotex (materiale industriale formato da particelle di segatura e colla, ndr.), cretti, fino ad un ritorno ai colori puri, assemblati in forme diverse su grandi superfici. Tutti questi passaggi sono ben documentati in questa mostra, dove sono state esposte proprio le opere dei vari periodi che lo stesso Burri aveva scelto e lasciato alla Fondazione di Citta' di Castello a lui intitolata, perche' fossero esposte in mostre future, senza che vi fosse bisogno di spostare quanto conservato in collezioni pubbliche e private di tutto il mondo. Una sezione della rassegna e' inoltre dedicata alle scenografie create dall'artista per diversi spettacoli teatrali. Condividi