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di Isabella Rossi Ieri alla Sala della Vaccara di Palazzo dei Priori Ritanna Armeni, giornalista e scrittrice, conduttrice insieme a Giuliano Ferrara fino all’anno scorso di 8 e mezzo, su la7, ha presentato “Prime Donne”, il suo ultimo libro edito da Feltrinelli. “In una società sempre più a misura di donna, perché le porte dei palazzi del potere rimangono chiuse?” si è chiesta la giornalista. Durante l’analisi sono venute a galla riflessioni interessanti che ribaltano in parte gli stereotipi a cui siamo abituati. Nelle grandi democrazia l’accesso delle donne a cariche politiche rilevanti, ha illustrato l’Armeni, avviene per cooptazione. In occidente la partecipazione politica delle donne passa per la cooptazione maschile Sono gli uomini nelle segreterie dei partiti a selezionare le donne. Questo è avvenuto anche in Spagna e in Francia, che vantano nei Consigli dei Ministri importanti presenze femminili mentre l’Italia è un paese dove “neanche per opportunismo si mettono le donne in parlamento”. Il meccanismo della cooptazione è continuazione di un fenomeno del ‘900, secolo in cui le donne al potere erano in qualche modo strettamente collegate alla vita di un politico, padre o marito, tanto da essere considerate e sentirsi, una volta al potere, quasi una sua appendice. Paradossalmente nei paesi meno sviluppati le donne sono maggiormente al potere come dimostrano Rwanda e Mozambico, mentre le grandi democrazie dell’occidente non riescono a rompere il tetto di vetro. E qual’è il perché di questa opposizione anche in Italia, si è chiesta l’autrice. La paura delle donne ha sicuramente un ruolo importante, ma tra le risposte plausibili e le spiegazioni fornite una pare centrare il problema. Più donne, meno corruzione E’stato provato che il livello di corruzione è inversamente proporzionale al numero di seggi occupati dalle donne. Secondo la Banca mondiale, infatti, l'accesso delle donne a risorse ed istruzione comporta una diminuzione della corruzione ed un'accelerazione della crescita economica. Viene da chiedersi, dunque, perché nel nostro paese dove è indispensabile una crescita economica e una diminuzione della corruzione sia così difficile aumentare la presenza femminile in Parlamento. Che il timore sia proprio quello che una massiccia presenza femminile potrebbe in qualche modo ostacolare gli oliati meccanismi di potere? Chissà, forse solo un pregiudizio, sebbene positivo. Ma una ragione per escludere le donne, del resto, si trova sempre. Ségolène versus Obama Per Hillary e Ségolène, ad esempio, la stampa sotto controllo patriarcale ne ha trovati diversi di motivi di matrice estetica e caratteriale, ha rilevato la giornalista nella sua inchiesta. Il paradosso è che i difetti di Ségolene sono diventati i pregi in Obama. Poi però esistono anche i pregiudizi dell’altra metà del cielo, o meglio della maggioranza degli elettori che, sembrerà strano, è femmina. Vittime dei pregiudizi maschili non sono solo gli uomini, ma per quanto difficile da accettare, soprattutto le donne. Le italiane non osano Per questo ribadisce l’Armeni, “Donne non si nasce ma si diventa”. Le donne italiane, ad esempio, non hanno il coraggio di rischiare. Non osano in politica, a parte rare eccezioni. Grossi ostacoli culturali si frappongono ad una maggiore partecipazione politica femminile. Ostacoli che a volte paiono insormontabili. Ecco perché Ritanna Armeni ha cambiato idea sulle quote rosa. Le ritiene, cioè, indispensabili per attuare quel grosso processo di cambiamento necessario al nostro paese. In Italia, infatti, la questione delle donne è una questione di democrazia. E non solo in Italia. Il mondo è vittima di una grossa crisi finanziaria, ma non c’erano donne nella stanza dei bottoni. Stessa cosa per l’Ambiente. Intanto, in Islanda, per la ricostruzione del sistema finanziario, messo in ginocchio dal crollo delle banche, il governo di Reykyavik ha scelto due donne. Le due signore sono state messe a capo delle due banche nazionalizzate dallo stato islandese. Gli uomini fanno confusione e poi arrivano le donne a rimettere a posto, ha spiegato il governo in un comunicato. Condividi