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di Isabella Rossi Racconti, novelle, ghost stories, romanzi polizieschi, romanzi storici. Una narrativa che recepisce la grande lezione del postmodernismo, facendo incontrare e contaminare fra loro mystery, romanzo storico e del racconto di introspezione psicologica. Una carriera che a Ben Pastor, in otto anni di fermento artistico, ha tributato non solo il riconoscimento del pubblico americano primo destinatario dei suoi romanzi poi tradotti in molte altre lingue, ma anche un premio italiano: il premio Saturno d'oro come miglior scrittrice di romanzi storici. Scrittrice sì. Perché dietro a quello pseudonimo che suona po’ ambiguo, (Ben come abbreviativo maschile o femminile, ndr) si nasconde una donna, un’italiana addirittura. Maria Verbena Volpi nasce a Roma, nel 1950 e dopo la laurea in lettere con indirizzo archeologico all’Università la Sapienza di Roma, si trasferisce negli Stati Uniti dove sposa un americano creolo, francese e spagnolo della Luisiana. Da lì il nome Pastor, mentre Ben è tratto da Verbena che compone il suo nome all’anagrafe statunitense: Verbena Volpi Pastor, appunto. Al suo attivo 11 romanzi in otto anni, l’ultimo edito da Frassinelli il cui titolo italiano è “La voce del fuoco”. Eh sì perché non si sorprenda nessuno se tutti i romanzi di Ben Pastor nascono in americano. Docente presso le università dell'Ohio e dell'Illinois attualmente Verbena insegna Scienze sociali presso il Vermont College delle Union University. Agli Stati Uniti la lega un rapporto strettissimo e anche la lingua, chiarisce l’autrice, che è fluida come il latino e si presta perfettamente ad essere utilizzata nella sua scrittura. Durante l’incontro di sabato scorso al teatro Clitunno di Trevi, Ben Pastor parla di noir e di storia. Capelli cortissimi, tratti delicati, fisico minuto in un completo in tartan scozzese, omaggio all’icona del giallo, l'autrice impersona perfettamente lo spirito dell’investigatrice curiosa ed attenta, in realtà un personaggio che oltre ad aver superato i confini nazionali sembra sfuggire anche alla dimensione del tempo. La sua è una scrittura che secondo lei trasmette una prospettiva femminile? La mia scrittura non è da considerarsi femminile e in un certo modo non c’è una prospettiva femminile che emerge, ma scrivendo sono una persona, e le connotazioni maschile e femminile si perdono. Scrivendo di crimini la prospettiva, dunque, è quella di un’istanza superiore che non può ridursi ad una singola identità. Qual è il suo lettore tipo in Italia? Nel 65% sono donne nella fascia di età dai 40 ai 45 anni. E negli Stati Uniti? Sono in maggioranza uomini. La sua identità è oramai conosciuta, questo ha creato problemi al pubblico statunitense? No, affatto. In alcuni blog dove si parla dei miei romanzi ho letto commenti del tipo, “nonostante sia donna sa di cosa parla”. Che cosa avvicina le donne all’investigazione? Secondo me le donne hanno un sesto senso, un sentire profondo, quasi fisiologico, che ispira una forma di curiosità radicale. Credo che ci interessino molto meno alcuni aspetti legati al potere. Quello che conta per noi è nel nostro profondo, quindi la vita, gli affetti, i valori importanti e meno la brama di successo. Nell’intimo delle donne c’è questa capacità aristocratica che ci permette di scegliere le cose più importanti. Condividi