Zelensky mette al bando la Chiesa (di Fulvio Scaglione)
Zelensky mette al bando la Chiesa che ha più fedeli in Ucraina. Nasce la spiritualità di Stato
L’Ucraina ha molti sfruttatori, qualche alleato e pochissimi amici. Solo così si spiega l’imbarazzo sterile con cui viene data, in Occidente, una notizia che dovrebbe invece destare indignazione e, soprattutto, preoccupazione per il futuro del Paese. Ci riferiamo alla messa al bando della Chiesa ortodossa russa che, almeno fino a qualche tempo fa, veniva chiamata tale con l’aggiunta Patriarcato di Mosca, per indicare il riferimento canonico.
Denominazione utile anche a distinguerla da altre due Chiese ortodosse ucraine: la Chiesa ortodossa dell’Ucraina-Patriarcato di Kiev (fondata nel 1992 dal metropolita Filarete, in dissenso dal Patriarcato di Mosca) e la Chiesa ortodossa autocefala ucraina, ristabilita nel 1990 poco prima della caduta dell’Urss, essendo stata fondata nel 1921, sciolta nel 1936 a causa delle pressioni sovietiche (molti suoi esponenti si trasferirono negli Usa, ragion per cui è stata a lungo chiamata Chiesa ortodossa ucraina in esilio), ricostituita nel 1942-1944 durante l’occupazione nazista e poi ricostruita alla diaspora dalla vittoria dell’Armata Rossa.
Questo bigino di storia ecclesiale dell’Ucraina era necessario perché nel 2018 le due Chiese citate, di gran lunga minoritarie in Ucraina, su iniziativa soprattutto del presidente Petro Poroshenko hanno attuato in “Concilio di riconciliazione” che ha prodotto la Chiesa ortodossa dell’Ucraina, subito riconosciuta (2019) dal patriarca ecumenico Bartolomeo come Chiesa autocefala. L’idea di Poroshenko era, ovviamente, di farne l’unica vera Chiesa ucraina, con un’operazione di politica ecclesiale di cui i fedeli non sembravano sentire gran bisogno ma che ovviamente serviva in funzione nazionalista e antirussa.
L’operazione di Poroshenko è, in buona sostanza, fallita. La Chiesa ortodossa russa è continuata a essere largamente maggioritaria per numero di fedeli e parrocchie (8 mila contro le circa mille della Chiesa rivale nata nel 2018), nonostante che dal 2022 a oggi si siano intensificate requisizioni, perquisizioni, espropri, assalti seguiti con occhio indifferente dalle autorità, a tratti vere persecuzioni. La Chiesa “di Mosca” era stata bloccata nelle regioni di Khmelnytskyi, Leopoli, Volyn, Ternopil, Rivne, Vinnytsia, Zhytomyr e Transcarpazia. Nell’area di Kiev era stata bandita con una decisione del Consiglio regionale e anche il Consiglio comunale di Zaporizhzhia aveva votato una decisione simile. A poco era valso che metropoliti e vescovi facessero notare che la Chiesa si era dichiarata indipendente da Mosca subito dopo l’invasione russa e che la dichiarazione di fedeltà al patriarca Kirill era stato espunto dalle liturgie.
Il caso più clamoroso è stato quello della Pecerskaja Lavra (il famoso Monastero delle Grotte di Kiev), culla secolare della spiritualità ortodossa e da tempo immemore curato della Chiesa ortodossa russa. Già nel Natale del 2022 la celebrazione delle liturgie passò alla Chiesa ortodossa dell’Ucraina finché, nell’estate del 2023, i monaci della Chiesa ortodossa russa furono espulsi dalla struttura, che di diritto appartiene allo Stato ucraino.
L’idea, ovviamente, è che la Chiesa ortodossa russa sia una quinta colonna del Cremlino. È tutt’altro da escludere che ci siano presbiteri sensibili al richiamo del Cremlino: sono stati aperti più di cento procedimenti penali e un metropolita è stato condannato 5 anni di carcere per “collaborazionismo”, sempre ammettendo che si tratti di inchieste e processi tutti perfettamente regolari. Ma restano due fatti inoppugnabili: la grande maggioranza dei sacerdoti della Chiesa ortodossa russa in Ucraina sono ucraini; e la grande maggioranza dei loro fedeli sono ucraini anch’essi. La legge che mette al bando la Chiesa ortodossa russa d’Ucraina sembrerebbe quindi credere che moltissimi ucraini siano al servizio della causa russa o, almeno, incapaci di intendere e di volere.
Nella realtà, e a dispetto delle dichiarazioni di Zelensky che parla di “liberazione spirituale” per il popolo ucraino, questo voto del Parlamento va nella stessa direzione di altri provvedimenti: dalla messa al bando dei partiti di opposizione al canale unico televisivo di Stato alla creazione di un ente di Stato incaricato di controllare i media. Fino a quello che con ogni probabilità sarà il prossimo: la messa al bando di Telegram, considerato canale informativo troppo poco controllabile dal Governo. Tutto, ovviamente, in nome della sicurezza nazionale e della necessità di sventare le indebite influenze russe.
Di fatto, all’osservatore si aprono due strade. Una, è credere che l’Ucraina sia piena di spie e agenti del Cremlino. Nella Chiesa ma anche nell’esercito, nella magistratura e nei servizi speciali, regolarmente sottoposti a “purghe” che ne hanno decimato in ranghi e hanno investito, nel tempo, anche antichi collaboratori di Zelensky come l’ex capo dell’SBU Bakanov o l’ex procuratrice generale Venediktova.
Oppure (e qui si spiega l’imbarazzo di cui dicevamo) che Zelensky stia neppur troppo lentamente costruendo in Ucraina un regime personale. E l’inclinazione a governare per provvedimenti emergenziali, legati a vere o presunte questioni di sicurezza nazionale, da parte sua non è nuova ma, al contrario, risale all’ultimo anno prima della guerra. Quando i provvedimenti venivano decisi dal Consiglio nazionale di sicurezza e di difesa e poi disciplinatamente ratificati dalla maggioranza parlamentare di Servo del popolo. Partito in cui, forse, qualcuno sta avendo dei ripensamenti. Il bando alla Chiesa ortodossa russa è passato in Parlamento con 265 sì sui 450 seggi totali. Di quei 265 si, 173 sono venuti dal partito zelenskiano Servo del popolo (accanto a tre no), che in realtà dispone di 233 seggi. Altri 24 voti contrari sono venuti da partiti minori.
Dopo il voto, l’ex presidente Petro Poroshenko è intervenuto in aula per manifestare tutta la sua esultanza per il provvedimento appena adottato. “Il motto esercito, fede e lingua è diventato politica dello Stato”, ha esclamato, richiamando lo slogan che aveva animato la campagna elettorale, perdente, condotta nel 2019 contro Zelensky. Ha ragione. Perché sul tema della religione (come pure su quello dell’esercito e della lingua) Zelensky, allora, gli dava contro. Salvo poi sposare, per convenienza politica, la linea di quello che descriveva (giustamente) come un oligarca dalle tendenze autocratiche.
In questa circostanza, peraltro, prendiamo atto dell’ennesimo silenzio dell’Unione Europea. Che del rispetto dei diritti religiosi e di quelli delle minoranze ha fatto uno dei suoi acquis.
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