di Maria Pellegrini.

La luna ha ispirato fin dall’antichità storie fantastiche dettate dal desiderio di raggiungere ed esplorare quell’astro che illumina le nostre notti. Nella ricorrenza della grande avventura dell’uomo che ha posato piede sulla superfice lunare per la prima volta cinquant’anni fa (1969), vogliamo ricordare un bizzarro viaggio raccontato in un’opera dal titolo “Storia vera”, il romanzo più fantasioso che la Grecia antica abbia prodotto. L’equipaggio, formato da cinquanta viaggiatori, va incontro a molte avventure e arriva perfino sulla Luna.

L’autore, Luciano di Samosata (125-180 ca.), siriano di nascita ma greco di lingua e di cultura, di ingegno versatile e vivace, è il tipico prodotto della Seconda Sofistica, corrente filosofica e letteraria greca sviluppatasi in Asia Minore tra la fine del I e il II secolo d. C. Gli esponenti di questo movimento si dedicano allo studio della retorica e all’esercizio dell’eloquenza, ma rispetto agli sofisti del suo tempo Luciano ha una spiccata vocazione satirica e una ricca fantasia. È curioso il fatto che tra le ottanta opere (tra spurie e autentiche) che compongono il “corpus” degli scritti di Luciano, la maggior popolarità sia toccata alla “Storia vera”, narrata in un susseguirsi di situazioni, luoghi e personaggi surreali, nati dalla fantasia di un autore che esprime un genuino ed irresistibile piacere di narrare.

Il titolo dell’opera rivela l’intento parodico come si evince dal prologo quando la voce narrante, da identificare con Luciano stesso (il racconto è narrato in prima persona) afferma che ha raccontato una storia fantastica per divertire e confessa al lettore: «sia chiaro che scrivo di luoghi mai visti e di fatti mai capitati a me e neppure riferiti da altri». L’autore ammette la totale falsità di ciò che sta narrando anche «per sfuggire al biasimo dei lettori».

Luciano, prendendo spunto dal mito di Odisseo che, dopo il suo ritorno a Itaca, decide di oltrepassare le Colonne d’Ercole, fa partire proprio da questo luogo, limite del mondo allora conosciuto, i personaggi del suo racconto fantastico, decisi ad avventurarsi alla volta di luoghi lontani per conoscere gli usi e i costumi delle popolazioni d’oltreoceano.

Appena la nave salpa, l’equipaggio è colto da una tempesta di vento che lo sballotta per settantanove giorni finché all’ottantesimo, quando il mare si placa e i naviganti riescono a sbarcare su un’isola misteriosa, visitata in tempi antichissimi da Dioniso. Il passaggio del dio l’ha trasformata: è attraversata da un fiume di vino dove vivono pesci che ne traggono il colore e il sapore: chi li mangia prova gli effetti di una ubriacatura. Tra la ricca vegetazione ci sono viti che hanno una forma stranissima: sono donne nella parte superiore, dalla punta delle loro dita nascono tralci carichi di grappoli, al posto dei capelli hanno foglie e uva: chi le bacia si ubriaca e cade a terra come in delirio. Se un uomo si avvicina e le abbraccia rimane attaccato a loro, non riesce a liberarsi e si trasforma in un tronco di vite da cui germogliano tralci e grappoli, come capita a due compagni di quel viaggio.

Lasciata quest’isola la nave è travolta da un tifone e sollevata in aria atterra sulla superficie lunare. Diamo la parola al racconto di Luciano:

«Verso mezzogiorno un improvviso turbine roteò la nave, e la sollevò quasi tremila stadii in alto, ma non la depose sul mare: così sospesa in aria, la portava un vento che gonfiava tutte le vele. Sette giorni ed altrettante notti corremmo per l’aria: nell’ottavo vedemmo una gran terra nel cielo, come un’isola, lucente, sferica, e di grande splendore. Avvicinatici ed approdati scendemmo; riguardando il paese, lo trovammo abitato e coltivato. Di giorno non vedemmo niente da là; ma di notte ci apparvero altre isole vicine, alcune più grandi, altre più piccole, del colore del fuoco, e un’altra terra giù, che aveva città, fiumi, mari, selve, e monti: pensammo fosse la Terra che noi abitiamo».

Messo piede sulla Luna comincia la rassegna delle creature più fantastiche e sorprendenti e le abitudini più strane che uno scrittore dell’antichità abbia potuto immaginare: i loro abitanti non nascono dal ventre delle donne ma dal polpaccio dei maschi. Quando diventano vecchi, non muoiono, ma si dissolvono in fumo e diventano aria. Sono tutti calvi e guardano con disgusto chi ha i capelli, la loro pancia ha la funzione di una borsa-contenitore dove ognuno ripone tutto ciò di cui ha bisogno, si nutrono del fumo che esalano rane arrostite, non hanno bisogni naturali, portano sul deretano un lungo cavolo a mo’ di coda, trasudano un sudore simile a latte e quando si soffiano il naso esce miele. I loro occhi sono mobili e intercambiabili, per orecchie hanno foglie di platano. Ma c’è ancora molto di cui meravigliarsi: i ricchi indossano tuniche di cristallo, i poveri quelle di rame.

Nel palazzo del re della Luna si trova uno specchio in fondo ad un pozzo, che funge da telescopio e permette di osservare la vita sulla Terra nei minimi dettagli. Citiamo il passo della “Storia vera” dove è descritto:

«Anche un’altra meraviglia ho visto nel palazzo reale: uno specchio grandissimo, che sta sopra un pozzo non molto profondo. Se uno discende nel pozzo, sente tutto quello che si dice presso di noi sulla terra, ma se solleva lo sguardo verso lo specchio, vede tutte le città e tutti i popoli come se si trovasse in mezzo a essi: allora anche io vidi miei parenti e tutta la mia patria, ma se anche quelli vedessero me, non posso affermarlo con certezza, ma chi non crede che queste cose stiano così, se un giorno verrà anche lui qua, saprà che dico il vero».

Presto la compagnia è catturata dagli ippogrifi, uomini che vanno sopra grandi grifi, come su cavalli alati: i grifi sono grandi, hanno tre teste e penne più lunghe e più massicce dell’albero d’un galeone. Portati al cospetto del re Endimione, i prigionieri lo trovano impegnato in preparativi per una guerra contro il re del sole, Fetonte: entrambi vogliono conquistare Vespero (Venere). La battaglia avrà luogo il mattino successivo, e i nuovi arrivati vi partecipano al fianco degli abitanti della Luna.

Questa “guerra stellare” è combattuta da guerrieri improbabili, tra i quali alcuni armati di funghi come scudi, e gambi di asparagi come lance, altri cavalcano pulci grandi come dodici elefanti, altri ancora equipaggiati in modo stranissimo. Purtroppo vince l’esercito del Sole. Luciano e i suoi compagni, che hanno combattuto alleati con gli abitanti della Luna, sono fatti prigionieri e portati sul Sole ma presto liberati. Nonostante Endimione cerchi di trattenerli con sé promettendogli grandi onori, essi decidono di tornare sulla terra, ma le avventure non sono finite. La nave nel viaggio di ritorno viene inghiottita da un balena di mille e cinquecento stadi di lunghezza. Ma ora non è il momento di narrare quello che accade all’interno della balena, possiamo soltanto ricordare che all’interno si troveranno, insieme a tanti altri personaggi, anche un padre e un figlio. Non viene alla mente la storia del nostro Pinocchio?

Essendo un precursore del tema classico del viaggio immaginario, “La storia vera” ha influenzato la fantasia di altri autori ,come Ariosto nell’“Orlando Furioso”, Swift nei “I viaggi di Gulliver”, Verne nelle “Ventimila leghe sotto i mari”, Collodi con “Le avventure di Pinocchio” e anche autori di libri di fantascienza.

La descrizione del viaggio sulla luna è naturalmente un’invenzione, ma è importante considerare che Luciano e i suoi contemporanei mostrano di aver del tutto superato l’idea della luna come divinità, e la vedano un astro del cielo sul quale un giorno l’uomo sarebbe realmente sbarcato, ma ciò era impossibile prevederlo.

Nota: l’immagine rappresenta il cratere lunare dedicato a Luciano di Samosata

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