Ursula, la guerra e il welfare (di Stefano Fassina)
L’URSULA “reloaded” ALIMENTERÀ LA GUERRA E ROVINERÀ IL WELFARE
Le famiglie politiche nobili di Strasburgo, senza lasciare entrare “i barbari”, con il Sì alle linee guida esposte dalla neo-presidente Von der Leyen e alla risoluzione sulla “Necessità di un sostegno continuo dell’Ue all’Ucraina”, votata anche dai Conservatori il giorno prima, confermano la funzionalità dei principali governi dell’Unione al disegno pericolosissimo, sostanzialmente bipartisan, di Washington, di cui la guerra ai confini europei è, oggi, il più rilevante campo di gioco: la ricostruzione di un ordine internazionale da “guerra fredda” in funzione anti-cinese. Lo ha argomentato bene Barbara Spinelli. In sostanza, si chiarisce quanto aveva intravisto Wolfgang Streeck, Direttore emerito dell’Istituto Max Plank di Colonia, nel suo libro del 2022 (Globalismo e democrazia, Feltrinelli): “Al governo dei tecnici e del mercato, si aggiunge o si giustappone il dominio della guerra, una polemocrazia di fronte alla quale l’Ue dovrà mettere da parte le sue ambizioni quale ‘potenza pacifica’ e ‘progetto di pace’. In cambio il suo ruolo diverrà quello di una sottodivisione civile della Nato, di base economica, con la funzione di rendere i suoi nuovi membri economicamente capaci e pronti a partecipare alle operazioni globali dell’Occidente a trazione statunitense”.
Insomma, le migliori classi dirigenti europee, invece di valorizzare la natura distintiva del Vecchio Continente come ponte tra Ovest e Est e tra Nord e Sud del Mediterraneo, si fanno ancelle atlantiche e negano la ragione fondativa del cammino di integrazione tra i popoli europei devastati dalla Seconda guerra mondiale. Allora, nonostante il contesto ben più arduo, partiti e personalità democristiane e socialiste esprimevano autonomia culturale e politica. Ora, gli eredi sono interpreti rassegnati della politica come amministrazione.
In tale quadro si spiega la nomina della premier estone, Kaja Kallas, a Ms Politica estera e di sicurezza comune, profilo antitetico a qualsivoglia tentativo negoziale con il Cremlino, sostenuta anche dai socialisti in cambio di una carica ornamentale (il presidente del Consiglio Ue). Si spiega anche la ribadita priorità dell’ulteriore allargamento a Est e Balcani, nonostante l’impraticabilità politica della riforma dei Trattati europei e l’indisponibilità alla correzione del mercato unico, primario fattore di svalutazione del lavoro ma ideologicamente celebrato nel Rapporto Letta per i suoi “successi”. Insomma, vale soltanto la dimensione geopolitica e militare, nonostante l’ingresso di altri 9 Stati low cost per salari, welfare e tassazione, proprio come nel 2004-2007, ampli e consolidi dumping fiscale e sociale. Si potrebbero percorrere strade alternative per sicurezza e sviluppo dei candidati. Ma non rileva. Gli interessi di lavoratori e piccole imprese non hanno voce politica.
Un punto allora deve essere chiaro: oltre che in radicale contraddizione con l’art. 11 della nostra Costituzione, come scritto da Marco Travaglio, l’Ue XXL e dedita al warfare archivia il welfare. In tale quadro, è inevitabile la torsione securitaria sull’immigrazione per dare nemici espiatori alla sofferenza fuori le Ztl. Ed è demagogico l’impegno per programmi green socialmente sostenibili: senza capacità fiscale comune alimentata da Eurobonds; senza ampliamento del bilancio, fermo all’1% del Pil dei 27; senza misure straordinarie di “sistemazione” del debito pubblico Covid; senza adattamento della politica monetaria. Misure essenziali, neppure menzionate. L’appiattimento del gruppo socialista sull’agenda di Ursula reloaded aiuta a spiegare perché la destra nazionalista, autoritaria e razzista si gonfia tra fasce popolari e classi medie. Nell’area progressista, invece di rimuovere il nodo, sarebbe utile affrontarlo per correggere la rotta.
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