di Giuseppe Castellini

Una nuova legge elettorale regionale, di carattere proporzionale. È la trovata che si sta facendo largo nella maggioranza che governa la Regione visto il quadro politico profondamente mutato in Umbria. In parole povere: visto che l’attuale maggioranza teme di essere minoranza nelle elezioni regionali del 2020, dopo che il centrosinistra ha perso tutti collegi maggioritari nelle consultazioni politiche dello scorso 4 marzo, meglio una legge elettorale proporzionale che una – come quella attuale – con il premio di maggioranza, che la condannerebbe all’opposizione. Non si sa ancora se resterà l’elezione diretta del presidente.

Insomma, una legge elettorale con cui l’attuale maggioranza cerca di limitare il più possibile i danni e di avere delle carte in mano per provare a mantenere il potere, o pezzi di potere o almeno agibilità di alleanze, nel prossimo consiglio regionale. Perché, stando almeno al quadro politico umbro uscito dalle elezioni del 4 marzo (ma le elezioni regionali, è noto, sono un’altra cosa rispetto alle politiche perché la partecipazione al voto scende di non poco), con la legge regionale attuale il centrodestra arriverebbe primo e, con il premio di maggioranza, governerebbe la Regione. L’obiettivo di una nuova legge regionale sarebbe pertanto evitare di avere un vincitore e di lasciare il governo della Regione a un’intesa in consiglio regionale tra le forze politiche. Dal punto di vista del centrosinistra, messo male, si scrive quindi nuova legge elettorale, ma si legge ‘limitazione del danno’. Parlando sul piano puramente teorico e basandosi sui dati elettorali delle politiche (ma, ripetiamo, la regionali sono un’altra cosa, perché in Umbria ci sono 100mila elettori che votano alle politiche ma che restano a casa per le regionali), il centrodestra – benché forza di maggioranza relativa – potrebbe finire all’opposizione se, ad esempio, Pd e M5S trovassero un’intesa in consiglio regionale, magari attraverso un ‘Contratto’ programmatico ora tanto di moda a livello nazionale.

Ma, come vedremo, il gioco è più fino ancora.

 

Un errore aver dato la possibilità alle Regioni di scegliersi la propria legge elettorale. Una facoltà di cui abusano, a costo anche di compromettere l’autorevolezza di questa Istituzione

È possibile che una maggioranza uscente di una Regione possa cambiare la legge elettorale a poco tempo da voto per cercare di ottenere il massimo vantaggio possibile? Sì, è possibile. È una pessima conseguenza della decisione di dare alle Regioni la facoltà di darsi ognuna la legge elettorale che vuole. E di cambiarla quando vuole. L’Umbria non fa eccezione. In vista delle scorse elezioni regionali la maggioranza di centrosinistra, sentendo odore di risultato non esaltante dopo lo ‘schiaffo’ di Perugia, cancellò il ballottaggio – dove probabilmente la Marini avrebbe perso contro Ricci, facendo il bis di Boccali contro Romizi – e introdusse il turno unico. Il centrosinistra, infatti, sapeva allora di essere la forza politica di maggioranza relativa, ma non più di maggioranza assoluta. E gli elettori del M5S, pur di mandare a casa ‘il passato’, avrebbero certamente preferito Ricci alla Marini, come l’anno prima avevano preferito Romizi a Boccali. E fu solo grazie a quel cambiamento della legge elettorale che la Marini fu eletta presidente con in il 42% dei voti.

Il bello (anzi il brutto, squalificando ancora di più i partiti agli occhi dei cittadini) è che si creano situazioni schizofreniche. Nel 2015 il Pd umbro cercò di sforzarsi di spiegare le ragioni del perché si abbandonava il ballottaggio per il turno unico, ammantando di chiacchiere una scelta opportunistica. Il centrodestra umbro, altrettanto ovviamente e altrettanto strumentalmente, gridava allo scandalo e affermava che il turno unico era un vulnus alla democrazia. Peccato che, negli stessi giorni, la stessa cosa avveniva al contrario in altre regioni. Ad esempio in Campania, dove il centrodestra eliminava il ballottaggio per introdurre il turno unico e il Pd che saliva sulle barricate denunciando il vulnus alla democrazia. Cose da ridere.

Il punto è che sarebbe meglio che, come avviene per i Comuni, la legge elettorale fosse la stessa in tutte le regioni, stabilendo regole del gioco uguali per tutti. Il potere di scegliersi la legge elettorale, insomma, andrebbe tolta alle Regioni. Perché, di giochetto in giochetto, si contribuisce a demolire la credibilità dell’Istituzione Regione, precipitata in tutti gli indici di gradimento dei cittadini.

Senza contare che una legge elettorale dovrebbe essere ‘cieca’, ossia dovrebbe essere adottata lontano dal voto proprio perché nessuno deve sapere chi possa favorire. Farla vicino al voto è un grimaldello per alterare – legalmente – le cose a proprio vantaggio. Questo vale sia per il livello nazionale che per quello regionale. A impedire un tale spettacolo ci sarebbe un’indicazione dell’Ue che prevede che le leggi elettorali si possano approvare solo nei primi due anni di legislatura. Ma nessuno la rispetta, né a livello nazionale né a livello locale. Un tipico caso italiano: lo Stato che smentisce lo Stato. Atteggiamento che, in un popolo che storicamente già non si fida dello Stato, abbassa l’autorevolezza delle Istituzioni, con tutto ciò che ne consegue.

 

Ma il gioco è più fine

Qual è lo scenario che ha in mente il Pd umbro e alla luce del quale spinge per cambiare la legge elettorale? Come detto, se venisse confermato il quadro politico uscito dal voto del 4 marzo, con l’attuale legge elettorale che prevede il premio di maggioranza il Pd finirebbe dritto all’opposizione e più che dimezzerebbe il proprio gruppo consiliare. Con una legge elettorale senza premio di maggioranza intanto limita i danni (perché appunto il centrodestra, o se ci fossero sorprese nel voto il M5S, pur essendo maggioranza relativa non avrebbero i seggi del premio di maggioranza) e poi ha più agibilità nella trattativa per creare la nuova maggioranza. Perché Claudio Ricci si è già ricandidato a presidente della Regione a capo di movimenti civici, ma questa volta il centrodestra non convergerà su di lui, presentando un proprio candidato sull’onda del successo ottenuto nel voto del 4 marzo.

Se Ricci dovesse entrare in consiglio regionale può quindi diventare, a quel punto svincolato dal centrodestra, un soggetto con cui il Pd può trattare. E a Ricci può agganciarsi quel manipolo di centristi (Ronconi, Sbrenna e altri) politicamente agée che, per quante in passate elezioni (regionali, comunali a Perugia e così via) abbiamo dimostrato di avere pochi voti, comunque rappresentano un mondo. Piccolo, ma che c’è.

Non solo, ma con questa mossa il Pd riprova a riportare all’ordine anche i socialisti, irritati per la mancata candidatura di Silvano Rometti alle scorse politiche. L’arma è la soglia di sbarramento. Il Pd, nelle segrete stanze, può dire ai socialisti che intende mettere una soglia di sbarramento alta, così che loro siano serio rischio di restare fuori dal Consiglio. E la stessa cosa può essere fatta con la Sinistra, anche se in maniera più morbida perché pezzi importanti della Sinistra sono già orientati a non fare alcuna sorta di accordo con il Pd per un’eventuale maggioranza. Ma mancano quasi due anni al voto regionali e l’atteggiamento della Sinistra potrebbe cambiare, influenzata magari dal quadro nazionale.

In definitiva, con la legge proporzionale il Pd conterebbe sui suoi voti (quanti, ormai, non lo sa nessuno), più spazi di manovra di alleanze in consiglio con i socialisti, Ricci ed eventualmente la sinistra, se questi partiti otterranno seggi. Senza peraltro che nessuno di questi si impegni ufficialmente per alleanze post-voto, correndo ognuno per conto suo. Provando quindi ad isolare in consiglio il centrodestra e magari, al momento opportuno, facendo l’occhio dolce al M5S. Che però potrebbero provare a ripetere, se la Lega in Umbria ci starà, un’operazione simile al governo gialloverde. Per il Pd meglio giochi aperti, apertissimi, che la condanna dell’opposizione in partenza. Anche perché sa che alle regionali andranno al voto, come avvenuto in passato, circa 100mila umbri in meno rispetto alle politiche e di questi 100mila metà votano M5S e altri 30mila e oltre (secondo i flussi elettorali elaborati dal professor Bracalente) la Lega. Il Pd, dunque, può ragionevolmente attendersi che alle regionali in termini percentuali (non in termini di voti assoluti) otterrà più di quanto non abbia preso alle politiche, o meglio più di quanto non prenderebbe alle politiche.

Per fare questi giochi, tuttavia, dovrebbe cadere l’impianto dell’elezione diretta del presidente della Regione. Se l’elettorato, alla fine dei conti, digerirebbe un cambio del sistema elettorale in chiave proporzionale, è invece assai difficile che digerisca la cancellazione dell’elezione diretta del presidente della Regione, perché sarebbe troppo forte la sensazione di tornare a dare una delega in bianco ai partiti. Se il Pd dovesse arrischiarsi su questo terreno, è evidente che la campagna elettorale delle opposizioni sullo ‘scippo della democrazia’ farà breccia e la cosa si trasformerebbe in un boomerang per i dem. Che per queste lavorano ad alchimie che ottengano l’effetto senza boomerang. Ma non è facile.

Ovviamente, il tutto sarà ammantato di spiegazioni che parleranno di democrazia e che serviranno a rendere presentabile la cosa. Ma a crederci sarà solo chi ha interesse a farlo.

Condividi