di Giuliano Santelli.

Me lo ricordo quel giorno. Era il 26 settembre del 1997. Verso le 11 della mattina. La sede de "La Città", il mensile dell'Orvietano, stava insieme alla Compass Multimedia all'inizio di Corso Cavour, vicino a Piazza Cahen a Orvieto. Giuliano Santelli, mio fratello, mi aveva chiamato da poco. "Sai, sto andando ad Assisi, in Basilica, con Vannio Brozzi, il Presidente del Consiglio Regionale. Andiamo a vedere i danni provocati dal terremoto di questa notte. Beppe non c'è, vado io". Beppe era ed è Giuseppe Giulietti eletto in Umbria ad Assisi. Giuliano era il suo assistente parlamentare.
"Ok, ci sentiamo dopo. E mi fai sapere come va":
Mi ricordo di aver preso Corriere dell'Umbria e Il Messaggero e di essere andato a farmi una lettura diciamo così "liberatoria" in bagno. Ed io, quando leggo, leggo. E il tempo passa. Alle 11,42 una botta fragorosa e quei secondi in cui il tempo si dilata, con un blocco allo stomaco che si chiude improvvisamente. Si dice che quando la linea parallela della vita si avvicina pericolosamente a quella della morte, la dilatazione del tempo ti fa vivere in un attimo la vita che hai passato e contemporaneamente ti vengono in mente le cose più strane. Dall'ufficio, fuori dal bagno, sento le grida dei colleghi che si allontanano. Io lì, sulla tazza del water a leggere il giornale, con tutto intorno che balla e trema. Ed io che penso. "Che morte assurda. Mi troveranno qui, accoccolato e con le mutande abbassate. Ed un detto che mi risuonava come un'epigrafe. "Visse sperando e morì..." Passa la scossa ed io esco, senza trovare più nessuno in ufficio. La paura è passata, ma dura poco. La tv, come oggi, faceva il suo dovere in fretta. Non ci mette molto il servizio pubblico a dirti quel che accade. Le straordinarie partono subito, e le agenzie erano a portata di mano.
Mi ricordo il primo flash: "CROLLO NELLA BASILICA DI ASSISI". Non passò molto tempo prima che uscisse il secondo flash "MORTI NEL CROLLO DELLA VOLTA DELLA BASILICA DI ASSISI".
Giuliano, io lo sapevo che era lì. E non so quanti c'erano all'interno della Basilica. Angoscia. Penso ai miei, a mio padre e mia madre. Dove saranno? Stanno guardando la Tv? Sanno dove andava Giuliano? Chiamo lui sul cellulare. Ma non risponde. Chiamo mia madre, con una scusa, per sapere dove è. Non è davanti alla tv, Le chiedo come sta, se ha sentito la scossa di terremoto. Ovviamente sì. Mio padre non era con lei ma in Cgil. Lo chiamo e anche lui non sa nulla di dove è Giuliano né ha un televisore lì davanti. "QUATTRO MORTI NELLA BASILICA DI ASSISI". Panico per il nuovo Flash. Compulsivamente continuo a chiamare Giuliano mentre sono davanti al televisore a seguire le notizie. Sono minuti, decine di minuti, interminabili. Poi, ad un certo punto, vedo nelle immagini trasmesse dalla Rai una persona che emerge dalla polvere del crollo della Basilica col telefono attaccato all'orecchio. Un fantasma, quasi, bianco di polvere e calce. "Qualcuno è uscito" mi dico. E comincia il terno al lotto. Quanti erano dentro, quanti sono usciti, Giuliano di quale gruppo fa parte? Di quello dentro senza vita o di quello imbiancato ma fuori e vivo? Poi la notizia. Quattro i morti, tecnici della sovrintendenza e frati. Sono morti, sono i tuoi morti ma sai che non c'è tuo fratello. E' brutto tirare un sospiro di sollievo. Ma alla fine lo fai. La tragedia c'è, ma quella personale t'è passata vicina e non t'ha toccato. Poco dopo lo sento. Era lui quell'uomo imbiancato al telefono. Con Vannio Brozzi avevano gridato, al momento del crollo, "ai lati, ai lati". Chi si è spostato ai lati si è salvato. Chi ha cercato la via d'uscita correndo al centro c'ha rimesso la vita. A raccontare quelle ore c'era, se non mi sbaglio, un mio collega. Carlo Cianetti che poi trovai, anni dopo, a Rainews24. Riesco a sentire Giuliano dopo un po' di tempo. Al telefono era col ministro degli interni, Giorgio Napolitano. Giuliano non lo aveva riconosciuto subito al telefono. E alla domanda "Che cosa é successo", Giuliano sgarbatamente e concitato gli rispose anche male. L'aplomb di Napolitano da una parte e dall'altra chi aveva visto morire delle persone e si era salvato. Una conversazione rapida, del tipo: "Che vuoi che sia successo? E' crollato tutto e ci sono dei morti e adesso c'ho da fare". A me racconta quel che è successo al telefono, poco dopo. Quando prova a lavarsi a casa del Presidente del Consiglio Regionale. Mia madre saprà tutto dopo. E piangerà quando si troverà a lavare i suoi vestiti, impregnati di polvere e calcinacci. Lì, forse, ha capito come quelle due linee rette di vita e di morte si erano avvicinate davvero molto.
Da quel giorno ogni terremoto e ogni persona che muore o si salva in un terremoto, assume per me un valore evocativo. Di tristezza e di appartenenza. Penso alle vittime e alle famiglie delle vittime. A quelle vite spezzate, quelle storie e quella vita che ci sarebbe stata ancora davanti. Vita fatta di vecchiaia in potenza, fatta di figli e nipoti, di lacrime e di risate che improvvisamente non ci saranno più. Impotenti di fronte ad un fenomeno naturale che ti lascia inerte. Penso con rabbia a quelle vite spezzate, perché sei consapevole che sono morte evitabili se solo si investisse di più in sicurezza. Guardo ai terribili terremoti delle isole nipponiche, tremendi e lunghissimi rispetto ai nostri. Penso a quei grattaceli immensi che flettono ma non cadono. E poi penso ai nostri morti. Sempre lì, pronti a piangerli ogni volta. E poi inermi di fronte all'assenza di investimenti per mettere in sicurezza il patrimonio immobiliare, storico e residenziale, del nostro Paese. Ha ragione Giuseppe Zamberletti, il padre della protezione civile italiana. Si è fatto molto per l'intervento post tragedia, ma pochissimo in termini di prevenzione. Il problema non è il terremoto che uccide le persone, ma le case che crollano sulla gente.
 

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