Sulla maxi inchiesta in Liguria
di Angelo D’Orsi
Il nuovo che avanza. Una ministra carica di imputazioni e di rinvii a giudizi (che non si dimette affermando di essere protetta dalla presidente del Consiglio...), una sottosegretaria condannata con sentenza definitiva e costretta ad allontanarsi dal governo (ma riciclata subito alla Commissione Vigilanza Rai!), un altro sottosegretario licenziato per frode fiscale e sospetto furto (e subito ripescato per andare al Parlamento Europeo a dare bella mostra delle sue virtù "dialettiche").
I nomi sono noti e non c'è bisogno che li riproponga qui. Tralascio altresì il resto del lungo elenco di corrotti, ladri, imbroglioni che infestano il nostro Parlamento, i consigli regionali e comunali e ora molti li manderemo in Europa...Mi limito all'ultima notizia, che traggo dalla "Stampa" di oggi: una notizia, che mi rincuora, avendo personalmente avuto modo di vedere da vicino l'operato della Giunta regionale ligure, e di litigare in tv col suo presidente. Il quale ora ha ben altre gatte da pelare. Finito in manette, ma subito con arresti domiciliari concessi. "Siamo tranquillissimi", dice l'arrestato; noi cittadini un po' meno, dato che nelle mani sue e dei suoi sodali sono i nostri destini, almeno per una parte, una larga parte.
Ovviamente mi aspetto che dicano che si tratta di arresti a orologeria, che la magistratura è fatta da toghe rosse, che comunque vale il principio della "presunzione di innocenza" eccetera. E sono certo che nessuno di costoro si farà la galera, quella a cui sono invece ipso facto condannate le persone che anche solo per un piccolo sbaglio hanno "violato la legge". I colletti bianchi non finiscono mai, ripeto, mai, "al gabbio".
La legge è uguale per tutti, ma per alcuni è più uguale che per altri. (Immortale Orwell). Sconfortante. E invece dovrebbe essere un incitamento a lottare contro questa gente, le loro parole vuote, i loro traffici oscuri, e il danno permanente che recano alla collettività. "Il denaro e il potere sono trappole mortali", cantavano a metà degli anni Sessanta, i Rokes, con ingenuità, nella quale tuttavia la mia generazione si riconosceva. Si era alla vigilia del Sessantotto, e volevamo rovesciare i banchi, cambiare le cose, "fare la rivoluzione", in sintesi: non chiedevamo un posto in quella società, ma reclamavamo una società nella quale valesse la pena di avere un posto. Siamo stati sconfitti, ma non possiamo, non dobbiamo arrenderci.
La lotta contro la corruzione politica, contro la grande criminalità, contro la devastazione ambientale, è parte integrante della lotta per la pace, per la terra, per la dignità.
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