Il suicidio del cassaintegrato a Branca: un monito per tutti e uno spartiacque
Alla fine, il suicidio della crisi c'è scappato anche dalle nostre parti e perfino la scelta del luogo, l'ospedale del territorio umbro più prostrato, appare come l'ultimo grido di aiuto di un cassaintegrato in preda alla disperazione, come un ultimo richiamo contro l'indifferenza, l'ultimo e il più tragico.
Il profilo che emerge nelle motivazioni del drammatico gesto è purtroppo il solito cui ci hanno abituato le cronache della crisi italiana in questi ultimi anni: una persona schiacciata dal peso insopportabile dell'incertezza economica, dalle responsabilità familiari che non si riescono più ad attendere con piena dignità e dalla depressione che ad un certo punto ti travolge e non si sa dove ti porta.
Dietro ogni suicidio vi sono sempre cause molteplici, immediate, anche occasionali, che agiscono come molle di un atto di disperazione, ma è chiaro che alla radice originaria del gesto compiuto dall'uomo di Costacciaro, cassaintegrato della ex Merloni, v'è proprio la perdita del posto di lavoro e tutto ciò che da questa condizione è conseguito nella vita di questa persona e della sua famiglia: questo è un dramma da attribuire alla crisi economica ed alla sofferenza sociale che stanno dilaniando le nostre comunità, che stanno paurosamente allentando i suoi legami sociali, che stanno recidendo le relazioni tra le persone e che stanno dissolvendo, in quelle più fragili, le loro capacità di reazione, in un contesto dove le Istituzioni, i servizi, la politica, l'intera società civile non riescono più a far fronte alle insorgenze sociali e ai drammi individuali e dove troppo spesso si stenta ancora a negare priorità alla grande questione sociale che ci riguarda da vicino.
Il cordoglio per la morte tragica di questo padre di famiglia e la rispettosa commiserazione per i suoi parenti, non devono perciò rendere muti, ma devono al contrario far ritrovare subito le parole più forti e più giuste per gridare contro lo scandalo della miseria sociale che ha preso piede nel nostro territorio.
Non servono più blande analisi sociologiche o introspezioni psichiatriche a cose avvenute: sarebbero servite prima, per rendere più consapevoli le Istituzioni, la politica e le organizzazioni della società civile, affinché si garantissero servizi e risposte al bisogno e ai drammi sociali le più prossime e puntuali possibili. La campana a morto è suonata ed il martirio di questa persona è un monito per tutti, deve indurci tutti ad una riflessione profonda sul che fare e deve servire come spartiacque: da qui in avanti, davanti ad ogni altra cosa, si rende necessario fare della questione sociale la prima delle preoccupazioni delle nostre comunità, bandendo una volta per tutte l'indifferenza, dalle Istituzioni, dalla politica, da tutte le articolazioni della società e da noi stessi, per prestare più attenzione e maggiore, solidale, reattività quando simili vicissitudini accadono alla porta accanto, dall'altra parte della strada, nelle nostre stesse case.
Non è il silenzio a rendere omaggio a questo martirio, ma è la voce più alta dell'indignazione che si deve levare dopo una simile tragedia: la consuetudine della cronaca nera non deve assuefare. Serve una politica di rottura e servono degli interventi misurati sulle persone più fragili ed in difficoltà, destinando maggiori risorse ai servizi sociali e sanitari del territorio, riorganizzando quelli che i tagli e i disimpegni hanno ridotto alla loro ombra e promuovendo una maggiore correlazione tra il welfare pubblico e le associazioni del volontariato. E serve un'assunzione collettiva di responsabilità per fronteggiare con delle politiche concrete la crisi e la desertificazione del sistema industriale: i Sindaci, le organizzazioni sindacali e tutte le altre Istituzioni devono pretendere la dichiarazione di stato d'emergenza economica e sociale per questo territorio, perché i sonniferi e gli anestetici della cassa integrazione non bastano più e perché quanto è stato fatto fino ad oggi è poco, inservibile e spesso sbagliato.
Antiche letture m'hanno insegnato che il primo compito della politica intesa come reggimento della società è la preservazione della vita. Ebbene, dopo la tragedia di ieri, i nostri compiti contro gli effetti della grande crisi che ci ha investito si pongono esattamente in questi termini.
No, non si può più restare indifferenti e girarsi dall'altra parte, dopo una tragedia come questa, non di fronte alla barbarie che si consuma, non di fronte ad una vita umana spezzata perché mancano duecento stramaledetti euro a fine mese per riportare a casa due buste della spesa, pagare una bolletta o comprare i libri di testo ai proprio figli.
Per la sinistra per Gualdo
Gianluca Graciolini
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