di Astolfo Lupia.

E’ forse superfluo dilungarsi sulla condizione omosessuale, sulle problematiche e peculiarità che essa presenta, considerato che i lettori di questa rivista ne hanno di sicuro conoscenza approfondita: la sinistra umbra ha inoltre dimostrato concretamente in più occasioni sensibilità e vicinanza a queste tematiche. Nei mesi scorsi, una moltitudinaria manifestazione ha accompagnato la celebrazione del Pride a Perugia. Migliaia di persone hanno percorso le strade della città, colorando di arcobaleno le antiche strade del centro storico. Decidiamo quindi, di saltare a pie pari quello che potrebbe essere un goffo tentativo di affrontare la condizione omosessuale al nostro tempo, compito per noi impari e che volentieri deleghiamo a chi meglio può cimentarsi nell’impresa. E’ invece doveroso spendere qualche parola sullo specifico antropologico in cui si collocano le narrazioni inserite in Storie fuorigioco, quello del mondo del calcio. Nell’immaginario collettivo dell’italiano medio il calciatore è uomo virile per eccellenza, maschile e maschio all’ennesima potenza, pronto a “castigare” e fare incetta di legioni di signore e signorine di solito disponibili a concedersi con devoto entusiasmo. E tale immaginario è fatto proprio dai protagonisti non meno che dal pubblico. Di conseguenza, tutto ciò che da tale stereotipo si discosta è avvertito come disvalore e come tale meritevole di censura, spesso di insulto. Tra le invettive che è dato di sentire in ambito pedatorio particolare rilevanza e ricorrenza vanno riconosciute a quelle che hanno a che vedere col campo semantico dell’omosessualità. Non mancano le storielle inventate e messe in circolazione ad arte: chi ha qualche anno in più ricorda le allusioni a presunte predilezioni particolari del leggendario Giancarlo Boniperti, inteso Marisa. O, in tempi meno remoti, tutto il greve chiacchiericcio che si scatenò sulle presunte effusioni tra due azzurri ai tempi dei mondiali di Spagna 82. Va segnalato che qualcosa cambia, che qualche presa di posizione “progressista” è venuta fuori negli ultimi anni; pensiamo alle prese di posizione pro gay di Cesare Prandelli. Tuttavia non si può non segnalare come non vi sia stato un solo calciatore a dichiarare la propria omosessualità, se la memoria non ci inganna. Evidentemente il tabù è ancora attivo e continua a dispiegare effetti perversi e duraturi. Avventuriamo che la scelta dell’autore del libro, Rosario Coco, di ambientare i propri racconti in un “ecosistema” decisamente ostile abbia a che vedere, al netto della personale passione per il calcio, con la particolare esemplarità e significatività che gli ostacoli ambientali conferiscono alle vicende narrate. Detto ciò, affrontando il testo sul versante squisitamente letterario quel che ci è parso più notevole dei racconti è il particolare stato di grazia che accompagna in talune parti l’autore non meno che i protagonisti. Collocati in contesti avversi, attorniati da fattori che contrastano in maniera formidabile e apparentemente insuperabile il tentativo di vivere appieno la propria dimensione erotica, essi riescono sempre a reagire efficacemente, ad affermare la personale e ineludibile ricerca di affermazione del proprio modo di sentire e vivere l’erotismo. Si potrebbe, a volere essere maliziosi, censurare questa ricerca del lieto fine che in ambito letterario presta il fianco a non poche perplessità, e non da poco tempo. Tuttavia, a riscattare tutto dalla conclusione felice e potenzialmente edificante intervengono taluni fattori che rendono il testo gradevole e in sostanza ben riuscito. Il primo è la leggerezza, da intendere al modo in cui Calvino la consigliava nelle sue Lezioni americane: pare talvolta che i protagonisti, nei momenti di grazia, che sono quelli in cui l’incontro erotico accade o sta per accadere, si levino quasi in volo, sottraendosi all’inerzia e opacità del mondo. Legata ad essa, e quasi consustanziale, la pressoché totale assenza di orpelli retorici, di parti posticce o semplicemente sovrapposte al testo in maniera estrinseca, almeno nelle parti essenziali. Nel primo dei racconti, esemplarmente, dopo la narrazione un tantino faticosa delle circostanze che paiono rendere impossibile, impensabile l’amplesso tra i due amanti, una volta che essi prendono coscienza della reciprocità del desiderio che li lega, solo una semplice frase di quattro parole suggella l’incontro, l’inizio della relazione tra i protagonisti. Quattro semplici parole, scabre essenziali, e per questo più credibili, vere: “entra in campo, amore”. Resta da aggiungere, il dettaglio suona quasi prosaico, un giocatore le sente sussurrate all’orecchio; chi le sussurra è l’allenatore.

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