SOTTOSOPRA. PALESTINESI CAPACI DI POESIA di Mario Capanna
La poesia non è di chi la scrive, ma di chi se ne serve (M. Troisi)
Mentre in Palestina il sangue scorre a fiumi – più di dieci palestinesi trucidati per ogni israeliano ammazzato il 7 ottobre: siamo oltre la decimazione nazista – credo che sia una boccata di ossigeno la gentilezza di una poesia.
E’ di Mahmoud Darwish, poeta e scrittore palestinese, considerato fra i più grandi del mondo arabo. Si intitola “Carta di identità”.
Ricordate!
Sono un arabo
E la mia carta d’identità è la numero cinquantamila
Ho otto bambini
E il nono arriverà dopo l’estate.
V’irriterete?
Ricordate!
Sono un arabo,
impiegato con gli operai nella cava
Ho otto bambini
Dalle rocce
Ricavo il pane,
I vestiti e i libri.
Non chiedo la carità alle vostre porte
Né mi umilio ai margini della vostra camera
Perciò, sarete irritati?
Ricordate!
Sono un arabo, Ho un nome senza titoli
E resto paziente nella terra
La cui gente è irritata.
Le mie radici
Furono usurpate prima della nascita del tempo
Prima dell’apertura delle ere
Prima dei pini, e degli alberi d’ulivo
E prima che crescesse l’erba.
Mio padre… viene dalla stirpe dell’aratro,
Non da un ceto privilegiato
E mio nonno era un contadino
Né ben cresciuto né ben nato!
Mi ha insegnato l’orgoglio del sole
Prima di insegnarmi a leggere,
E la mia casa è come la guardiola di un sorvegliante
Fatta di vimini e paglia:
Siete soddisfatti del mio stato?
Ho un nome senza titolo!
Ricordate!
Sono un arabo.
E voi avete rubato gli orti dei miei antenati
E la terra che coltivavo
Insieme ai miei figli,
Senza lasciarci nulla
Se non queste rocce,
E lo Stato prenderà anche queste,
Come si mormora.
Perciò!
Segnatelo in cima alla vostra prima pagina:
Non odio la gente
Né ho mai abusato di alcuno
Ma se divento affamato
La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo.
Prestate attenzione!
Prestate attenzione!
Alla mia collera
Ed alla mia fame!
Ho avuto il piacere di conoscere Mahmoud Darwish e persino di viaggiare con lui, una volta, insieme a Yasser Arafat, con il piccolo aereo del presidente palestinese. I due erano a Ginevra, per importanti colloqui con alti esponenti dell’Onu. All’improvviso mi giunse l’invito di Arafat a raggiungerlo. Dovevamo realizzare la mia lunghissima intervista a lui, poi pubblicata nel libro Arafat. Intervista al presidente dello Stato palestinese (Rizzoli, 1989).
(Il volume conteneva, per la prima volta, la più organica esposizione del punto di vista dell’Olp: ebbe notevole successo sia fra lettori comuni sia perché fu analizzato da tutte le cancellerie e fu tradotto, per esempio, anche in Giappone).
Ci fu, però, una complicazione. Arafat doveva raggiungere con urgenza il suo quartier generale a Tunisi. Decise che viaggiassi con lui, e in volo cominciammo l’intervista (poi proseguita, in lunghe giornate e notti, a Tunisi, in mezzo a frequenti interruzioni).
Da subito Darwish mi apparve persona di intelligenza, sensibilità e cultura straordinarie. Parlammo a fondo anche di questa poesia, che era stata da poco tradotta in Italia. Gli dissi della mia perplessità relativa al verso “La carne dell’usurpatore diverrà il mio cibo”. Rispose sereno: “E’ ovvio che il concetto va inteso in senso metaforico. Nel suo significato letterale, non lo accetterei nemmeno io”. Ci abbracciammo.
Non so voi, ma io trovo bellissima questa poesia, per l’indignazione che esprime e il timbro elegiaco che contiene. Per comprendere appieno l’una e l’altro, occorre tenere presente la via crucis attraversata da Darwish.
E’ nato nel 1941 nel villaggio di al Birwa, distrutto dai soldati israeliani nel 1948, al punto che ora non esiste più, nemmeno sulle cartine geografiche.
Riparato in Libano con la famiglia per sfuggire alla persecuzione sionista, tornò in “patria” da clandestino e venne arrestato più volte per la sua presenza illegale, e per avere recitato le sue poesie in pubblico.
Dovette vagare a lungo, oltre che in Libano, in Egitto, Giordania, Cipro, Unione Sovietica e Francia. Una volta eletto membro del parlamento dell’Autorità nazionale palestinese, solo nel 1996 ottenne un permesso da Israele per visitare i propri parenti, dopo ben 26 anni di esilio!
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