di Mario Capanna

 

“Se non avessimo impugnato le armi, a noi palestinesi avrebbero fatto fare la fine degli indiani d’America”.

Y. Arafat

 

L’articolo di fondo di Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera del 23 ottobre (“L’Europa e il tabù delle armi”), costituisce una pietra miliare contro tutti noi che consideriamo nostri fratelli sia gli israeliani sia i palestinesi. Il rigore del suo “ragionamento” ci fa tremare le vene e i polsi. In primo luogo presume di assassinarci con una domanda, secondo lui, senza scampo.

A chi critica Israele per l’eccesso di vendetta contro Gaza dopo la carneficina del 7 ottobre, chiede perentorio: “Quale avrebbe dovuto essere la risposta giusta” e “quale era l’alternativa per lo Stato ebraico?” Circonfuso di autoincensamento si risponde che “nessuno dei suddetti critici si è mai sentito in dovere di dircelo”.

Evidentemente non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. La risposta è semplice: dopo l’attacco di Hamas, Israele ha sperimentato, sulla pelle della sua gente, che non potrà mai – mai! – avere sicurezza senza la sicurezza dei palestinesi e, dunque, senza la creazione dello Stato palestinese, realmente autonomo e indipendente. Dice questo l’Onu e lo dice la grande maggioranza dell’opinione pubblica mondiale. Ovviamente non sarà una passeggiata. Si tratta di ritirarsi dai territori occupati nel 1967 e di smantellare tutte le colonie illegali. Esattamente ciò che non vogliono né Israele né gli Usa né l’Europa, che si illudono di mantenere sine die in Medioriente la prepotenza del cane da guardia contro i popoli e gli Stati arabi.

Il 7 ottobre è emerso in modo lampante che questa prolungata prevaricazione non può avere futuro, e danneggia gravemente sì i palestinesi, ma pure gli israeliani.

Ma Galli della Loggia non si dà per vinto e si scaglia contro l’Europa, non già perché è prona ai diktat di Washington, bensì perché ha “il tabù della guerra”, ovvero “non riesce più a immaginare (…) un ricorso alle armi vero, quello per cui si combatte per la vita o per la morte”. Eh?

Magari l’Europa considerasse la guerra come tabù! A parte il fatto che l’Europa la guerra la fa eccome, essendo cobelligerante insieme a Usa e Nato in Ucraina contro la Russia, qui la nostalgia bellicista emerge senza freni.

Il Nostro sembra rimpiangere la Guerra dei cent’anni (1337-1453), quella dei trent’anni (1618-1643), e forse pure le due guerre mondiali, tutte scaturite dal ventre profondo dell’Europa. Chiaramente per lui il grande Kant, con la sua balzana idea della “pace perpetua”, era un pivello…

Ma come si fa…E costui insegna pure all’università (poveri studenti). Rivolgo un appello pressante a Urbano Cairo e Luciano Fontana (padrone e direttore del Corriere): mi raccomando, non licenziate un così raffinato pensatore; come maestro negativo è prezioso, sebbene non… impareggiabile.

E’ infatti seguito a ruota da Paolo Mieli. Il quale, nel suo articolo di fondo sempre sul Corriere della Sera (25 ottobre) si spertica in un peana ultrafiloisrareliano. Fin dal titolo: “Il mondo alla rovescia”, uno squillo di tromba che richiama l’elevato libro del generale Vannacci Il mondo al contrario.

Indignandosi contro il segretario dell’Onu Antonio Guterres, scrive che egli “dopo le parole di condanna all’attacco del 7 ottobre che potevano apparire insincere, ha ricondotto la responsabilità dell’accaduto a ‘cinquantasei anni di soffocante occupazione israeliana’. Un’enormità” (corsivi miei). Poi, come per controbilanciare, aggiunge: “Anche se, per eccesso di precipitosità, ha sbagliato il delegato israeliano a chiedere le dimissioni del segretario delle Nazioni Unite”.

Eccolo qui, in tutto il suo fulgore, il principe del cerchiobottismo: una perenne botta al cerchio e una alla botte che, però, non riesce mai a occultare il sapore di aceto del suo vino avariato.

Letto l’articolo di Mieli è noto che Guterres si è profuso in una autoflagellante autocritica, e io so per certo che ha pensato persino di dimettersi in modo clamoroso. Non l’ha fatto solo per puntiglio: non arrendersi al “mielitarismo”.

Cari Mieli e Galli della Loggia: siete mai stati nella Cisgiordania occupata, a Gaza e in Israele? Io sì, più volte, e parlo per aver toccato con mano la realtà, mentre voi parlate per sentito dire. Mettetevi nei panni di un palestinese, che abbia 15 anni o 40-50: da quando è nato non ha visto altro che violenze assassine – non c’è famiglia che non abbia almeno un morto ammazzato o un arrestato – insediamenti illegali sulla propria terra, rapine di raccolti e di terreni, case fatte saltare in aria per indurre alla fuga, divieto persino di sventolare la propria bandiera ecc.

Tutto questo si chiama apartheid, perché tale è. Voi, invece, strillate: antisemitismo! Eccolo qui l’asino volante con cui si cerca di coprire i misfatti sionisti. “Antisemita”: parola pericolosa. Perché, a ben vedere, è “antisemita” anche Israele, dato che pure i palestinesi sono semiti… Non lo capite dove può portare la vostra cecità?

Quello che si sta perpetrando a Gaza è un genocidio di civili, compiuto da chi ha subito l’olocausto . Pensate: i soldati che entrano a Gaza, oltre alle loro armi ultrasofisticate, devono portare pure le maschere antigas…, per proteggersi dalla puzza dei palestinesi sopravvissuti, che non si possono lavare da settimane… per il taglio dell’acqua.

Come sapete, a Gaza non ci sono giornalisti stranieri. Siate coraggiosi: perché non ci andate voi due? Così potreste vedere dal vivo chi sono, realmente, i terroristi. Altra parola da maneggiare con cura. Chiunque si opponga attivamente, in una situazione di oppressione, è definito “terrorista” dall’occupante. Non a caso anche le SS chiamavano “terroristi” i partigiani. E lo Stato occupante, che detiene il record mondiale di violazione delle risoluzioni dell’Onu ed è l’unico al mondo a non avere fissato i propri confini (!), non è il primo – e principale – terrorista?

Per ogni israeliano trucidato il 7 ottobre, sono più di dieci i palestinesi massacrati. Peggio della decimazione nazista (e la percentuale è destinata ad aumentare).

La conseguenza di tutto questo è che Israele, nella sua presunta onnipotenza, non è mai stato così debole, e diviso al suo interno. Netanyauh è, politicamente, un morto che cammina, e lo Stato ebraico, insieme all’Occidente, non è mai stato così isolato nell’opinione dei popoli.

Infatti: l’Assemblea generale dell’Onu ha approvato la mozione del gruppo arabo – che chiede “una tregua umanitaria immediata, duratura e prolungata” a Gaza – con 120 voti a favore, 45 astenuti (fra cui i Paesi dell’Ue, compresa l’Italia!), e 15 contro. A sostegno di Israele e Usa si sono schierate… poderose potenze… come la Micronesia, Tonga, Nauru, Isole Fiji, Vanuatu e Papua Nuova Guinea…

Voi due – e il giornalone su cui scrivete – parlate al vento, a quella minoranza abbiente che non si rassegna alla fine di un mondo: quello unipolare, dove gli Usa erano i padroni del globo. Oggi, pur fra contraddizioni, i popoli tendono al multipolarismo. E il rischio è che l’ex padrone, non rassegnandosi alla perdita di ruolo, trascini il mondo alla guerra (vedi gli attacchi anticinesi), a partire dal Medioriente, oltre l’Ucraina. Valgano le parole di Gramsci: “La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.

Ma i pasdaran della menzogna, i bucanieri delle bugie non riusciranno a soffocare la ricerca di pace e di convivenza fra i popoli

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