di Romina Velchi

Nel tentativo (maldestro) di salvarsi, la politica affosserà la democrazia? Arriva in questi giorni nell’aula della Camera la proposta di legge di modifica del finanziamento pubblico dei partiti e lo scenario che si prospetta potrebbe far rivoltare nella tomba i nostri padri costituenti, che ai partiti medesimi avevano inteso affidare un ruolo importante e fondamentale per la vita democratica di un paese appena uscito da una feroce dittatura.

Sessant’anni dopo sembra che, al contrario, partiti e movimenti politici siano diventati un peso di cui liberarsi al più presto, al punto che persino il presidente della Repubblica – che dovrebbe essere il principale difensore del sistema democratico così come delineato nella nostra Costituzione – definisce “significativa” la modifica della legge sul finanziamento pubblico dei partiti.

C’è Grillo che fa il pieno di voti; c’è l’antipolitica che monta; c’è la crisi e bisogna risparmiare. E’ spianata quindi la strada per il nuovo giro di vite contro “i partiti”. Dopo il Porcellum e gli sbarramenti elettorali, ora si procede a colpi di “censo”: ovvero sopravviverà chi ha i soldi, gli altri si arrangino. Il testo della proposta di legge uscito dalla commissione Affari costituzionali di Montecitorio prevede da subito, infatti, la riduzione del 50% dei contributi pubblici a favore dei partiti, compresi, dunque, anche quelli del 2012, in corso di liquidazione. Per il futuro, la proposta parla di un sistema “doppio”: il 70% dei finanziamenti pubblici continuerebbe ad essere erogato a titolo di rimborso per le spese sostenute per le campagne elettorali; il restante 30% sarebbe legato alla capacità di autofinanziamento del singolo partito e sarebbe erogato in maniera proporzionale ai finanziamenti privati effettivamente raccolti. Ma c’è di peggio, a conferma che il vero tentativo è quello di “semplificare” il panorama politico italiano (tradotto: di cancellare i partiti “non allineati”): la proposta prevede che in ogni caso sarebbe escluso dal finanziamento pubblico chi non ha eletti alla Camera, al Senato, al parlamento europeo o in un consiglio regionale; cioè, i partiti più piccoli. Il resto della proposta di legge sono dettagli: si prevedono controlli, l’obbligo di sottoporre i bilanci a società di revisione, sanzioni, l’obbligo della trasparenza, tetti di spesa per le campagne elettorali (anche per le europee), detrazioni fiscali per i privati che donano ai partiti.

Il testo predisposto dalla commissione Affari costituzionali non è comunque definitivo, perché manca il parere sulla copertura di bilancio. Il nodo, a quanto pare, è costituito dalle detrazioni fiscali al 38 per cento (previsto nella bozza) per le erogazioni liberali tra i 50 e i 10mila euro a favore dei partiti. C’è infatti il problema che esse devono essere equiparate a quelle per le Onlus (che sono al 19 per cento): si era pensato di portare queste ultime al 38 per cento, ma sarebbe troppo per le casse dello stato. Le ipotesi sul tavolo, perciò, sono due: o abbassare la percentuale per i partiti portandola al 19 per cento; o portarle entrambe al 27 per cento. Si saprà oggi.

Anche la norma che prevede di legare il rimborso pubblico alla presenza di un eletto ha suscitato qualche perplessità ed è possibile che sia modificata, ma non nella sostanza: al massimo si pensa di lasciare questo vincolo per la quota del 70 per cento, e di toglierla per quella del 30. Con il che la coscienza del Palazzo è salva, la democrazia un po’ meno.

 

Condividi