di Michele Ciliberto - tratto da Strisciarossa

 

È finita la paura, il centro-sinistra è riuscito a tenere in Toscana, Campania e Puglia. Le previsioni azzardate con orgogliosa sicurezza dal leader della Lega sono state frantumate dal voto degli elettori con un’energia che non si sarebbe sospettata.

Si capisce dunque che i capi del Partito Democratico cantino vittoria: lo fanno con un’intensità pari, almeno, alla paura che hanno avuto di perdere in maniera catastrofica coinvolgendo anche le sorti del governo.

È curioso che in questo bilancio non si faccia mai conto reale della sconfitta nelle Marche che pure è stata pesante, specie se si tiene conto che quella bellissima regione era governata dal centro-sinistra da alcuni decenni. Ma non è su questa rimozione che voglio insistere. Del resto, come è noto, la memoria è selettiva, ma lo sono anche i giudizi che vengono dati sul proprio tempo. Il cervello dell’uomo funziona, si potrebbe dire, rimuovendo sulla base dei propri interessi.

Il punto sul quale vorrei in modo sintetico richiamare l’attenzione è un altro e lo faccio svolgendo considerazioni di ordine generale che mi sembrano però particolarmente importanti in questo momento. Sintetizzo così il mio pensiero: non riesco a vedere i motivi di tutta questa soddisfazione, a meno che non si pensi, appunto, al respiro di sollievo che si tira quando si scampa un pericolo che sembra imminente o addirittura mortale. È vero: il PD ha tenuto in Toscana – e mi riferisco in modo particolare a questa regione perché è quella in cui vivo e ho potuto quindi seguire meglio le dinamiche elettorali -; soprattutto negli ultimi giorni si è addensata intorno al candidato un’ampia maggioranza che ha spinto addirittura qualcuno a dire che quello toscano è il PD più forte in Italia. È difficile però, proprio di fronte a questo risultato, non tener presente che esso è stato soprattutto il frutto di una dura resistenza alla possibile invasione degli Hyksos. Di fronte al pericolo, e in maniera via via più compatta, i toscani si sono rinchiusi in una sorta di Fort Apache impedendo con tutte le loro forze che il loro territorio fosse devastato. A Firenze per il candidato del centro-sinistra hanno votato 280.000 cittadini. Alla base di questa resistenza ci sono molte cose: la storia e la cultura politica della Toscana, la buona azione di governo di Enrico Rossi – soprattutto nel periodo del Covid -, la presenza in Regione di forze – e qui andrebbe fatta un’indagine di carattere generazionale – che si riconoscono ancora nei valori dell’antifascismo e che quando hanno visto concretizzarsi il pericolo sono scesi in campo e si sono battuti andando a votare.

Una resistenza, come ho cercato di dire, intorno a valori che vengono da lontano e che nonostante tutto continuano a parlare, per fortuna, a una larga fascia di cittadini, almeno in Toscana.

Un sistema in crisi profonda

Questo non toglie, e su ciò vorrei richiamare l’attenzione, che anche il “sistema” toscano (così forte, così strutturato), sia oggi in una crisi assai profonda che viene anch’essa da molto lontano e che si intreccia alla decadenza, in generale, del sistema italiano congiungendosi al declino dei vecchi assetti europei. È un “intero” che è entrato in una lunga crisi, non una parte, ed è con questo livello della crisi che bisogna confrontarsi. In questa situazione merito del governo di Enrico Rossi è stato quello di contenere questa crisi radicale, senza riuscire a intaccarne in modo effettivo le radici, Né per altro era facile, trattandosi di una crisi, come si è detto, che va ben oltre i confini regionali.

Il nostro mondo è investito da trasformazioni che stanno mutando in profondità, assetti, strutture, comportamenti che lo hanno dominato e governato per lunghe fasi della storia sia nazionale che europea. Questo è il punto da cui partire sempre per giudicare quello che avviene intorno a noi, anche a casa nostra. Resta certamente il conflitto tra capitale e lavoro – e finché ci sarà, Marx avrà sempre qualcosa da dire -, ma le forme dello sfruttamento sono profondamente cambiate perché è mutato in profondità il carattere del lavoro che si è distaccato dai suoi luoghi tradizionali e si è “disseminato” nel territorio con un processo di “astrazione” mai visto in questi termini nella storia. Tutti fenomeni accentuati dal Covid, come conferma, per fare il caso più ovvio, l’esperienza dello smart-working. Per capire dove siamo bisogna sapere che viviamo un’epoca di trasformazioni radicali e profonde nei rapporti produttivi, sociali, politici; delle identità culturali, antropologiche, religiose; dei rapporti interpersonali, delle sensibilità e degli atteggiamenti nei confronti della vita e della morte. Un’epoca quindi di trasformazioni radicali che richiede analisi e politiche radicali se non si vuole essere sommersi, discriminando anche all’interno dei processi che si stanno svolgendo ormai da decenni.

Processi di liberazione degli individui

Sarebbe infatti sbagliato, a mio giudizio, esprimere su tutto ciò una valutazione negativa; sbagliato e anche stupido sia sul piano intellettuale che su quello politico perché sono trasformazioni nelle quali si esprimono anche processi di liberazione degli individui – degli uomini e delle donne – da antichi ceppi che ne hanno compresso a lungo emancipazione e libertà. Bisogna saper guardare ciò che avviene intorno e dentro di noi. Un mondo sta finendo, un altro sta venendo alla luce in maniera faticosa e contraddittoria come avviene in passaggi d’epoca come questo che noi stiamo attraversando, in cui orientarsi non è facile, tanto meno individuare la strada che è giusto seguire.

Venendo al punto che mi interessa in modo particolare quello che voglio dire è questo: gli eventi e i mutamenti, anche di carattere politico ed elettorale, vanno situati in questo magma ed è con esso che occorre fare i conti in modo particolare da parte delle forze di sinistra che dovrebbero essere le forze del cambiamento. Ma per fare questo bisogna uscire dalla dimensione della resistenza, come è accaduto in Toscana, oppure – e qui mi riferisco alla Puglia e alla Campania – non risolvere l’identità profonda di un partito – per quanto profondamente trasformato – nella personalità e nell’azione di capi che sono disposti a giocare in modo spregiudicato tutte le carte possibili per aggiudicarsi la vittoria. Nella resistenza in Toscana e nelle vittorie in Puglia e in Campania bisogna saper guardare cercando di capire come si sono determinate e che cosa le ha determinate – con uno sguardo libero, senza moralismi, ma confrontandosi con la realtà, quale essa è.

Una forza alternativa e riformatrice

Se io dovessi dire qual è la lezione che viene da queste elezioni e anche dai caratteri delle vittorie conseguite – perché è su questo che, lo ribadisco, bisogna concentrare l’attenzione – direi che essa consiste in ciò: occorre mettersi subito a lavorare per la costituzione di una forza politica alternativa e riformatrice – un campo largo, come dice qualcuno – che, assumendo fino in fondo le trasformazioni in atto, sia in positivo che in negativo, si ponga in un orizzonte politico che non è quello della resistenza o della difesa con le unghie e con i denti di un antico patrimonio, ma si confronti fino in fondo con le novità dell’epoca straordinaria che ci è toccato in sorte di vivere. Per usare una coppia famosa: una “guerra di movimento”, non una “guerra di posizione”. Per fare ciò occorre scendere dalle nebbie delle ideologie e delle chiacchiere che ci vengono ammannite da tanti pulpiti – si resta sgomenti leggendo le dichiarazioni del leader di Italia viva – scendendo alla concretezza dei rapporti effettivi, delle trasformazioni reali, dei conflitti e soprattutto delle diseguaglianze profondissime della nostra società per rimettersi in cammino. Da qui bisogna partire, dall’analisi e dalla presa d’atto delle diseguaglianze che devastano le nostre società.

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