La sfida del Sudafrica - di Rafael Poch
La giustizia internazionale è uno strumento del potere al servizio delle potenze egemoni, dice Perry Anderson, autorevole storico marxista britannico, tra i fondatori della New Left, che insegna all’Università della Califonia. Non bisogna farsi illusioni. La Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite, per fare un esempio, non si è mai occupata delle invasioni e delle occupazioni fatte dagli Stati Uniti o dai loro alleati dopo la Seconda Guerra Mondiale, le ha benedette o taciute. Eppure, spiega Rafael Poch, a volte ci sono delle crepe nel muro delle leggi fatte dai potenti attraverso le quali si insinuano alcune opportunità di giustizia. È il caso di quel che accade oggi con la sfida che il Sudafrica – con i molti altri Stati che lo hanno seguito e i tanti altri soggetti non statali che hanno invocato il diritto internazionale prima contro l’apartheid e i crimini di guerra e infine contro il genocidio in corso a Gaza – ha lanciato a Israele e ai suoi complici. Per arrivare a una sentenza ci vorranno anni, ma sarà difficile che il tribunale dell’ONU possa non riconoscere i fatti e non chiedere a fine gennaio a Israele di sospendere subito il massacro
Ottobre 2023. In una manifestazione a Londra si chiede già la fine del genocidio dei palestinesi. Foto Wikipedia
“Il diritto internazionale non è né veramente internazionale né genuinamente un diritto”, è ideologia: una forza ideologica al servizio dell’egemonismo e dei suoi alleati ed è, insieme, un formidabile strumento di potere”, sostiene lo storico britannico Perry Anderson. Fondamentalmente, la “giustizia internazionale” è uno spettacolo.
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi, nessuna guerra degli Stati Uniti ha meritato l’attenzione della Corte Internazionale di Giustizia, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite. Le invasioni e le occupazioni degli Usa e dei loro amici sono state benedette o taciute, mentre quelle degli avversari sono state condannate quando non diventate oggetto di intervento bellico. Tutto questo lo sapevamo già.
Sappiamo anche, fin dai tempi dei Romani antichi, che un mondo con certe regole – seppure fraudolente o non seguite, oppure che vanno osservate solo da alcuni e non da altri – è comunque meglio che un mondo con una loro totale mancanza. Dopotutto, pur essendo la legge un dettame dei potenti, è preferibile alla sua assenza. A volte ci sono delle crepe nel muro dei potenti attraverso le quali si insinuano alcune opportunità di giustizia.
La denuncia d Israele, da parte del Sudafrica, per il genocidio di Gaza è più di una di queste opportunità. Formalmente impeccabile, è una sfida aperta agli Stati Uniti, la potenza che da decenni protegge e benedice il massacro dei palestinesi. L’equipe sudafricana, guidata da John Dugard, che è stato difensore di Nelson Mandela e Desmond Tutu nonché relatore delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori Palestinesi occupati, mette in luce la pochezza dei regimi arabi, che sono stati incapaci di compiere un passo simile.
Le prove della denuncia sudafricana non provengono da fonti palestinesi, ma da fonti dell’ONU stessa, l’istituzione per la quale lavora la Corte internazionale di giustizia. Questo massacro non solo è stato trasmesso in diretta in tutto il mondo, ma il suo intento genocida è confermato da una moltitudine di dichiarazioni delle autorità israeliane.
Sarà molto difficile che il tribunale non riconosca i fatti e non esiga alcune misure cautelari preliminari di obbligatorio e immediato adempimento.
In tal caso, cosa accadrà a tutti quei paesi, compreso il nostro (la Spagna, ndt), che forniscono armi e appoggio politico a Israele? Cosa accadrà ai cagnolini europei complici del blocco di Gaza, in particolare a Germania, Francia e Paesi Bassi, che hanno avvalorato il “diritto di Israele a difendersi”? “La Germania si ritroverà dalla parte sbagliata della storia per la seconda volta?” si domandava mercoledì la ministra belga per gli aiuti allo sviluppo Caroline Gennez.
Giovedì né il principale telenotiziario tedesco, né quello francese, per non parlare di quelli statunitensi, hanno citato la prima sessione dell’udienza all’Aia. Il notiziario di France 24 ha menzionato le “motivazioni di politica interna” che spiegherebbero la denuncia sudafricana. Cosa diranno i media se l’azione della Corte dell’Aia sarà abbastanza decente, per esempio? Se accetterà la richiesta secondo cui Israele deve “sospendere immediatamente le sue operazioni militari dentro e contro Gaza”, deve fermarsi e desistere dall’uccidere e causare gravi danni fisici o mentali ai palestinesi, dall’applicare loro condizioni di vita progettate per distruggerli in tutto o in parte, e dall’imporre misure per prevenire le nascite palestinesi, come chiedono i sudafricani?
E se accadesse il contrario? Se il tribunale agisse secondo la funzione per la quale è stato concepito e si rifiutasse di adottare misure cautelari, il che equivale a una luce verde per “continuare il massacro”? Ciò a cui assisteremo, in quel caso, sarà un ulteriore capitolo del “infame epilogo dell’Occidente”, un nuovo passo avanti nella debacle del prestigio occidentale e delle sue istituzioni nel mondo i cui sintomi stiamo vedendo in una serie vertiginosa di eventi.
Fonte: comune-info.net
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