Se persino al festival del giornalismo di Perugia Assange è scomodo.
di Vincenzo Vita.
L’ormai consolidato Festival di giornalismo di Perugia, in programma da ieri alla prossima domenica 23 aprile, ha una lacuna non banale. Visto che si tratta di appuntamento che ha a cuore i temi dell’informazione, cercando di avere uno sguardo verso il villaggio globale, è ben curioso che manchi un dibattito dedicato al drammatico caso di Julian Assange.
Nella passata edizione fu invitata la giornalista e scrittrice Stefania Maurizi, che presentò il suo libro Il potere segreto (2021), articolatissima trama su di una vicenda che -comunque- farà storia e precedente. Tuttavia, quest’anno sarebbe stato persino più importante riprendere l’argomento. Il fondatore di WikiLeaks è in attesa di conoscere se e quando verrà accettato l’appello inoltrato ai giudici dal collegio difensivo (di cui è parte la moglie e avvocata Stella Moris) contro l’estradizione negli Stati Uniti. E là lo attende una condanna a 175 anni di carcere per la presunta violazione di una legge del 1917 sullo spionaggio (Espionage Act). Nel frattempo, però, le condizioni psico-fisiche di Assange sono peggiorate ed è estremamente importante, quindi, alzare la voce prima che sia troppo tardi.
Se ciò non avviene in un importante festival tematico, dove mai potrebbe alzarsi la richiesta di libertà? Numerose personalità hanno fatto sentire la propria opinione e varie municipalità hanno attribuito al giornalista australiano (riconosciuto profesionalmente dallo stesso ordine dei giornalisti italiano e sostenuto dalla federazione della stampa) la cittadinanza onoraria.
Non per caso a Perugia sono presenti gli attivisti di Free Assange Italia e Amnesty International, per ricordare che è disponibile un altro libro assai significativo, Il Processo a Julian Assange di Nils Melzer, fino a poco tempo fa Relatore delle Nazioni Unite sulla tortura e tra i primi a lanciare l’allarme sullo stato del prigioniero, tenuto senza processo di merito in un orrido istituto londinese, noto come la Guantanamo inglese.
Ecco perché il buco nel programma di una discussione aggiornata appare sgradevole.
Se pure nei luoghi in cui la tutela del sacro diritto di cronaca sembrerebbe essere la base stessa dell’intero palinsesto si tende a cancellare e a rimuovere un capitolo tanto doloroso, allora qualcosa davvero non va.
Legittimo diviene il timore che il clima politico e culturale generale possa influire, determinando presenze e assenze.
La speranza è che siano solo supposizioni pessimiste e che l’organizzazione del festival, costituita da figure una volta assai impegnate nel movimento per la libertà di informazione, voglia smentire. Ciò significa riprogrammare magari un panel, in nome del rispetto di un principio democratico cruciale e dell’attenzione ad una vita umana.
Julian Assange siamo tutte e tutti noi. Oggi tocca a lui, ma domani bavagli e cesure, attacchi e repressioni potrebbero toccare chiunque.
La storia ci insegna e non avere memoria è un peccato mortale.
Buon festival, dunque, con molta amarezza.
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