Se non piace “rivolta”, chiamatelo “conflitto”. di Stefano Vinti
Se non piace “rivolta”, chiamatelo “conflitto”.
Lo sciopero generale di venerdì 29 novembre è stato un successo, sono i numeri che lo confermano: 500.000 lavoratori e lavoratrici, nonché tanti “subordinati”, in oltre 40 piazze, con un'adesione allo sciopero di oltre il 70%. Ha visto la “convergenza” di tante sigle dei sindacati di base, in corteo contro l'economia di guerra, con tanti studenti mobilitati, così come i ricercatori universitari. Quindi, un successo di CGIL e UIL.
Bella la piazza anche di Terni, con circa 5.000 presenze.
Insomma, una “rivolta buona”.
Sergio Bologna ci ricorda sul Manifesto che nel 2023 il profitto delle imprese italiane, prima della deduzione degli interessi passivi e delle imposte, è mediamente del 6,6%, il miglior livello dal 2008.
Una ricerca della Facoltà d'Ingegneria della Sapienza ci dice del grande travaso della ricchezza dal lavoro al capitale. I soci hanno prelevato come dividendi l'80% degli utili netti e hanno lasciato il 20% come autofinanziamento di nuovi investimenti. Questi pochi investimenti delle imprese sono stati solo per il 40% in materiali nelle fabbriche e, per il 60%, finanziari.
L'Istat a settembre scrive: “I 46 contratti collettivi nazionali in vigore per la parte economica riguardano il 47,5% dei dipendenti; i contratti che a fine settembre 2024 sono in attesa di rinnovo ammontano a 29 e coinvolgono circa 6,9 milioni di lavoratori dipendenti, il 52,5% del totale”.
Quindi, la maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori sta lavorando con contratti scaduti, cioè con una diminuzione dei salari e degli stipendi, cui si aggiunge un livello d’inflazione molto pesante. Una stagnazione dei salari che perdura dagli anni ‘90 e che continua.
Le trattative del contratto dei metalmeccanici, del contratto dei trasporti e della logistica, cioè di settori strategici che coinvolgono centinaia di migliaia di lavoratori, sono interrotte a causa della chiusura alla trattativa del padronato.
Questa finanziarizzazione è di fatto una “lotta di classe dall'alto”, come ci ha insegnato Luciano Gallino.
Sono considerazioni che non scendono fino al vero inferno degli appalti e dei subappalti, impastati come sono d’illegalità, caporalato, sfruttamento, schiavismo e morti, prevalentemente un privilegio riservato ai lavoratori immigrati nelle campagne, nella logistica, nelle costruzioni.
In una situazione in cui scompaiono i diritti minimi del lavoro, ma tutto è sacrificato al profitto e a remunerare gli azionisti, il conflitto sociale diventa la logica conseguenza, perché non ci sono più margini di compromesso anche al ribasso, dove l’80% dei profitti va agli azionisti e più del 50% dei lavoratori ha il contratto scaduto.
Se a lor signori non piace la parola “rivolta” (termine che condivido, perché allude alla drammatica situazione sociale in cui versano milioni di persone), si potranno accontentare di una stagione di conflitto sociale, per redistribuire la ricchezza a favore di chi la produce, per conquistare diritti, per l'uguaglianza e per riprendersi la dignità.
Stefano Vinti
Associazione UmbriaLeft
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