Il 4 dicembre 2016 è stato uno spartiacque. Ha vinto l’idea della democrazia dei check and balance contro la democrazia maggioritaria del capo, dove chi vince prende tutto. Io resto fermo lì, anche in questo drammatico passaggio della storia della Repubblica. Si configura a tutti gli effetti uno scontro istituzionale senza precedenti, dove almeno la metà delle forze presenti in Parlamento e nel paese mettono in discussione la lealtà alla nazione delle scelte operate dal Capo dello Stato. Il mio No, forte, chiaro, senza equivoci, allora fu esattamente a quel tipo di concezione del potere istituzionale, che trasformava il Parlamento in un soprammobile, il Quirinale in un passacarte e l’esecutivo nei fatti nel dominus assoluto. Quel disegno voluto da Renzi e Boschi era sbagliato. Tuttavia, non sono disponibile a concedere a Salvini e Di Maio quello che non concessi allora ai leader del Pd. D’altra parte, forse andrebbe fatta un po’ di chiarezza sull’andamento della crisi di questi drammatici 80 giorni. Arrivano a comporre un contratto di governo due forze alternative tra di loro, almeno durante il turno elettorale del 4 marzo. Nessuno tra Lega e Cinque Stelle, per quanto il timbro sovranista fosse presente nella retorica dei suoi leader, si era presentato con l’obiettivo di portare il paese fuori dall’euro. Il Contratto di Governo inizialmente era chiaramente allusivo sul cosiddetto piano B ovvero l’uscita dall’euro, successivamente questo punto era stato depennato, lasciando lo spazio a un’ambiguità fortissima. Doveva essere un governo politico, ma i due galli nel pollaio avevano deciso che doveva andarci una terza figura, un professore dal curriculum traballante, nemmeno candidato alle elezioni. Infine, lo scontro sul Ministero dell’Economia, con Savona come ariete per la destabilizzazione definitiva del quadro politico europeo. Questo lo scenario vero. Nessuno mi toglie dalla testa che Di Maio e Salvini abbiano sperimentato una sorta di “stress test” sulla tenuta istituzionale, sull’Unione Europea, sulla tenuta del sistema economico e finanziario del paese. Senza porsi il tema delle conseguenze sul paese. E il leader della Lega ha giocato davvero in maniera spregiudicata La Carta Costituzionale va letta tutta: e il rapporto tra le prerogative del Capo dello Stato e delle maggioranze che si costituiscono in Parlamento non può essere sbilanciato. In queste settimane si è giocata un partita rischiosa, compresa la minaccia permanente di andare al voto, fino addirittura a individuare tre settimane fa una data mentre il Presidente Mattarella era ancora alle prese con le consultazioni. La stessa pantomima sul Contratto e sugli esecutori segnalava una modalità acostituzionale, condita dal proposito oggettivamente eversivo di modificare l’articolo 67 della Costituzione, il vincolo di mandato per i parlamentari. Qui c’è l’iniziativa più pericolosa e insidiosa: trasformare i deputati come esecutori dei capi partito, con il potere di nomina e di revoca del mandato. Per questo bisogna stare attenti. Una cosa è il giudizio politico sul tentativo di alleanza tra Cinque Stelle e Lega, sui suoi contenuti, sulla connotazione ideologica di questa saldatura. Altra cosa è il terreno istituzionale: lì non si gioca come si vuole, la democrazia si regge soprattutto sulla forma e sulla divisione tra i poteri. Questo è il limite che non può essere varcato. Alla sinistra in tutte le sue articolazioni, tuttavia, oggi si pone una domanda di fondo: come difendere la democrazia, le sue regole, i suoi principi senza abdicare a una lettura critica della fase. Le cause che hanno condotto i populisti sulla soglia del Governo sono ancora tutte lì. La diseguaglianza, il bisogno di protezione, la paura profonda dei ceti più esposti alla crisi della globalizzazione, la questione morale. E anche e soprattutto una costruzione del processo europeo improntato all’austerity. Il tema ora è come si combattono le conseguenze politiche che portano alla Flat Tax, alla xenofobia, al sovversivismo delle classi dirigenti. E serve una sinistra che sia all’altezza della grandezza della crisi né subalterna al neoliberismo né al neosovranismo. La sfida sta tutta qui

Articolo per Left di Arturo Scotto​

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