[Volentieri pubblichiamo la presentazione della neonata collana Solaris, dedicata ai classici della fantascienza sovietica, per i tipi di Agenzia Alcatraz. La firmano i traduttori e curatori della collana sotto pseudonimo collettivo, i quali ci hanno anche dato una grossa mano con i testi in lingua russa durante la stesura di Proletkult. In un ideale percorso di avvicinamento all’uscita del nostro nuovo romanzo, questi volumi rappresentano una tappa importante, in particolare quelli di A. Bogdanov, di prossima pubblicazione. Buona lettura. – WM]

LO SPAZIO OLTRECORTINA di Kollektiv Ulyanov

Gli appassionati di letteratura fantastica e fantascientifica sanno che il sogno di esplorazione e conquista dello spazio è stato condiviso da due nazioni – o popoli – che hanno poi materializzato la propria sete di conoscenza ed espansione con reboanti lanci di apparecchi nell’infinita oscurità dell’universo, mettendo persino piede sull’agognato satellite lunare. Gli Stati Uniti e la fu Unione Sovietica sono stati protagonisti di uno scontro durato più di mezzo secolo, di una gara alla colonizzazione spaziale che è, di fatto, terminata con la caduta dello Stato federale comunista nel 1991.

Una battaglia che si compiva non solo a stilettate propagandistiche, ma anche sulle pagine di opere letterarie che hanno fatto la storia di quel genere oggi costretto nell’anglismo sci-fi.

Uno scontro mai davvero aperto fra gli autori delle due fazioni, che ci hanno regalato capolavori da considerarsi pilastri della letteratura tutta, non solo di quei settori troppo spesso definiti di nicchia, di cui la fantascienza stessa ora fa parte. Sì, perché questo genere, soprattutto la fantascienza di inizio Novecento, si componeva di intrugli così visionari e prefiguranti da divenire in seguito realtà; immagini e invenzioni avanguardistiche che tuttavia sono state pian piano dimenticate, al punto da scomparire dagli scaffali delle nostre librerie.

I geni fuggono da Alcatraz

Mettendo piede nelle librerie capita di trovarsi di fronte a scaffali – non molto generosi in verità – di giganti della letteratura fantascientifica. Sul fronte anglofono citiamo, per esempio, Philip K. Dick o Ray Bradbury, su quello russo i fratelli Strugackij, che godono della lingua di Paolo Nori, o il monumento distopico di Evgenij Zamjatin Noi, di recente pubblicato da Mondadori con la pregevole traduzione di Alessandro Niero. Ma che fine hanno fatto i “vecchi” capolavori della fantascienza russa e sovietica? Negli anni sporadiche pubblicazioni sparse in diverse case editrici, spesso piccole, hanno provato a riproporre libri che non dovrebbero mai mancare nel mercato letterario. Eppure, molti di questi titoli ora sono irreperibili, persino nelle biblioteche, togliendo purtroppo agli appassionati il gusto di immergersi in mondi sconosciuti e alternativi, e ripercorrere un pezzo della storia letteraria.

[Fantascienza sovietica: L'uomo anfibio] Agenzia Alcatraz, casa editrice nata solo l’anno scorso dallo stesso gruppo editoriale della “musicale” Tsunami Edizioni, si è prefissa un obiettivo: ripescare le grandi storie della letteratura fantastica e fantascientifica dei paesi dell’ex Unione Sovietica e riunirli in un’unica collana, chiamata, in omaggio a Stanisław Lem e Andrej Tarkovskij, Solaris.

Ad aprire la serie è stato, lo scorso mese, L’Uomo Anfibio (Čelovek-amfibija) di Aleksandr Beljaev(1884-1942), uno dei classici della letteratura fantastica e fantascientifica sovietica, che quest’anno compie novant’anni ed è tornato in auge anche grazie alle notevoli somiglianze con la pellicola vincitrice dell’Oscar come Miglior Film La Forma dell’Acqua di Guillermo del Toro.
La storia del romanzo è incentrata, così come la pellicola del regista messicano, sull’amore impossibile fra una creatura per metà uomo e per metà anfibio e una bellissima ragazza.

Il libro, nonostante sia una lettura agevole e adatta a tutte le età – grazie allo stile leggero e scorrevole che ha sempre contraddistinto la scrittura di Beljaev – affronta tematiche profonde e in cui si possono ritrovare alcune problematiche che tuttora ci troviamo a fronteggiare. Prima di tutto è presente il dilemma sulla legittimità e l’abuso della scienza, argomento quest’ultimo di grande interesse per lo scrittore russo, basti pensare a un’altra sua opera di grande successo, Golova Professora Douelja (La testa del professor Douel’, 1925), dove Beljaev si focalizzava sulla separazione delle diverse parti del corpo e soprattutto sul trapianto di testa, i cui primi tentativi erano già stati eseguiti su animali negli Stati Uniti e Unione Sovietica, e a oggi si prefigurano esperimenti in tal senso sull’essere umano.

Nell’Uomo Anfibio, invece, l’autore mette sotto processo il dottor Salvador, il medico reo di aver compiuto esperimenti prima su animali – creando un serraglio di strane creature degno di un bestiario medievale – e poi sul giovane Ittiandr, il protagonista della storia, che grazie all’impianto di branchie di squalo riesce a vivere tanto sulla terraferma quanto sott’acqua, senza alcuna difficoltà.

In secondo luogo, c’è il tema del diverso che viene dal mare e della paura che quest’ultimo semina fra gli abitanti delle coste. Parole che riecheggiano in un momento in cui l’Italia chiude i porti e fa la voce grossa con gente la cui unica colpa è di cercare una vita migliore e, soprattutto, di annaspare – letteralmente – per la sopravvivenza. Ittiandr è qui simbolo della dissomiglianza, un ragazzo giovane con un aspetto differente dagli altri, e per questo discriminato, messo all’indice, definito mostro e diavolo del mare. Ittiandr, però, è anche dotato di grandi abilità derivate dal trapianto: può stare a lungo sott’acqua, più di chiunque altro, e questo gli permette di recuperare inestimabili tesori sul fondo del mare. Non ci vorrà molto, lungo lo scorrere della storia, perché qualcuno si accorga che quella creatura invisa e temuta può essere, in realtà, fonte di guadagno. E allora, perché non sfruttare il diverso per le sue capacità? Ci pensa il capitano di goletta Pedro Zurita, che imprigionerà Ittiandr sulla sua nave, relegandolo in una grossa tinozza d’acqua per evitare che la mancanza d’acqua uccida il giovane uomo anfibio, obbligandolo a rastrellare il fondo dei mari per procurarsi le perle più pregiate da rivendere al miglior offerente. Un modo d’agire, quest’ultimo, che il nostro caporalato ben conosce.

«Ti sistemerò lì, così non ti soffocherai e ordinerò per te una grossa tinozza di zinco. Magari non servirà, visto che nuoterai ogni giorno nel mare. Sì, con la catena, ma che fare? So che altrimenti te ne andrai coi tuoi granchi e non tornerai più.»

[Alexander Beljaev]

Alexander Beljaev

In ultimo, Beljaev si occupa dell’inquinamento ambientale, aggiungendovi una visione avanguardistica dell’utilizzo delle energie alternative. L’autore ci fa esplorare i fondali del mare del Sud America attraverso gli occhi di Ittiandr e non manca di puntare l’attenzione sui mari contaminati, sebbene il romanzo sia stato scritto all’inizio del Novecento.

Ittiandr sente nelle branchie mille piccoli pizzichi: respirare diventa sempre più difficile. Significa che ha superato il promontorio roccioso. Oltre il promontorio, l’acqua del mare è contaminata di particelle di allumina, di sabbia ed è inquinata con rifiuti di ogni genere.

La voce che, invece, ci narra e suggerisce di un possibile uso delle fonti di energia alternative è quella del dottor Salvador, che durante il processo a suoi danni, pronuncia le seguenti parole:

«Sapete che le acque degli oceani assorbono l’energia del calore solare pari a una potenza di settantanove miliardi di cavalli? Se non fosse per la dispersione del calore nell’aria e altri simili fenomeni, l’oceano sarebbe già in ebollizione da diverso tempo. Si tratta praticamente di una riserva inesauribile di energia. E come viene usata dall’umanità? Quasi in nessun modo.
E la potenza delle correnti marine! La sola Corrente del Golfo assieme a quella della Florida muovono novantuno miliardi di tonnellate di acqua all’ora, ovvero tremila volte più di quanto trasporta un grande fiume. E questa è soltanto una delle correnti marine. E come vengono usate dall’umanità? Quasi in nessun modo.»

A testimoniare il peso dell’Uomo Anfibio nella letteratura pre-Unione Sovietica e, in seguito, della Russia e dei paesi dell’ex blocco sovietico, c’è il grande successo che ancora oggi riscuote il film omonimo del 1961 di Vladimir Čebotarev, uno dei capolavori insuperati del cinema d’avventura fantastico, nonché una citazione da parte del premio Nobel Svetlana Aleksievič nel suo Tempo Di Seconda Mano, nel quale l’autrice bielorussa scrive:

«Sa, qualche volta penso al fatto che il socialismo non risolve il problema della morte. Della vecchiaia. Del senso metafisico della vita. Semplicemente lo ignora. Solo nella religione si trova qualche risposta. Già… Avessi detto una cosa del genere nel 1937, sai cosa mi sarebbe…
… L’ha letto L’uomo anfibio di Aleksandr Beljaev. Racconta di un geniale scienziato che per rendere felice il figlio lo trasforma in un uomo anfibio. Ma ben presto il figlio si annoia a starsene tutto solo nell’oceano. Vuole essere come gli altri: vivere sulla terraferma, amare una ragazza. Ma questo non è più possibile. Ed egli ne muore. Il padre si era illuso di aver penetrato il mistero della vita… Di essere diventato Dio! Eccola la risposta a tutti i grandi utopisti!
… l’idea era magnifica! Quanto ad applicarla all’uomo… L’uomo non è cambiato dai tempi dell’antica Roma…»

Fughe interstellari sul Pianeta rosso

A continuare la collana saranno due opere dell’economista, sociologo, scienziato della natura, filosofo, critico d’arte, psicologo, medico, fondatore del Proletkul’t Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij (1873-1928), meglio noto come Bogdanov, il più grande scrittore di fantascienza prima della Rivoluzione del 1917.

[Fantascienza sovietica: Stella rossa] Bogdanov, nel corso della sua vita, pubblica soltanto due romanzi, entrambi ambientati su Marte: Stella Rossa e il suo prequel Ingegner Menni. Proprio questi saranno il numero due e tre della collana Solaris e nel secondo verrà incluso anche Un marziano abbandonato sulla Terra, poema incompiuto che nei piani dell’autore doveva essere la prosecuzione di Stella Rossa, quello che è, senza dubbio, il suo capolavoro.

Il libro, scritto dopo la sanguinosa Rivoluzione del 1905, racconta del viaggio su Marte di Leonid, giovane matematico e rivoluzionario marxista, il quale vive a San Pietroburgo, che un giorno riceve la visita di un misterioso individuo di nome Menni. I due ben presto sviluppano un’intesa, dettata dalla fervente passione per le idee rivoluzionarie e per i principi e lo sviluppo scientifico. Menni, che si scoprirà essere un marziano, invita Leonid ad accompagnarlo in un viaggio interspaziale, che terminerà sul Pianeta rosso. Una volta atterrato, il terrestre inizia a studiare la civiltà socialista marziana. Notando il livello di avanzamento sociale, lo sviluppo delle fabbriche, delle scuole, delle strutture mediche, dei musei e degli istituti di ricerca su Marte, Leonid si convince della superiorità del socialismo marziano rispetto al capitalismo che in quel momento imperversa sulla Terra.

Per ora non andiamo oltre, poiché ci sarà modo di parlare in maniera diffusa dell’opera di Bogdanov nei mesi a venire. Certo è che Stella Rossa, a dispetto delle duecento e poco più pagine che conta, si dimostra un testo profondo, sfaccettato e, a posteriori, profetico. Il romanzo affronta temi cruciali come il dilemma dell’idealismo socialista e della visione bogdanoviana dell’organizzazione armonica e artistica della cultura proletaria proiettata in un intreccio utopico già chiaro nel sottotitolo dell’opera: Romanzo-utopia. Si prendono in esame, inoltre, argomenti quali lo sviluppo scientifico e tecnologico, portato e spinto sino all’esasperazione nella società marziana, quasi ponendo un pionieristico interrogativo sulla sostenibilità e sul rispetto del pianeta.

Il quarto titolo, Aelita di Aleksej Tolstoj (in uscita per la primavera del 2019), si svolge anch’esso sul Pianeta rosso, dove il mito di Atlantide, l’amore fra il russo Los’ e la bellissima principessa marziana dalla pelle blu Aelita si intrecciano a freschi venti rivoluzionari e al dramma di un mondo morente. Dal libro è stato tratto il capolavoro omonimo del cinema sovietico muto diretto da Jakov Protazanov.

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