di Fosco Taccini

Vite che si rincorrono e avventure che lasciano segni densi di significato. Frammenti di realtà mitragliati oltre i confini della fantasia. Situazioni ad alto tasso di pericolosi sviluppi. Questa è solo una breve carrellata di possibili scenari quando al centro c’è Rosa “Sickrose” Kerr.
Scoprire alcuni dettagli su di lei è un’occasione unica. Quindi, le parole che seguono possono avere un valore molto vicino a quello delle pietre preziose più affascinanti…

Da María del Rosario a Rosa Mala, e poi a Sickrose. Vuoi raccontarci i punti salienti di queste “trasformazioni”?
“La prima è la ragazzina che ero molto tempo fa in Bolivia, prima che i sicari del ‘Rey de la Cocaina’ facessero visita alla mia famiglia. La seconda è ciò che diventai una volta sola al mondo, imparando a rimuovere quasi del tutto i sentimenti; era questo che mi consentiva di assumere altre identità, infiltrarmi, rubare e uccidere. La terza è il risultato dell'addestramento ricevuto dall'organizzazione di Eduardo Contreras: quanto avevo appreso da autodidatta venne perfezionato e applicato in maniera più professionale al mondo dell'intelligence. A loro serviva un'assassina perfetta, io lo diventai”.

Cosa rimane del passato in Rosa “Sickrose” Kerr?
“L'istinto della sopravvivenza. A dodici anni mi salvai nascondendomi in un armadio. Da quella notte non voglio più nascondermi. Per questo ho voluto imparare ad affrontare qualsiasi avversario. Ma da certe esperienze non si esce mai: gli esperti lo chiamano ‘disordine da stress post-traumatico’. Ancora oggi dormo con i muscoli in tensione, sempre pronta a reagire a qualsiasi attacco”.

La missione che ti ha segnato di più?
“Santo Domingo, 2003. al servizio di Eduardo Contreras. Qualcuno non obbedì alle mie istruzioni e ci andarono di mezzo due vite innocenti. Ma preferisco non parlarne”.

Arma preferita?
“Il karambit indonesiano. Viene chiamato ‘l'artiglio della tigre’, per la sua lama ricurva e per il fatto che l'anello nel manico consente di cambiare la presa, facendolo ruotare in avanti in estensione. Ho imparato a usarlo durante l'addestramento a Cayo Almirante”.

Il tuo difetto migliore?
 “Non lasciarmi frenare dall'empatia. Altrimenti non potrei fare ciò che è necessario, quando è necessario”.

Una suggestione di Matadora…
“L'inizio della mia nuova vita. Per qualche tempo mi ero dovuta accontentare di lavoretti criminali a Barcellona, poi di qualche collaborazione con Nightshade, infine ero tornata a lavorare per Eduardo Contreras. Dopo Matadora, sono indipendente. Faccio quello che decido io di fare”.

 A che livello sono, ora, i tuoi rapporti con Mercy “Nightshade” Contreras?
“Buono, anche se è parecchio che non ci vediamo. In contrasto con suo padre, Eduardo Contreras, Nightshade ha fatto di tutto per non diventare come lui. Quindi, a dispetto di esperienze simili alle mie, è ancora in grado di provare sentimenti. Siamo state avversarie per un paio di anni, ma da quando non ho più avuto necessità di ucciderla siamo diventate alleate e persino amiche. E, se non fosse stato per i miei consigli, non si sarebbe mai messa con Carlo Medina”.

 A cosa ti fa pensare la parola: diamanti…
“Al mio ultimo lavoro, in Belgio. Come si sarà capito, non sono il tipo di donna che aspira a un anello di fidanzamento. Li consideravo un interessante bene-rifugio, finché non ho scoperto che di alcuni bisogna appropriarsi e liberarsi in tempi molto rapidi, in modo da nasconderne le origini scomode. Quindi per me sono diventati un mezzo, anziché un fine”.

Rivelaci alcuni aspetti di essere la compañera de trabajo di Carlo Medina.
“Lo trovo un ottimo complice, preciso, attento ai dettagli. So che un tempo il suo lavoro consisteva nell'avere idee e che poi ha imparato ad applicare la propria creatività al crimine. E si vede. Ma, come nel caso di Nightshade, riconosco in lui qualcosa di simile a me: deve avere a sua volta qualche trauma di cui evita di parlare. Avverto, soprattutto, una necessità esistenziale di rivalsa che lo spinge a non arrendersi mai”.

Come procede la Terapia Sickrose per la tua allieva Vida Martínez?
“In modo promettente. A quanto pare, mi trovo a mio agio con le persone che, in qualche modo, in passato hanno subito una ferita. E questo, mi rendo conto, potrebbe essere un pericoloso segnale di empatia. Ma, quando l'ho conosciuta, Vida aveva bisogno di uno scopo e a quanto pare sono diventata il suo modello di riferimento. Perciò sto facendo per lei ciò che i miei addestratori hanno fatto per me. Hai citato i diamanti: per restare in tema, è come tagliare un diamante grezzo”.

Quali sono i lati positivi di intraprendere una nuova vita alle Bahamas?
“Non proprio alle Bahamas, ma è meglio non rivelare dove vivo ora e sotto quale nome. A Nassau si trova il mio consulente finanziario, che mi garantisce interessi elevati, anche se ogni tanto ha qualche problema che poi devo essere io a risolvere... Vida e io, ultimamente. A parte questo, l'indipendenza economica è un'esperienza nuova e piacevole. Rimane un unico problema. Non sono ancora riuscita a capire se persone come me - e come Nightshade o Medina - siano davvero capaci di smettere. O se invece sentiremo sempre il bisogno di una sfida da affrontare, nel perenne tentativo di liberarci del senso di sconfitta che, molto tempo fa, ci ha fatti diventare come siamo”.

Foto: una rara immagine di Rosa “Sickrose” Kerr, grazie ad Andrea Carlo Cappi

Continua…

Chi desidera essere paracadutato direttamente in uno di questi scenari… può leggere François Torrent – Sickrose – Compañera – Collana Segretissimo Mondadori.

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