di Maria Pellegrini

 

Marco Ulpio Traiano, primo provinciale seduto sul trono di Roma non per diritto dinastico ma per adozione essendo considerato il miglior candidato possibile alla successione. Nel 96, alla morte di Domiziano, terzo e ultimo dei Flavi, l’aristocrazia senatoria porta al potere l’anziano senatore Marco Cocceio Nerva, che dà inizio alla serie degli imperatori adottivi (Traiano, 98-117; Adriano, 117-138; Antonino Pio, 138-161; Marco Aurelio, 161-180) sotto i quali l’impero conosce un periodo di maggiore stabilità e prosperità economica senza più soffrire troppo il travaglio della lotta tra Principe e Senato.

Nerva, non avendo figli, adotta Traiano, allora governatore della Germania, che all’atto stesso della sua adozione (nell’autunno del 97) è designato alla successione. A differenza di tutti i suoi predecessori non è nato in Italia ma in Spagna, una delle province più romanizzate. Tipico rappresentante di quella borghesia municipale che i Flavi avevano inserito nella classe dirigente, figlio di un ex console, Traiano ottiene il consolato nel 91 per i suoi meriti di valoroso condottiero. Questo fatto indica da un lato il grande sviluppo economico e politico delle province nel corso del I secolo d. C., e dall’altro testimonia che l’impero sta diventando uno stato sovranazionale in cui la provenienza da una provincia non costituisce più un fattore di discriminazione. Le province del resto desiderano un governo più sollecito nei confronti dei loro interessi e aspirano a non essere considerate più come paesi vinti. La nobiltà senatoria, abbandonato ormai da tempo ogni sogno di un’impossibile restaurazione repubblicana, auspica che il potere imperiale sia acquisito non per diritto di sangue, ma per meriti personali, capaci di indicare “l’uomo migliore”. La classe dirigente, influenzata dalla filosofia stoica ma anche per reazione al dispotismo di Domiziano, vede nel sistema dell’adozione una garanzia di libertà contro ogni tendenza autoritaria.

Traiano, eletto imperatore riesce a essere apprezzato da tutti, dai provinciali per le origini ispaniche, dai legionari che ne riconoscono il valore militare, dal popolo per i sussidi alle famiglie indigenti e la saggia amministrazione della cosa pubblica, dal Senato che gli conferisce il titolo di “optimus princeps”.

Ma il campo in cui egli manifesta grande decisione è quello della politica estera dove due problemi in particolare si pongono per la sicurezza dell’impero: allontanare dalle province danubiane il pericolo dei Daci, già fattisi minacciosi sotto Domiziano, e risolvere i rapporti con i Parti, secolare nemici di Roma sul confine orientale. Riprendendo vigorosamente le tradizioni aggressive della repubblica, egli spera di procurare, con le nuove conquiste, bottino, schiavi, risorse minerarie per restituire dinamismo all’economia.

La conquista della Dacia avviene negli anni compresi tra il 101 ed il 106, e si conclude con la sua annessione all’impero romano e la trasformazione in provincia. Sono guerre di conquista quelle di Traiano, dunque aggressive e cruente: scontri efferati, stermini e rappresaglie senza pietà per i vinti, lotte acerrime, incendi, assedi, preclusione degli approvvigionamenti, difesa eroica e disperata degli assediati trucidati o ridotti in schiavitù, atti di eroismo come il suicidio volontario del comandante romano Longino per sottrarsi al tentativo di ricatto dei Daci, e quello del re Decebalo che preferisce togliersi la vita tagliandosi la gola piuttosto che cadere in mani romane e sfilare in catene durante il trionfo del vincitore. Ma questi tragici eventi di una guerra truce e violenta, grazie al successivo sfruttamento dei giacimenti auriferi presenti nella nuova provincia, valgono il superamento di una pericolosa congiuntura economica in cui l’impero versa. Circa il bottino di monete d’oro, d’argento, oggetti preziosi e schiavi, sono state riportate cifre iperboliche e incredibili, ma a testimonianza dei numerosi tesori razziati sono scolpite sulla Colonna Troiana le scene dei soldati romani che trasportano sui muli il voluminoso frutto dei loro saccheggi. Dalla conquista della Dacia viene all’imperatore grande prestigio perché le nuove terre assicurano masse di schiavi, la possibilità di insediare coloni italici, e consentono il raggiungimento di una stabile linea difensiva per sbarrare il passo alle infiltrazioni di barbari verso occidente. Ma Traiano non si dimostra solo un eccellente comandante di eserciti, a Roma egli intraprende grandi opere pubbliche. Avvalendosi del grande architetto Apollodoro di Damasco, realizza l’ultimo e il più imponente dei Fori imperiali, che comprende due biblioteche (una di lingua latina e l'altra di lingua greca), la basilica Ulpia, un grande complesso di mercati coperti su tre piani, i Mercati Traianei, simili a un centro commerciale d’oggi, con circa 150 botteghe, e la grande Colonna Traiana, capolavoro della scultura romana, alta circa 30 metri, larga 4 e sormontata da una statua dell’imperatore. In un lunghissimo fregio di grande interesse documentario, che avvolge il suo fusto per tutta la sua altezza, tuttora rivivono scolpite le battaglie vittoriose per la conquista della Dacia.

 Contemporanea alla campagna conclusiva contro i Daci è la conquista dell’Arabia nord-occidentale trasformata nella Provincia arabica. Alquanto successiva è la lunga guerra contro i Parti (114-117). L’imperatore organizza una grande campagna militare per la conquista dell’Oriente sulle orme di Alessandro Magno. Rivive in Traiano il grande sogno di Crasso e Cesare di debellare il regno dei Parti. Inizialmente l’invasione ha un grande successo. La stessa capitale Ctesifonte, cade in mano romana. Ma quando la vittoria appare vicina, una grande rivolta ebraica, scoppiata in Egitto, a Cirene e a Cipro, dilaga in tutto l'Oriente e costringe Traiano a ritirarsi per il timore di restare isolato in territorio nemico. Si accontenta allora di annettere all’impero le sole province dell’Armenia, della Mesopotamia e dell’Assiria (117). Nello stesso anno muore in Cilicia. Sotto di lui l’impero romano raggiunge la sua massima espansione. A Traiano è riservata una fortuna lunga e unanime, anche postuma. Il contemporaneo Plinio il Giovane, nel Panegirico di Traiano, lo descrive come l’ottimo principe voluto dagli dèi per il bene dell’impero, anche se lui per modestia non pretende onori divini, ne esalta le qualità: generosità, affabilità e modestia, e lo contrappone al tirannico Domiziano perché ha saputo improntare a reciproco rispetto le sue relazioni col senato, mostrandosi in ogni occasione pieno di ossequio verso l’assemblea a cui assicura “dignitas e securitas”.

Nel Medioevo è ricordato per il suo amore per la giustizia e i princípi filantropici, Dante lo pone in Paradiso nel cielo di Giove e precisamente fra i sei spiriti giusti. Secondo la tradizione dantesca il papa Gregorio Magno, colpito dalla sua generosità, avrebbe ottenuto da Dio la sua resurrezione per il tempo necessario a impartirgli il battesimo, consentendogli così di entrare in Paradiso.

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