Ricordando Cesare Pavese a 70 anni dalla morte.
Il 27 agosto 1950, in una camera dell’Albergo Roma a Torino, venne trovato senza vita il corpo di Cesare Pavese, stroncato da un’overdose di barbiturici. Nel giugno dello stesso anno con “La bella estate” aveva vinto il Premio Strega.
La vita di Pavese fu segnata da ripetute delusioni d’amore. È lo stesso autore che scrive, rivolto a Romilda Bollati, sorella dell’editore Giulio Bollati, “Posso dirti, amore, che non mi sono mai svegliato con una donna mia al fianco, che chi ho amato non mi ha mai preso sul serio, e che ignoro lo sguardo di riconoscenza che una donna rivolge a un uomo?”
Questa per Romilda fu l’ultima di una lunga e mai interrotta serie di delusioni che susseguì a quella per l’attrice Costance Dowling, sorella di Doris che aveva recitato insieme a Gasman nel film “Riso Amaro”.
Per essa agli inizi del 1950 scrisse 10 poesie, che vennero pubblicate postume: “Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi” e le dedicò il romanzo “la luna e i falò”.
Nel Giugno del 1950 Doris lo accompagnò a ritirare il Premio Strega.
Ma oltre alle delusioni amorose fu anche straziato dal giudizio dell’intellighenzia comunista del primo dopoguerra.
Nella primavera-estate del 1950 uscì la rivista Cultura e realtà; Pavese, che faceva parte della redazione, aprì il primo numero della rivista con un suo articolo sul mito, in esso affermava la sua fede poetica di carattere vichiano, la quale non venne apprezzata dagli ambienti degli intellettuali comunisti.
Pavese si era iscritto al PCI nel 1945, “Il compagno” uscì nel 1947.
È la storia di Pablo che dalle osterie disimpegnate di Torino, la perdita dell’amore di Linda, finisce nel cuore della Roma fascista entrando a far parte di un gruppo di opposizione clandestina. Conosce Gina, con la quale vivrà una bella storia d’amore ed una bella storia di impegno politico e civile. È il passaggio da una vita di spensieratezza, alla presa di coscienza di una vita che non si può vivendo solamente nel disincanto. Le due donne sono antitetiche: Linda, libertina e disinibita, ambiziosa; Gina, operaia con la tuta blu, impegnata e determinata nella sua lotta politica contro il fascismo. Pablo le amerà moltissimo entrambe, ma lascerà Torino perché l’amore di Linda è perduto e trova nell’amore di Gina quella sicurezza della quale aveva bisogno. Un romanzo dove vengono simboleggiate aspetti della vita umani in conflitto tra loro: disimpegno e coscienza civile, vivere nel proprio interesse e vivere invece nella speranza di cambiare il mondo. Qui Pablo sarà costretto dalla vita stessa a cambiare i propri paradigmi e protagonista di questo cambiamento sarà Gina, ma sono le due donne, Linda e Gina, a determinare il corso degli eventi.
Una donna, Gina, che rincorre in tutti i suoi romanzi da “Paesi Tuoi”, scritto nel 1941 dove Gisella muore per un tragico incidente, a “Il Compagno” e le sopra citate storie di Linda e Gina.
Ma è nel “Mestiere di vivere”, il suo diario (1935 al 1950), pubblicato postumo, che si comprende la sofferenza che ha portato Pavese al suicidio.
Sulla prima pagina dei “Dialoghi con Leucò”, che si trovava sul tavolino aveva scritto: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”. All'interno del libro era inserito un foglietto con tre frasi vergate da lui: una citazione dal libro, “L'uomo mortale, Leucò, non ha che questo d'immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia”, una dal proprio diario, “Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti”, e “Ho cercato me stesso”. Qualche giorno dopo si svolsero i funerali civili, senza commemorazioni religiose poiché suicida e ateo.
È stato sepolto nel cimitero di Santo Stefano Belbo.
Attilio Gambacorta
Associazione Culturale Umbrialeft
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