di Fosco Taccini

Come noto la Giunta regionale ha deciso di abrogare la delibera regionale approvata nel dicembre 2018. La delibera abrogata conteneva indicazioni per gli ospedali umbri di predisporre mediante day hospital (e poi a domicilio) il servizio per la interruzione volontaria della gravidanza farmacologica. Sia le associazioni delle donne che la Cgil hanno subito sottolineato che con la decisione della Giunta Tesei si concretizza per l’Umbria il rischio di tornare indietro di decenni. Da più parti, inoltre è stato sottolineato come questo provvedimento rappresenti un’azione di accanimento contro le donne.

Tra l’altro, la Società italiana di ginecologia e ostetriticia ha chiesto di agevolare il ricorso all’aborto farmacologico per tutelare la salute della donna ed evitare di congestionare le strutture ospedaliere. Ma nonostante tutto, le donne umbre che decideranno di optare per l’aborto farmacologico, dovranno obbligatoriamente essere ricoverate tre giorni in ospedale. È opportuno sottolineare, infine che l’Italia resta uno dei Paesi europei dove l’aborto farmacologico è la modalità meno utilizzata: la percentuale è solo del 17,8%.

Abbiamo raggiunto il medico Attilio Solinas per un suo parere: “La pillola RU 486, per l’interruzione farmacologica della gravidanza entro i primi 49 giorni di amenorrea, è ormai disponibile in molti Paesi europei e, in alcuni casi, è somministrata direttamente dal medico di base (ad esempio in Olanda). Questo è possibile per la sua semplicità d’uso e per la scarsità di effetti collaterali. È ovvio che la donna che intende utilizzarla deve essere edotta in maniera accurata e precisa sulle modalità di assunzione e sugli eventuali effetti collaterali. Altrettanto ovvio è il fatto che ad un medico o ad un servizio consultoriale la donna deve rivolgersi per essere pienamente informata e ‘guidata’, rimanendo successivamente in contatto per la fase che segue l’assunzione della pillola”. L’ex consigliere regionale, inoltre, ha precisato che: “È chiaro che tale semplificazione nella procedura che interrompe la gravidanza, da una parte evita l’invasività e lo stress dell’intervento chirurgico abortivo, dall’altra però non deve indurre la donna a considerare l’assunzione dell’RU 486 una sorta di ‘facile contraccezione’. L’Umbria si era dotata di una legge che poneva la regione al passo con altre realtà in cui il farmaco viene utilizzato con tutte le cautele necessarie e con la dovuta informazione della donna”. Conclude Solinas, infine, che: “Peraltro, in Umbria, la disponibilità di RU 486 e dei Servizi operativi nell’utilizzarla è stata sempre scarsa, probabilmente a causa delle consuete prese di posizione e motivazioni che ostacolano l’attuazione della legge 194, sull’interruzione della gravidanza. Ora, la decisione di abolire la legge regionale presa dalla Giunta di centrodestra conferma la mentalità retriva e antiquata di certi amministratori e nega alla donna la piena disponibilità di uno strumento farmacologico efficace e non traumatico, complicandone la procedura di somministrazione in modo arbitrario e inutile. Si nega, di fatto, un diritto della donna che in altre realtà è pienamente rispettato”.

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