Referendum lombardo-veneto, ecco i segnali che manda e le risposte che mancano
di Sandro Roazzi
Qualche settimana fa ero in Veneto in ambienti non certo attratti dalle sirene leghiste o di centrodestra, ma ho intuito che sarebbero andati a votare senza nessuno sforzo. Anzi. Certo l’illusione delle tasse resterà tale. Il ministro Martina evoca il dettato costituzionale che è chiaro, anche perché la volontà dei Costituenti e la loro passione ideale era molto diversa da quella che primeggia fra i sodali di Martina. Ma anche questa chiamata in causa a tutela dell’attuale sistema politico segnala la pochezza di questa classe dirigente. Mi sbaglierò, ma nel plebiscito Veneto si può rintracciare anche un atto di accusa verso questo mondo politico che è uscito dalla lunga recessione che ha squassato a destra e a manca e dalle crisi del Mediterraneo come se nulla fosse. O meglio, con immutato il bagaglio di presunzione, furbate, vendette, ignoranza mentre si determina va la dissoluzione di non poche delle ragioni che deve poter reggere lo stare insieme di un Paese.
Incapacità che non poteva non trasformare l’implosione di tanti malesseri in qualcosa di più evidente, visibile. Ora il successo verrà attribuito nelle stucchevoli tavolate dei soliti noti televisivi a questo o quello. Ma prima ancora delle analisi ci si dovrebbe congratulare del fatto che il primo vero schiaffone all’andazzo politico ..sia arrivato con un voto. Ma potrebbe essere solo il primo, forse anche il meno pesante.
L’allarme disgregazione però appare tardivo. Sia perché le disuguaglianze sociali hanno già scavato tunnel profondi sotto il pavimento della convivenza civile, sia perché non ci sono progetti politici e rivalutazioni di valori talmente forti da garantire una tenuta a lungo termine.
Semmai si potrebbe ipotizzare come possibile un testa a testa preelettorale fra centrodestra e cinquestelle, ma che allo stato non risolverà certo la questione del destino che attende il Paese. Semmai diventerà l’ennesima conta di potere con rischi di guai ben peggiori degli attuali.
Il riformismo, la sinistra, per ora in questa contesa appaiono disarmati, incapaci di alzare una bandiera, esangui nel proporre una fisionomia di Paese in grado di dare rispondere alle tante esigenze che stanno diventando nodose spine nel fianco della vita politica.
Si prenda il nodo dell’economia. Secondo l’Istat l’eredità del 2016 per i conti pubblici è stata quella di un discreto avanzo primario, di un deficit netto delle Pubbliche amministrazioni in calo, con la spesa per interessi leggermente calata (Draghi...Santo subito, altrimenti...). Un contesto sufficientemente stabile per determinare qualche scelta più consistente di quelle operate con la manovra, nella quale per lo sviluppo non si va oltre qualche centinaio di milioni di euro. Le furbate invece si sprecano. Come quella che rimette ...il calendario più indietro di quello ideato da...Giulio Cesare, con i mesi per alcuni grandi gruppi ristrettisi a 28 giorni...Oppure quella genialità di concedere i debiti da riscuotere in mano ad Equitalia, ai privati, senza però vincolarlo ai paletti che inibivano Equitalia ad usare comportamenti troppo umilianti. Certo manca la schiavitù, ma forse perché non siamo giunti alla fase degli emendamenti.
La scelta di demandare la politica economica alla propaganda elettorale è non solo miope, ma anche pericolosa. È come se ci si dimenticasse che esiste un fiscal compact, un Direttorio europeo non certo equiparabile a dame pietose, una inquietudine dell’Est europeo che dovrebbe far riflettere, un inevitabile avvio di una politica monetaria della Bce meno generosa. Come meravigliarsi allora di rivendicazioni di una qualità di vita ed esistenza che gran parte della attuale classe politica non è in grado forse neppure di...capire nelle sue motivazioni meno epidermiche, che parlano cioè di sacrifici, di conquiste, di tradizioni.
Ma il voto Veneto ricorda anche alle classi dirigenti del sud che devono darsi una svegliata e di brutto. Ed anche questo campanello di allarme dovrebbe essere letto non come un segnale unicamente di insofferenza, ma come un richiamo a recuperare il senso proprio di una mission politica, quello di governare, controllare, guidare i territori. Un’impresa.
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