Il referendum del 2 giugno 1946
Dopo il ventennio di dittatura in cui era negato il libero esercizio di voto e dopo il periodo, luttuoso e tribolatissimo, causato alla Guerra Mondiale e dai suoi strascichi che anche nel piccolo comune di Monte Castello di Vibio aveva
provocato fra la popolazione civile ben sedici vittime innocenti e ventuno morti fra i militari, oltre a numerosi feriti e prigionieri, nel 1946, il paese andò al voto. Si doveva eleggere, grazie ad un rinnovato sistema democratico e pluripartitico, l'Assemblea Costituente ma, soprattutto, si doveva scegliere, tramite il referendum istituzionale, la forma di Stato futura fra la Monarchia e la Repubblica. Per la prima volta votavano anche le donne. Tante (positive) novità e tutte contemporaneamente cui non si era di certo abituati e preparati. In questo clima di rinnovata fiducia e di speranza in cui non erano ancora cancellate le ferite morali e materiali della guerra e occorreva far ripartire praticamente tutti i principali servizi, la macchina amministrativa del piccolo comune si mise in moto e furono allestiti tre seggi elettorali nel capoluogo e nelle due frazioni di Doglio e Madonna del Piano. Il sindaco di allora era Guido Berardi, socialista, abitante a Madonna del Piano, di professione contadino. Furono nominati i presidenti di seggio e gli scrutatori (nove per ogni seggio). Tanta fu la cura e l'attenzione per uno svolgimento ordinato delle operazioni elettorali che anche il segretario comunale, Umberto Marcellini, e l'impiegato Armando
Petrocchi furono nominati scrutatori. L'affluenza alle urne fu altissima, il 92.5%: un segnale inequivocabile della volontà di riassaporare le libertà democratiche e di tornare a partecipare alla vita pubblica.
Su 1.630 montecastellesi iscritti nelle liste elettorali votarono in 1.507 (di cui 761 uomini e 746 donne). L'esito del voto nel referendum istituzionale a favore della Repubblica fu quasi plebiscitario: 1.067 contro 373 che votarono per la Monarchia. La percentuale per la Repubblica fu dunque del 74%, oltre 7 punti più elevata di quella della
Circoscrizione in cui erano ricomprese le province di Perugia, Terni e Rieti (66,7%) e circa 20 punti più alta della media nazionale (54,26%). Appena 46 le schede bianche e 4 quelle nulle. Contemporaneamente, con una seconda scheda, si votò per l'Assemblea Costituente. In un contesto sociale caratterizzato, all'epoca, da tante e numerose
famiglie contadine, operai, braccianti e piccoli artigiani, primo partito risultò il Partito Socialista con 444 voti, secondo il Partito Comunista con 343 voti, terza la Democrazia Cristiana con 251 voti, quarti i repubblicani con 163 voti. All'Uomo Qualunque (movimento promosso dal giornalista Guglielmo Giannini da cui derivò successivamente anche il termine "qualunquista") andarono 94 voti, 46 al Partito Cristiano Sociale, 17 al Partito d'azione, 15 al Partito della Ricostruzione, 13 al Partito Democratico Italiano, 13 all'Unione Democratica Nazionale.
Roberto Cerquaglia
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