di Attilio Gambacorta // Associazione culturale Umbrialeft

La storia insegna che grandi avvenimenti trasformano radicalmente la società e mettono in moto processi rivoluzionari che cambiano paradigmi, prospettive, realtà.

Penso all’avvento del Cristianesimo, alle religioni monoteistiche in generale ed all’impatto che hanno avuto nelle loro società precedentemente politeiste; al crollo dell’Impero Romano ed alle migrazioni di popolazioni intere che seguirono il suo disfacimento, nonché alle atroci guerre fra queste varie etnie per la conquista del potere; penso alla Rivoluzione Francese che introdusse il concetto di Stato, di popolo cittadino, fino ad allora considerato suddito; alla rivoluzione industriale che creò due nuove classi sociale antagoniste, borghesi e proletari, e che queste crearono le basi per sviluppare l’idea di un nuovo ordine sociale.

In ognuna di queste fasi si distinse il pensiero e l’azione di personaggi che furono consacrati eternamente dalla storia, per la loro capacità di vedere oltre l’apparente.

Non c’è dubbio che l’11 novembre 1989 è una data storica. Con il crollo del “Muro di Berlino” iniziò il processo di unificazione della Germania e con esso il moderno concetto di Europa. L’accordo fra Khol, cancelliere della Germania dell’Ovest, e Mitterand, presidente francese, pose le basi per il successivo trattato di Maastricht e la nascita dell’Unione Europea: 1 novembre 1993.

Una nuova storia iniziava: il mondo non era più diviso in blocchi contrapposti; vinto il comunismo si poteva procedere a tappe forzate verso una società dove il libero mercato (liberismo) era il nuovo pensiero egemone. Non più, quindi, la ricerca della costruzione di una società di uomini liberi e uguali. Il cosiddetto mercato avrebbe da solo creato le condizioni di un equo sviluppo e affermato il concetto liberale di meritocrazia. L’impresa e l’imprenditore sono al centro di questo progetto: liberati da “lacci e lacciuoli” sarebbero stati capaci di creare ricchezza e prosperità ed avanzare senza nessun impedimento verso il progresso, verso la modernità.

Sappiamo ora, ma già da allora si poteva intuire la pericolosità di questa ideologia, che così non è stato. La povertà è aumentata, le diseguaglianze pure, il lavoro trasformato ad una variabile indipendente del mercato e non più un diritto, il welfare state considerato un costo che alimenta debito pubblico. La finanziarizzazione dell’economia ha, inoltre, strozzato il mondo intero nel gioco speculativo. Non a caso l’unica cosa in comune che l’Europa ha in questo momento è la moneta.

Questa è stata l’Europa in questi 27 anni, e questo mondo è in una crisi che ha tutte le caratteristiche dell’irreversibilità. La crisi dei debiti pubblici ormai si sa senza nessun dubbio che è stata una truffa a danno degli Stati del sud dell’Europa, compresa l’Italia, che avevano più difficoltà in questo senso. L’acronimo PIIGS è una geniale invenzione di chi ha voluto speculare su questa enorme massa di denaro. Speculazione che non è stata, secondo me, solo economica-finanziaria, ma anche e soprattutto politica: gli attacchi populisti e demagogici che le forze politiche sovraniste hanno sferrato miravano alla disgregazione dell’UE.

Ma, come prima cercavo di spiegare, le condizioni sociali non sono statiche e il loro dinamismo spiazza, sorprende. L’avvento di questa pandemia ha modificato sostanzialmente gli accordi che regolano l’unione. Tutti i trattati, da Maastricht in poi, fanno parte ormai di una formalità che non ha più sostanza: i deficit si sforano; siamo in una fase in cui si comincia a pensare a un debito pubblico europeo; il lavoro, ancora lontano dal considerarlo un diritto, torna a essere considerato una necessità primaria per l’individuo e alla base di ogni equo sviluppo economico; l’emergenza ambientale tocca le sensibilità di molti cittadini; il bisogno di un servizio sanitario pubblico e gratuito una necessità imprescindibile.

Certo è che su questi aspetti c’è ancora molto da lottare, tematiche che la sinistra deve fare sue e avviare delle battaglie politiche senza se e senza ma. Il potere politico affermatosi dopo l’89 è ancora forte e detiene tutte le leve del comando che vuole mantenere dispiegando tutto il suo potenziale. Ma qualcosa sta sfuggendo e questo qualcosa non può sfuggire alla sinistra europea, soprattutto quella italiana, che, con tutta evidenza appare del tutto impreparata.

Eppure il Recovery fund è un’occasione unica e forse irripetibile: non sprechiamola.

C’è bisogno di lavoro per i giovani; di combattere la povertà che aumenta e colpisce in modo significativo il ceto medio; di mettere in sicurezza l’ambiente prevenendo i disastri ambientali che sempre più spesso accadono ad ogni calamità naturali; di rifondare la scuola ed investire nella ricerca, impedendo all’eccellenza della nostra gioventù di fuggire all’estero; di ritornare ad un sevizio sanitario nazionale come quello che Tina Anselmi aveva pensato e progettato nel 1978, quando ancora esistevano i partiti di massa, quando ancora il PCI rappresentava una barriera per le ingiustizie ed una sicurezza per la democrazia, quando ancora il sindacato rappresentava efficacemente il mondo del lavoro.

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