di Maria Pellegrini.

«La storia è fatta anche da donne, nei ruoli più diversi e negli ambiti più importanti: dalla politica alla scienza, dalla letteratura all’arte. Per la prima volta in una collana scritta da autorevoli studiosi, presentiamo le grandi personalità femminili che hanno occupato un ruolo di primo piano nei secoli».

Così il quotidiano «Corriere della sera» ha annunciato la collana di 40 volumi dedicati ad alcune figure femminili che si sono segnalate in vari campi, dalla politica alla letteratura, dalla scienza all’impegno sociale con ruoli destinati per tradizione agli uomini più che alle donne.

La biografia di «Teodora di Bisanzio» (Milano, Le storie del Corriere della sera, Grandi donne della storia n. 34 pp.160, € 6,90) a cura di Barbara Biscotti, storica del Diritto romano presso l’Università di Milano-Bicocca, riveste un particolare interesse per la sorprendente ascesa sociale della protagonista: da ballerina e attrice in gioventù, da umile e povera famiglia, a consorte di Giustiniano, imperatore romano d’Oriente dal 527 al 565 d. C. con capitale Costantinopoli.

Teodora era figlia di un guardiano di orsi all’Ippodromo di Bisanzio dove gareggiavano due agguerrite fazioni sportive quella degli Azzurri e quella dei Verdi. L’ippodromo era il luogo frequentato da tutti ma in particolare dal popolo che aveva una smodata passione per le corse dei cavalli e spettacoli circensi. L’imperatore prendeva parte a questo rito collettivo assistendo dall’alto in una loggia del Palazzo imperiale. Ed è nell’Ippodromo che dopo l’incoronazione sarà acclamato dai cittadini. Come per i nostri migliori calciatori, gli aurighi erano pagati molto, a loro erano anche innalzate statue. Le tifoserie si dividevano in quattro squadre col nome di colori, Verdi, Azzurri, Bianchi e Rossi, erano però gli Azzurri e i Verdi che di più si disputavano la vittoria. Grandi interessi economici ruotavano intorno alle gare dell’Ippodromo, e gli appassionati dell’una o dell’altra squadra appartenevano a ceti sociali diversi: di estrazione popolare o borghese e aristocratica. L’ippodromo di Costantinopoli era un importane polo per l’economia e dava lavoro a molti.

La madre di Teodora, una popolana senza istruzione si trovò presto vedova e con tre figlie piccole. Lottando per la sopravvivenza, riuscì a suscitare la pietà della squadra degli Azzurri e a riottenere un lavoro all’ippodromo che le permise di mantenere la famiglia. Indirizzò poi le figlie adolescenti a dedicarsi all’ars ludica, divenire attrici. Teodora di straordinaria bellezza e avvenenza fu mima, ballerina, attrice, tutte professioni ritenute infamanti e che all’epoca si caratterizzavano per una certa libertà di costumi.

Dopo varie vicende che la portarono a viaggiare in Egitto e in altri luoghi tornò a Costantinopoli, capitale dell’impero romano d’Oriente, conquistò Giustiniano che la sposò e divenuto imperatore nel 527, la incoronò imperatrice. Lei gli fu a fianco per una ventina d’anni, vale a dire fino alla precoce morte. Teodora non si adattò al ruolo marginale riservato alle imperatrici ma partecipò alle decisioni del governo, all’attività diplomatica e alle interminabili controversie religiose sulla natura di Cristo tra ortodossi e monofisiti appoggiando, in contrasto con Giustiniano, questi ultimi e usando la sua autorità per stemperare la loro persecuzione.

L’immagine negativa di questa importante protagonista del mondo antico è dovuta al ritratto diffamatorio che ne fece Procopio, storico di Cesarea nel suo libro «Storie segrete», scritto nell’anno 555 e pressoché sconosciuto fino al 1623 quando un bibliotecario della Vaticana, Nicolò Alemanni, ne scoprì un esemplare e lo pubblicò con note e traduzione latina. L’autenticità dell’opera fu sulle prime messa in dubbio dal momento che rappresentava il rovescio della medaglia della letteratura elogiativa di età giustinianea. A farne le spese era lo stesso Giustiniano dipinto come «un crudele tiranno», ma su Teodora si rivolsero le frecciate velenose dello storico che la definì «pubblica rovina dell’umanità», parole dettate forse dall’odio viscerale per una donna dal destino straordinario, quasi leggendario.

Trasformata da Procopio in una «mangiatrice di uomini» in una «prostituta di infima categoria», la critica era tuttavia rivolta anche al ruolo dominante che ella arriverà a ricoprire sulla scena pubblica, e per questo - commenta la storica Biscotti - «oggetto di quella critica, da sempre ben radicata nella cultura romana e ulteriormente sviluppata nell’innesto della ideologia cristiana, che veniva rivolta alle donne che pretendessero, appunto, di emanciparsi dalla tradizionale parte di casti angeli del focolare, per ritagliarsi un proprio posto nel mondo».

A testimonianza di quanto il mito negativo di Teodora, “confezionato” da Procopio fosse convincente, Barbara Biscotti riporta un giudizio del cardinale Cesare Baronio che nella sua opera gli «Annali ecclesiastici» (pubblicata tra il 1588 e il 1607) scrisse: «Pessima femmina, ha ordito tanti di quei mali che si è fatta nuova Eva obbediente al serpente, causa di tutti i mali per l’uomo e nuova Dalila per Sansone, impegnata a indebolire con tecnica dolosa le sue forze [..] ha superato tutte le altre donne in empietà [...] cittadina dell’inferno, allieva dei demoni, agitata da spirito satanico, , mossa da ispirazione diabolica».

La scoperta di questo testo di Procopio ha gettato una luce sinistra su Giustiniano e Teodora aprendo un lunghissimo dibattito sull’autenticità e sulla attendibilità del contenuto. Oggi prevale una rivalutazione dell’imperatrice, il ritratto lasciato da Procopio non è credibile nei suoi accenti più estremi pur rappresentando il vero percorso biografico di Teodora. Attrice di teatro, mima, ma non sregolata al di là del bene e del male. Con un non celato compiacimento lo storico ha elencato i tratti lascivi della giovinetta, «le imprese erotiche» cui, nell’esercizio del suo mestiere, si sarebbe dedicata, felice e convinta nell’esercitarlo. Altre fonti storiche ci hanno consegnato un ritratto a luci e ombre di Teodora, ma le hanno riconosciuto il merito di essere stata il consigliere più influente del sovrano. Neppure Procopio, che con maligno piacere aveva raccontato la sua vita di cortigiana, le contestò la chiarezza della visione politica e la fermezza mostrata in momenti burrascosi.

Sullo fondo delle numerose e complesse vicende narrate è Costantinopoli, città cosmopolita, la «Nuova Roma» divenuta agli inizi del VI secolo d.C. la più bella metropoli d’Oriente dell’epoca, con quasi mezzo milione di abitanti. A occidenti, al di là del mare, i barbari si sono ormai impossessati dell’altra metà dell’impero e del suo cuore, la città di Roma. Costantino (come ricorda Dante «Poscia che Costantin l’aquila volse contr’ al corso del ciel) aveva trasferito a Bisanzio (poi chiamata Costantinopoli dal suo nome) la sede dell’impero, divenuta la nuova capitale che sopravvisse a Roma altri mille anni. Dal nucleo originario fu abbellita dal sovrano con giardini, parchi, chiese, palazzi dalle cupole d’oro e all’interno pareti decorate con marmi policromi e mosaici e famosa per il suo ippodromo, non solo luogo di divertimento, ma specchio dei grandi schieramenti politici della città. «Un destino incredibile nella Megalopoli si preparava per quella ventenne intraprendente e indomita» annota Barbara Biscotti.

L’agile volume del Corriere della Sera si rivela un saggio ricco di riferimenti storici più che una semplice biografia. L’Autrice non insiste, con il proposito di riscattarla, sul discutibile passato giovanile di Teodora, né si propone di scrivere una storia pittoresca e aneddotica assecondando il mito di un potere femminile aggressivo e trasgressivo, ma mette in rilievo la diversità tra le due Teodora, quella tratteggiata da Procopio (di giovane attrice che aveva condotto una vita sregolata a Costantinopoli) e la grande imperatrice che ebbe, al fianco di Giustiniano, un posto considerevole influenzando l’imperatore nella legislazione dedicata a temi riguardanti le donne. Numerose furono le leggi in materia di matrimonio, di divorzio, di lotta al fenomeno dilagante della prostituzione, allo spregevole commercio di ragazze e perfino di bambine, requisite in tutto l’impero e ridotte in schiavitù.

Il volume è arricchito da una essenziale cronologia e da una bibliografia ragionata sulle numerose pubblicazioni che il personaggio di Teodora ha ispirato. L’immagine di copertina è un ritratto di Herbert Norris del 1924, ispirato da uno splendido mosaico visibile nella chiesa di San Vitale a Ravenna nel quale Teodora è adorna d’un diadema di perle e avvolta da un mantello color porpora di straordinaria raffinatezza. È immortalata nella sua regalità ieratica e solenne, tra un gioco di luci e riflessi di smalti e oro, un’immagine che le rende giustizia di fronte alle pesanti accuse di Procopio e ricorda piuttosto come Giustiniano si espresse nel presentarla ai sudditi: «la piissima consorte dataci da Dio».

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