di Roberto Musacchio - TransformItalia.

Paolo Pietrangeli questa volta ci regala un giallo. Ne “La pistola di Garibaldi” appena uscito per le edizioni Biblion (ma se non lo trovate in libreria ordinatelo) c’è una morta, o morto, assassinata. E la copertina rimanda a quelle nere delle serie degli anni ’60. Ma Pietrangeli non è un giallista anche se la trama che coinvolge il protagonista, Giorgio Tremagi, avvince il giusto. Piuttosto gioca con la scrittura e i personaggi come poteva fare Raymond Queneau. In realtà gioca con la vita, i desideri e le malattie, i fascisti, i libri e le polpette. Tanto la penna insegue una fantasia che svolazza, tanto sta con i piedi piantati in un luogo che esiste, una piazza Epiro che bisogna essere romani e bravi scrittori per conoscere e far diventare il centro di un mondo come la via Merulana del Pasticciaccio (a proposito, Pietrangeli sa usare il romanesco) o la Belville di Daniel Pennac ma prima di Romain Gary. E al centro del centro di quel mondo ci sta una libreria, che non vende gialli e che è anche una trattoria che ha un’insegna che trovi veramente sulla piazza ma che nel libro fa polpette ma anche altro. E ci stanno una moglie, una cognata, Zizù  (l’aiutante fuggito dal suo Paese), la pipa che non si deve fumare. E poi tutti gli altri. Chi conosce le canzoni di Pietrangeli ci troverà qualcosa che ha cantato. Chi ha la fortuna di conoscere lui, ci trova un poco della sua vita. Trasformata in sogno, come sono i sogni degli altri che Giogio Tremagi può vedere. Leggere questo libro è come imparare un poco a sognare restando svegli. Per chi si divertirà a leggerlo la buona notizia è che Pietrangeli sta sognando, scusate, pensando di scrivere un’altra avventura di Giorgio Tremagi.

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