Chi avrebbe mai detto alla vigilia del referendum Mirafiori che i no avrebbero raggiunto il 46%? Anche i più ottimisti si fermavano a percentuali decisamente meno elevate.

Finalmente un segnale forte e chiaro: al sopruso c’è un limite. Un segno incoraggiante non solo per gli operai metalmeccanici, ma per tutti. Una presa di coscienza della propria condizione, propedeutica all’azione per difendere i propri diritti e quello scampolo di democrazia superstite.

Prima di questo, a occupare le piazze e ad animare la protesta erano gli insegnanti precari, i ricercatori universitari e gli studenti più consapevoli delle conseguenze che le riforme targate “Gelmini-Tremonti” apporteranno al nostro sistema pubblico dell’istruzione. In Umbria, le azioni di dissenso si sono moltiplicate negli scorsi mesi; i vari sit-in davanti all’Ufficio Scolastico Regionale, alla Rai e alla Regione, il blocco degli scrutini di giugno, il rifiuto di orario aggiuntivo da parte degli insegnanti per non penalizzare i docenti precari, la richiesta di rispettare la normativa sulla sicurezza nelle scuole e della deroga prevista per le scuole dei comuni montani, l’indisponibilità dei ricercatori universitari alla didattica, i ricorsi per i contratti a tempo determinato della scuola, hanno tenuto banco, in una desolante solitudine, nell’agone dei movimenti, molto meno nell’agenda politica istituzionale.

Come ha già avuto modo di dire, l’obiettivo del governo Berlusconi è ormai palese: la deregolamentazione del sistema costituzionale, che significa, in primo luogo, eliminare il sistema di conquiste sociali che si fondano su ciò che è unico, comune, pubblico, statale, collettivo, uguale per tutti. Gli attacchi alla scuola pubblica, al diritto collettivo ad un’istruzione universitaria, ad un futuro fatto di pari opportunità per i giovani di oggi, trovano un’analogia nella volontà di cancellare il contratto nazionale di lavoro e di sostituirlo con contratti aziendali o territoriali, uccidendo di fatto ogni idea di rappresentanza del lavoro. La precarietà si eleva a principio e la frammentazione dei lavoratori a strategia; il ricatto e la concorrenza si insinuano in ogni forma di rapporto sociale, snaturando e svuotando di contenuto l’articolo 1 della Costituzione che sancisce l’affermazione, accanto ai diritti civili e politici, del diritto sociale al lavoro. Non solo i “vecchi lavoratori”, nel sacro nome del profitto, vengono privati di conquiste importanti e considerate finora assodate, ma anche i giovani devono pagare il loro conto: devono rassegnarsi a un futuro fatto di instabilità, di rinunce e di solitudine sociale, materiale o immateriale che sia il lavoro cui aspireranno e che, con ogni probabilità non troveranno.

Ora i lavoratori di Mirafiori ci insegnano che opporsi al depauperamento del proprio valore, al degrado della propria condizione esistenziale, anche a costi elevatissimi, serve. Serve come monito al capitale e come esempio per le coscienze.

Molti comitati di insegnanti e di studenti hanno capito che la lotta della Fiom riguarda tutti, anche loro. E loro, come noi, il 28 gennaio ci saranno. È dal sostegno alla protesta degli operai Mirafiori, dalle vertenze dei precari della scuola e dell’università, dalle manifestazioni degli studenti che dobbiamo ripartire. È qui che la politica e il sindacato possono recuperare il loro ruolo, in gran parte smarrito, e rifondare la loro ragion d’essere. La sinistra in primis.

Patrizia Proietti
Segreteria Regionale PRC

 

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