di Domenico Moro.

Alcune riflessioni rapide ispirate da un commento di un amico, che propone il recupero del concetto/termine di socialismo in alternativa a quello di comunismo. Quanto a fruibilità immediata in realtà il termine socialismo non è meno usurato di quello di comunismo, anche se non è stato sottoposto alla ricorrente damnatio memorie cui è fatto oggetto il comunismo. Pensiamo solo al discredito dei partiti appartenenti al Pse (partito socialista europeo), che del liberismo e dell'integrazione europea sono stati attuatori in molte situazioni (Italia ad esempio) più del PPE (partito popolare). Partiti, il cui peso elettorale è drasticamente ridotto (Germania al minimo storico) se non annichilito in alcuni casi (Francia e Grecia) e la cui spinta ideale è pressoché annullata, non perché sottoposti a una campagna mediatica contraria o ad attacchi delle élite capitalistiche, anzi al contrario perché hanno rappresentato fedelmente gli interessi strategici quelle élite. Il termine era già screditato e ambiguo nel 1917, quando, non a caso, Lenin cambiò il nome del suo partito in partito comunista, ricollegandosi al manifesto di Marx. Il termine comunismo ricollega le espressioni politiche marxiste della classe lavoratrice alla loro origine teorica e rompe con una tradizione socialista compromessa con l'imperialismo e la guerra (adesione della socialdemocrazia ai crediti di guerra). Inoltre, il movimento comunista, nonostante gli errori gravi, si pone su piani sui quali la socialdemocrazia non sta per molte ragioni: oltre alla critica dell'imperialismo, la concezione non neutrale dello stato e la necessità della conquista del potere politico e della modificazione dello Stato. Credo che le parole, al di là dello travolgimento e delle torsioni cui la Storia li sottopone, valgano per il loro significato intrinseco (comunismo=proprietà collettiva dei mezzi di produzione e eliminazione delle classi) e per le esperienze storiche oggettive che rappresentano. Quello di comunismo è un termine tutt'altro che da buttare nella pattumiera storica. L'usura del termine comunismo ha ben altre origini di quella del termine socialismo. E' legata molto più al tentativo di costruire una società alternativa invece che a compromissioni con il sistema capitalistico vigente. Anche se è vero che in Italia (e non solo) la partecipazione a governi come quelli di Prodi e il legame con il centro sinistra hanno pesato pesantemente sull'erosione del consenso residuo. Il punto, però, ripeto, è ripensare tutti questi concetti (sinistra, comunismo e anche socialismo se inteso tradizionalmente come prima fase del comunismo) adattandoli alla nuova fase storica e rielaborandoli criticamente alla luce della storia e delle esperienze passate. Il marxismo è scienza e come tale deve evolversi. Ad ogni modo, sicuramente la costruzione del consenso, o meglio la capacità di mantenere la partecipazione attiva delle masse alla gestione dello Stato e dell'economia, e quindi le caratteristiche di una democrazia del lavoro salariato, è stato un nodo su cui in Russia si sia giocato molto della sconfitta e su cui spesso siamo stati in affanno. Una elaborazione teorica più profonda sullo stato, che riprenda in mano l'esperienza non solo del comunismo ma tutta quella della modernità, dell'occidente dal XVI secolo, quando emerge la teoria politica e dello stato e dunque il concetto di sovranità, a oggi è quindi necessaria. Proprio la questione dell'euro e dell'Europa presenta, se vogliamo, l'aspetto positivo di costringerci a ragionare in termini di che cosa è la sovranità e in particolare sul concetto di sovranità democratica e popolare così come sul concetto di popolo e sulla questione della ricomposizione di classe e delle alleanze tra le classi subalterne, del resto affrontata da Marx (ne Il 18 Brumaio e ne Le lotte di classe in Francia) e soprattutto da Lenin, sul piano teorico e pratico (su questo ha vinto una rivoluzione), nonchè dallo stesso Gramsci, che sviluppa i concetti leninisti (e non ne sviluppa altri alternativi, come taluni hanno preteso di dire). A proposito di adattamento alla fase.

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