"PROCESSO A CESARE" recensione.
di Maria Pellegrini.
Giulio Cesare è, senza timore di smentite, uno dei personaggi più famosi dell’intera storia occidentale. Fin dall’antichità è stato oggetto di studi, romanzi, saggi, opere d’arte, e tuttora storici di grande prestigio si sono interessati a riesaminare le vicende della vita politica e privata del grande generale romano che osò attraversare il Rubicone contro la volontà del Senato di Roma. In un originale volumetto, “Processo a Cesare” a cura di Paolo Turroni (Il Ponte Vecchio editore, pp. 96, € 10,00) è descritto un immaginario processo per stabilire se tale illustre personaggio sia stato un sincero democratico o un tiranno.
Nella presentazione dell’opera Gianfranco Miro Gori, presidente di Sammuroindustria, associazione culturale della Romagna, dichiara: «Chi era davvero Giulio Cesare? Un feroce dittatore o un amico del popolo? Cesare, passando il Rubicone, era interessato solo al proprio interesse o voleva il bene dei Romani? Si tratta di domande a cui è difficile dare una risposta, considerando come diversa era la mentalità di individui vissuti duemila anni fa».
Già il latinista e scrittore Luca Canali si era posto queste domande: «Chi era davvero Giulio Cesare? Un criminale di guerra? Un genio della politica? Un genio della guerra? Un rivoluzionario democratico o un dittatore che distrusse le libertà repubblicane? E Luciano Canfora, filologo, storico e saggista, nel suo imperdibile Giulio Cesare, il dittatore democratico, ha scritto: «in ogni momento e soprattutto in quelli decisivi, l’azione politica e militare di Cesare fu esposta agli esiti più divaricati. Ha via via rischiato di perdere tutto, soprattutto nel corso dell’interminabile conflitto conclusosi con la sua morte violenta. Alla fine è naufragato nell’azione più spettacolare, quantunque non del tutto imprevista: la congiura dei suoi. Eppure ha serbato un prestigio postumo inesausto e una forza di suggestione di lunghissima durata, che ne fa, già nel nome, un archetipo».
Torniamo però alla più recente pubblicazione “Processo a Cesare” a cura di Paolo Turroni i cui difensori sono Luciano Canfora e Cristina Ravara Montebelli, gli accusatori Giovanni Brizzi e Paolo Turroni dei quali si trascrivono le rispettive arringhe.
Paolo Turroni, laureato in Lettere classiche all’università di Bologna, insegna al liceo classico di Cesena, prima di esternare il suo giudizio sulla colpevolezza di Cesare invita i lettori a una riflessione per evitare il rischio di “modernizzare” troppo i comportamenti di personaggi vissuti in anni lontani da noi perché se, come sosteneva lo storico greco Tucidide «l’uomo è sempre lo stesso, è anche vero che attorno all’essere umano c’è una società che cambia», e quindi non dobbiamo compiere l’errore «di osservare il loro mondo con i nostri occhi» e allo stesso tempo non considerare per lo stesso motivo che tutto ciò che avvenne in passato sia stato giusto e lecito. Possiamo dunque esprimere anche un giudizio morale sugli eventi del passato dopo aver compreso le differenze storiche, sociali e politiche.
Le accuse rivolte a Cesare da Turroni riguardano alcuni importanti eventi della sua vita politica: il primo triumvirato, un patto privato tra Cesare, Pompeo e Crasso, stretto per la spartizione del potere in virtù del quale, come annota Svetonio, «ciascuno era tenuto a non fare cosa nel governo dello Stato che dispiacesse ad alcuno di loro». Era l’affermazione di poteri personali ai quali nessuno poté più opporsi. Durò circa dieci anni e segnò la fine della repubblica e la premessa della futura guerra civile per la dittatura del più forte. La spartizione dei poteri assegnò a Cesare il consolato per l’anno 59 e per l’anno successivo la pretura per cinque anni nelle province della Gallia Cisalpina, l’Illirico e la Gallia Narbonese.
Il processo prosegue con le motivazioni in difesa di Cesare espresse da Cristina Ravara Montebelli, archeologa e studiosa del mondo antico dell’Università di Bologna, che si pone una domanda: «Cesare fu amatissimo sia dai suoi commilitoni che dal popolo più che dai patrizi del senato, perché?» È’ lei stessa a fornirci la risposta. Cesare amava i suoi soldati ed era fiero di loro. Il suo esercito era composto di uomini che si mostrarono coraggiosi anche contro un numero molto superiore di nemici; giudicava i suoi soldati esclusivamente dal loro valore e trattava tutti con uguale severità o indulgenza. Era invece estremamente duro e rigoroso soprattutto in occasione di ammutinamenti. Non poteva tollerare l’indisciplina e l’infedeltà dei soldati. In caso di vittoria però distribuiva a tutti ricchi bottini., Ravara Montebelli, giustifica pure i morti lasciati sui campi di battaglia durante le guerre di Gallia: si aggirano intorno a 1.000.000 combattendo contro 3.000.000 soldati per la conquista di 800 città. Quello che molti considerano un genocidio si deve vedere come una consuetudine, deplorevole ma che si verificò anche con i conquistatori spagnoli del Nuovo Mondo, Pizarro e Cortez. Senza di loro diversa sarebbe la storia di quei popoli come diversa sarebbe stata la storia d’Europa senza le sanguinose campagne di Cesare.
Cesare amò anche il suo popolo a favore del quale promulgò leggi e morendo lasciò nel suo testamento ad ogni cittadino 300 sesterzi e diede disposizioni di trasformare in parco pubblico le sue proprietà oltre il Tevere.
Tra i progetti realizzati, Ravara Montebelli ricorda due di particolare rilievo in campo culturale e scientifico: l’incarico a Varrone di organizzare una biblioteca pubblica di autori latini e greci, e la riforma del calendario elaborata insieme con l’astronomo alessandrino Sosigene. L’anno fu diviso in trecentosessantacinque giorni con l’aggiunta di un giorno ogni quattro anni (anno bisestile).
Con Giovanni Brizzi, già professore ordinario di Storia romana all’Università di Bologna, Sassari e Udine, Cesare è di nuovo sul banco degli imputati. L’arringa accusatoria verte di nuovo sui crimini commessi durante la guerra gallica che «fu un vero e proprio genocidio» contro due tribù: furono uccisi a tradimento i loro capi né furono risparmiati bambini e donne, La campagna gallica provocò la distruzione della civiltà celtica e secondo Plinio il Vecchio furono circa un milione e duecentomila i morti. I crimini di Cesare non si possono giustificare con motivi di giusta causa, perché compiuti per ottenere un potere personale. Anche il tradizionale elogio per la sua clemenza verso oppositori anche di discutibile moralità, è un atto di accusa considerando che nessuna clemenza ebbe per Vercingetorige che, se pur si trattasse di un nemico, deplorevole fu la crudeltà con cui lo condannò a una lunga prigionia per poi ucciderlo dopo averlo esposto durante il suo trionfo. Catone Uticense non aveva partecipato alle celebrazioni per le vittorie sulle popolazioni germaniche di Usipeti e Tencteri disgustato per il genocidio da lui compiuto. Per tutta la vita era stato nemico di Cesare e si era dato la morte per non cadere nelle sue mani e sottrarsi alla sua clemenza.
L’accusa più grave espressa da Brizzi: è l’aver snaturato le istituzioni pubbliche trasformandole in potere personale, Portò da 600 a 900 il numero dei senatori immettendo suoi amici e alcuni appartenenti alle province, tutti in sostanza creature dipendenti dal volere di un Cesare divenuto dittatore. Quando la deriva di Cesare verso un potere monarchico divenne esplicita agli occhi di chi amava la “res pubblica”, avvenne la congiura.
Luciano Canfora, filologo classico, storico e saggista, sale sul palco dei difensori premettendo che quando si giudica un personaggio del passato dobbiamo compiere lo sforzo di studiarlo «tenendo presente il suo tempo, ma capire anche l’enorme influenza che ha avuto dopo». Il tempo in cui vive Cesare è la Repubblica romana che ha compiuto stragi, deportazioni, guerre sanguinose che fanno parte della durezza della storia, ma si deve considerare che «l’Europa latina che è sotto i nostri occhi è parte essenziale della civiltà umana, è nata da quella conquista».
Merito di Cesare fu aver istituito la prima biblioteca pubblica a Roma - come ha già detto un altro testimone - ma lo storico lancia una frecciata contro quegli amanti della libertà che avevano in Roma solo biblioteche private. Un altro merito di Cesare è quello di aver poco censurato le libertà dei cittadini, mentre «Augusto fu un terrificante censore, un limitatore della libertà di parola, della libertà degli storici e dei poeti». Anche sulla tanto discussa clemenza esprime un parere molto positivo in quanto rappresentò «come si esce da una guerra civile» e porta ad esempio Palmiro Togliatti che dopo la nostra guerra civile fu autore di un’amnistia che fu poi discussa. Però Cesare fu ucciso, si sentiva sicuro di quanto aveva compiuto per Roma. Canfora conclude ricordando che più previdente era stato «Augusto che andava in senato con la corazza sotto la toga, si fidava fino a un certo punto di quei simpatici senatori pronti a usare il pugnale in nome di una libertà che era la loro libertà».
Abbiamo qui soltanto accennato brevemente alle arringhe di accusatori e difensori per lasciare ai lettori il desiderio di leggerli integralmente. Resta da segnalare il capitolo dedicato agli “Approfondimenti” che riguardano Cesare nella letteratura, nell’arte e nel cinema, utile a riconoscere l’importanza della figura di Cesare per aver ispirato tanti poeti, artisti, scrittori a lui contemporanei e posteriori fino ai nostri giorni.
Recent comments
11 years 50 weeks ago
11 years 50 weeks ago
11 years 50 weeks ago
11 years 50 weeks ago
11 years 50 weeks ago
11 years 50 weeks ago
11 years 50 weeks ago
11 years 50 weeks ago
11 years 50 weeks ago
11 years 50 weeks ago