di Antonello Tacconi.

Quali destini accomunano tre presidenti di società di calcio agli albori del football italiano? È la domanda alla quale da risposta la ricerca di Adam Smulevich in questo libro, con le storie di tre personaggi fondatori di Casale, Napoli e Roma che, all’indomani dell’avvento delle leggi razziali del 1938 volute da Mussolini, sono travolti dall’ondata di segregazione, odio, oblio e per uno di essi, purtroppo con un tragico epilogo.

Raffaele Jaffe, presidente del Casale, infatti, è quello che dei tre ebbe la peggior fine perché, come per tanti altri italiani, le famigerate leggi razziali fasciste lo portarono alla morte nel campo di sterminio di Auschwitz.

L’Astigiano Jaffe, di origine ebraica ma convertitosi pochi anni dopo il matrimonio alla religione della moglie, professore e poi preside, proprio grazie al sostegno di alcuni studenti dell’Istituto Leardi da lui condotto, nel 1909 fonda il Casale Calcio. Pochi anni dopo, alla vigilia del primo conflitto bellico mondiale, per il Casale arriva il primo ed unico scudetto della sua storia, proprio sotto la presidenza di Jaffe, andando a spezzare lo strapotere della vicinissima Pro Vercelli che in quegli anni aveva già messo nel suo palmares ben cinque titoli nazionali. Quel Casale, inoltre, fu la prima squadra italiana a sconfiggere una compagine inglese: il Reading per 2-1, il 14 maggio del 1913. Un calcio che ad oggi può sembrare epico, ma che nella persona di Raffaele Jaffe incarna anche la voglia di un uomo ed educatore nel voler creare qualcosa di perenne e duraturo nella storia del Casale. L’avvento delle leggi razziali irrompono anche nel mondo dello sport ed in particolare nel calcio, non risparmiando chiunque avesse una qualsiasi origine ebraica. Pur convertito al cattolicesimo, dal 1938 in poi, per Jaffe gli eventi cominciarono a precipitare rovinosamente. Arrestato nel 1944, poi portato nel campo di Fossoli, da lì partì per il viaggio senza ritorno di Auschwitz.

Pur meno tragica nella fine, la vicenda del fondatore e presidente del Napoli, il mecenate ed imprenditore Giorgio Ascarelli, la quale anticipam in un certo senso, l’avvento delle “Leggi della Vergogna” contro gli ebrei, evidenziando inoltre il clima di razzismo e fanatismo che il Fascismo portò con sé all’indomani dell’alleanza con la Germania nazista. Facoltoso commerciante di una storica famiglia ebraica di origine romana che continua le sue fortune a Napoli, Ascarelli è personaggio di primissimo piano nella vita sociale, economica e culturale della città. Tanti i suoi incarichi e le opere da mecenate che elargisce alla città stessa. Una su tutte, come esempio, la costruzione di asili infantili per gli orfani. Ma è nel calcio che Ascarelli trova la sua dimensione più importante e dove riesce anche a mettere in pratica la sua indole, la sua capacità imprenditoriale ma anche le sue intuizioni di un presidente che comincia a portare nel calcio una ventata di novità sotto il profilo, si direbbe oggi, “manageriale” ma anche tecnico. Sua, di fatto, è la spinta decisiva nel 1926 per la trasformazione dell’Internaples, di cui ne era già il massimo dirigente, in Società Sportiva Calcio Napoli. Molti, dicono, perché il nome precedente era poco in sintonia con le idee nazionaliste ed anticomuniste del Fascismo. Resta il fatto che della sua nuova creatura, Ascarelli vedrà ben poco delle prime gesta calcistiche. Ascarelli, infatti, muore nel marzo del 1930 per una peritonite, un mese dopo dall’inaugurazione del nuovo stadio Vesuvio da lui tanto voluto e ovviamente finanziato. Grande è la commozione in tutta la città e numerosa e la folla che assiste ai suoi funerali, vista l’importanza oramai assunta dal personaggio. Vien da sé che l’intitolazione dello stadio alla memoria di Giorgio Ascarelli diviene spontanea e logico segno di gratitudine per quanto aveva dato sotto ogni punto di vista al calcio napoletano. Ma ecco che il destino pone sulla strada del nome al nuovo stadio, la presenza della Germania ai mondiali del 1932 assegnati all’Italia. La squadra tedesca giocherà le sue prime partite proprio allo stadio “Ascarelli”. Timoroso di irritare e urtare Hitler e gli alleati, freschi alleati nel Patto di Acciaio, Mussolini decide di togliere l’intitolazione dello stadio ad Ascarelli, anche se poi molti giornali continuarono per diverso tempo a chiamarlo così. In tutto il periodo fascista, Ascarelli, quindi, cade nel dimenticatoio, seppur rimane vivo nella memoria di molti concittadini. Il suo oblio all’ombra del Vesuvio continuerà anche nel successivo dopoguerra fino ai nostro giorni. Oggi, solo una targa, messa nel 2011 nel quartiere periferico di Ponticelli, ne ricorda la sua figura. Un po’ poco, forse, per quanto quest’uomo ha dato alla nascita del calcio napoletano.

Ben più tormentato è il destino del “fascistissimo” Renato Sacerdoti, facoltoso banchiere ed imprenditore romano di origini ebraiche e secondo presidente della Roma dal 1928 al 1935. Uno dei fondatori della stessa società capitolina nel 1927, a lui si deve la costruzione dello stadio di Testaccio. Sono suoi, di fatto, i primi tentativi sportivi di fare grande la Roma portandola a livello delle grandi squadre del Nord. Nonostante gli sforzi profusi, Sacerdoti vedrà il primo scudetto giallorosso al confino, estromesso dalla guida della Roma dalle leggi contro gli ebrei volute da Mussolini. Fascista della prima ora nella Marcia su Roma del 1922, anche Sacerdoti si convertì al cattolicesimo senza problemi, poco prima delle Leggi Razziali del 1938. Sia la sua assoluta fede al Fascismo, sia la conversione al cattolicesimo, però, non risparmiarono allo stesso Sacerdoti la persecuzione del regime. Anzi, l’immagine del facoltoso banchiere ed affarista ebreo quale era Sacerdoti prese il sopravvento su quella del dirigente fascista, essendo la prima il prototipo ideale della propaganda per potersela lasciare sfuggire. Il passo dalle stelle alla polvere fu per Sacerdoti breve ed inevitabile. Nel dicembre del 1938, Sacerdoti viene condannato al confino per cinque anni. Ben poco valgono, rimanendo inascoltate, le lettere che lui stesso a più riprese allo stesso Mussolini, rimarcando e cercando di provare con ogni argomento la sua fedeltà al Fascismo e allo stesso tempo cercando di mettere in evidenza l’ingiustizia da lui provata con questa condanna. Sacerdoti tornerà libero nel 1943, dopo la destituzione di Mussolini da parte del Gran Consiglio del Fascismo. Ma l’otto settembre e l’occupazione nazi-fascista con la relativa caccia agli ebrei, costringeranno Sacerdoti alla fuga e a nascondersi in un convento vestito da frate. A guerra terminata, Sacerdoti tornerà nella dirigenza della Roma fino al 1958, ma non era più il “suo” calcio, quello di Testaccio e delle origini giallorosse.

Insomma un libro che si legge tutto di un fiato, con ottimo corredo fotografico a supporto e un grade lavoro sulle fonti di archivio da parte dello stesso Smulevich. Un testo ancor più emblematico di come i destini di tante persone, sotto il Fascismo, si incrociarono con il razzismo, la persecuzione, le vessazioni e purtroppo anche la morte. Ma il libro è anche una bella fotografia sul calcio italiano delle origini, sulla voglia di emergere di tanti importanti personaggi dell’epoca che nel football cominciarono proprio l’epopea di primi grandi presidenti calcistici.

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