di Maria Pellegrini

È noto che accanto a importanti uomini che hanno deciso gli eventi della storia spesso ci siano state donne intelligenti, ambiziose e volitive che sono riuscite a imporre la propria volontà agendo allo scoperto, o tramando nell’ombra, per un coinvolgimento diretto del potere, oppure donne pazienti, comprensive che hanno consigliato e sostenuto il loro consorte, nelle decisioni importanti, con accortezza e dignità. Se pensiamo agli imperatori romani, nel primo gruppo di donne possiamo sicuramente ricordare Livia, sposa di Ottaviano Augusto: vissuta a fianco dell’uomo più potente del suo tempo, in uno dei momenti storici cruciali per il destino di Roma. Livia incise profondamente nelle vicende dell’impero, ma secondo il racconto Tacito fu anche intrigante e sospettata persino di aver fatto assassinare i successori designati da Augusto per portare sul seggio imperiale il proprio figlio Tiberio, nato da un precedente matrimonio. Appartenenti al secondo gruppo di donne, possiamo ascrivere senza dubbio Pompea Plotina, sposa di Traiano, che fu accorta consigliera del marito, e visse con lui in rara concordia senza mai uno screzio.

Quando Traiano nel 98 d. C. divenne imperatore, era già sposato da diversi anni con Plotina allora all’incirca ventottenne. Secondo il racconto dello storico greco Cassio Dione, il giorno in cui a fianco del marito entrò nel palazzo imperiale, prima di varcare la soglia, rivolta ai sudditi pronunciò una breve frase: “Entro in questo palazzo come la donna che voglio ancora essere quando lo lascerò”. In quel proposito così indicativo c’era tutta la personalità di una donna modesta e discreta che fu accanto a Traiano fino al giorno in cui egli morì in Cilicia (8 Agosto del 117 d. C.).

I romani ebbero molta stima per Plotina donna colta, intelligente che in molte occasioni consigliò scelte che si sarebbero dimostrate veramente opportune per l’impero. I provinciali la ringraziarono perché spinse Traiano a frenare l’avidità degli esattori: con la sua influenza si ebbero tassazioni più eque, assistenza per i poveri e maggiore tolleranza nella società. Dotata di particolare modestia, non ebbe interesse per il lusso, ma interpretò con grande dignità il suo ruolo di first lady. Seguì, infatti, Traiano nei suoi viaggi nelle province e anche durante la guerra per la conquista della Dacia. Traiano le conferì il titolo di “Augusta” che sebbene simile al corrispettivo maschile, era soltanto un titolo onorifico che non portava con sé né l’imperio proconsolare né la potestà tribunizia; per cui una donna non avrebbe potuto avere l’esercizio effettivo e legale del potere.

Amante dell’arte e della cultura, appassionata della filosofia epicurea, che contribuì a rilanciare, Plotina fu fedele consorte, amata e rispettata da Traiano influenzato forse dalle parole del retore greco Dione di Prusia che in un’opera a lui dedicata - ove erano dati consigli a chi detiene il potere - scriveva: “si deve considerare la propria moglie non solo come compagna di piaceri e affetti, ma come collaboratrice nel governo, nelle opere e insomma nell’intera vita”.

Plotina sembrava avere le qualità per corrispondere a tali aspettative e incarnò questi ideali fin dagli inizi del principato traianeo, se sincere sono le lodi che Plinio il Giovane nel suo “Panegirico a Traiano” le riservò definendola “sanctissima femina”. Anche Plinio credeva che un buon principe dovesse considerare la propria moglie come una dei suoi collaboratori e che l’uomo pubblico dovesse occuparsi di scegliere in modo accurato la propria sposa come aveva fatto Traiano: “perfino il Pontefice Massimo avrebbe potuto prendere in moglie Plotina per la sua castità; era stata educata dal marito all’obbedienza e alla riservatezza perché il più bel titolo di gloria per una moglie è vivere nell’ombra del marito e nella concordia con i suoi familiari”. Plotina, infatti, visse a corte in grande concordia con la sorella di Traiano, Ulpia Marciana, e la nipote, Vibia Matidia, tre donne che si divisero senza litigi l’affetto dell’imperatore.

In un ritratto di Plotina, probabilmente degli ultimi anni della sua vita, una semplice testa scolpita in marmo oggi conservata nei Musei Capitolini, si vede una donna dal viso leggermente allungato, con un’acconciatura sobria che incornicia la fronte, segno di un rifiuto delle artefatte pettinature dell’età flavia e della prima età traianea e di una concezione di vita più spirituale. Il capo leggermente inclinato verso destra, le labbra i cui angoli sono lievemente piegati verso il basso e, soprattutto due profonde rughe verticali che partono dalla base del naso, le danno un’aria mesta forse perché la sua vita non fu rallegrata dalla nascita di un figlio o per i pettegolezzi, ricordati da Cassio Dione, che indicavano l’imperatore “dedito al bere e amante dei ragazzi”, accuse che stentiamo a ritenere reali considerando che Traiano riuscì a essere apprezzato da tutti, dai provinciali per le origini ispaniche, dai legionari che ne riconobbero il valore militare, dal popolo per i sussidi alle famiglie indigenti, dal Senato che gli conferì il titolo di “optimus princeps”. Gli fu riservata anche una fortuna postuma lunga e unanime: per i suoi contemporanei fu abbinato ad Augusto per indicare la perfezione del cesarismo, il Medioevo lo ricordò per il suo amore per la giustizia e i princìpi filantropici, Dante lo collocò in Paradiso nonostante fosse pagano.

Dopo più di trenta anni di matrimonio, e venti da imperatore, nel 117 Traiano morì per un colpo apoplettico; non aveva figli e non aveva nominato il suo successore. Traiano e Plotina erano stati tutori di Adriano, fin da quando all’età di dieci anni aveva perso il padre, ma gli storici antichi sostennero che Traiano fosse contrario a nominarlo come suo successore. Plotina e la nipote Matidia invece imposero Adriano. Che cosa esattamente accadde al momento della morte di Traiano non è chiaro: nella “Storia Augusta”, una raccolta di biografie imperiali, si legge che Plotina quando Traiano era appena spirato fece imitare la voce di Traiano già morto facendogli pronunciare con tono fievole, la propria decisione di sceglier Adriano come successore. Lo storico Cassio Dione afferma che la notizia della morte fu tenuta segreta per giorni e che l’adozione di Adriano fu annunciata al Senato romano con una falsa lettera di Traiano, scritta dalla stessa Plotina.

Se il fatto fosse vero, o no, non fu giudicato importante dal Senato perché la successione di Adriano corrispondeva agli interessi dell’impero. Dopo questo atto di pesante intromissione nella vita politica, mascherata dal fatto di parlare e agire in nome dell’imperatore, Plotina riportò a Roma le ceneri di Traiano, le rinchiuse in un’urna d’oro e le depose nella base della colonna traiana fatta innalzare dal defunto imperatore dopo la conquista della Dacia e inaugurata, come rivela l’iscrizione dedicatoria, nel 113 d.C. Il lunghissimo fregio, capolavoro della scultura romana di età imperiale, che avvolge il fusto della Colonna per tutta la sua altezza e che narra in ininterrotta sequenza le guerre daciche del 101 102 e del 105 107, fu fatta eseguire dal successore Adriano.

Alla morte di Plotina (forse nel 122 d. C.) Adriano le dedicò una basilica a Nîmes, città natale e fece erigere come estremo omaggio ai suoi illustri genitori “divinizzati”, nell’estremità del Foro di Traiano, un Tempio a loro dedicato.

Secondo Andrea Carandini, anche il tempio di Traiano e Plotina fu progettato da Apollodoro di Damasco, il famoso architetto favorito da Traiano: al suo estro si devono il Foro, i Mercati e la Colonna di Traiano, ma come racconta lo storico Cassio Dione egli cadde in disgrazia presso il nuovo imperatore Adriano, ma il Tempio risale indubbiamente alla prima fase del loro rapporto, quando l’architetto era ancora al suo servizio. In seguito Adriano lo esiliò e poi lo fece uccidere.

Nelle sue “Memorie di Adriano” Marguerite Yourcenar avrebbe voluto mettere al centro del racconto la figura di Plotina, ma ritenne impossibile prendere come figura centrale un personaggio femminile perché “la vita delle donne è troppo limitata o troppo segreta. Se una donna parla di sé, il primo rimprovero che le si farà è di non essere più una donna”. In un passo del libro La Yourcenaur fa dire all’imperatore che gli ha ispirato questo libro, capolavoro di ricostruzione storica e di riflessioni sapienziali: “Penso spesso alla bella iscrizione che Plotina aveva fatto apporre sulla soglia delle biblioteca istituita a sua cura in pieno Foro Traiano: ‘Ospedale dell’anima’.” L’importanza dei libri e della cultura per curare gli affanni dell’uomo è racchiusa in questa sapiente iscrizione. Ci piace allora riportare anche una frase delle “Memorie di Adriano” sull’importanza delle biblioteche: “Costruire un porto, significa fecondare la bellezza di un golfo. Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”.

Condividi