Scorrendo le pagine di “Il profumo delle utopie” (Editore Futura Perugia) giochiamo un poker di domande con l’autore, Giuseppe Mattioli, per svelare mano dopo mano tutto il mondo racchiuso in questo libro, e oltre…

Ciao Giuseppe, nella tua opera ‘Il profumo delle utopie’ si percorre un viaggio tra il passato e il presente scandito, tra le altre cose, dal lavoro, l’impegno politico, aspetti sociali e una prospettiva attiva. Dove nasce l’idea di realizzare questo percorso narrativo? E quali suggestioni ne sono state il maggiore artefice?

“Il sistema economico globale, plasmato sui miti del liberismo, unico dogma ideologico sopravvissuto dal secolo scorso, produce disgregazione sociale e devastazione politica. Ma, espandendo all’infinito i privilegi dei pochi e depauperando gli altri, si erodono alla radice le condizioni stesse della democrazia e del vivere civile”.

«Intanto cominciamo con il dire che nel libro il Profumo delle Utopie, m’identifico pienamente nella storia di Giacomo, seconda cosa  la Dolciaria Spa  rappresenta chiaramente la Buitoni-Perugina, e la città di Bellona  la nostra Perugia.

In questi ultimi anni sono dati alle stampe diversi libri sulla Perugina, ma per lo più fotografici.

Spesso le narrazioni degli avvenimenti, secondo me, non hanno rilevato la profondità di ciò che quest’azienda ha rappresentato nella storia di migliaia di nostri concittadini e dell’Umbria intera.

Inoltre non è stato colto appieno il messaggio  culturale, aziendale, di  comunità attiva e laboriosa  che   si è celato  dentro i magnifici prodotti e nelle  varie campagne  pubblicitarie.

Ma, soprattutto, sono state  raccontate molte vicende legate all’azienda viste solo dall’interno, senza spirito critico ed autocritico, con pienezza di sentimenti politici, umani e  imprenditoriali. Alcune storie hanno si parlato di avvenimenti aziendali, ma esaminati dal lato esclusivamente personale politico-sindacale  o soffermandosi per lo più all’esteriorità dei fatti vissuti».

 

Nello scorrere delle pagine passano gli anni e si alternano molte chiavi di lettura del presente. A quali sei maggiormente legato?

«Io ho voluto raccontare una storia vera, senza infingimenti o mitizzata. Vissuta e raccontata in prima persona dall’interno, in diversi gradi di responsabilità, partendo dal’ occhio di un giovanissimo che è cresciuto in età ed esperienze con l’azienda stessa, ha formato una famiglia ed è andato in pensione dopo quasi quaranta anni di lavoro.

 La fabbrica, le prime esperienze lavorative, l’incontro con il sindacato e la politica, la situazione sociale interna, i sentimenti delle persone, il modo di pensare, le lotte, i difetti delle persone, tutto analizzato con estrema sincerità e razionalità.

Naturalmente una parte preponderante del racconto riguarda gli aspetti politici e sindacali, ma visti sotto un’ottica non solo aziendale, ma anche nazionale e internazionale.

Fra i tanti fatti narrati, il periodo delle lotte sindacali di fine anni ’60, l’esperienza, molto partecipata ed emozionante dei Consigli di Fabbrica è quella che, ancora oggi sento che ha fatto vibrare le corde più profonde del mio animo: credevamo in quel sindacato di base, attraverso il  quale sono stati raggiunti molti  risultati».

 

La fede politica e l’impegno sindacale, è il titolo di un paragrafo. A tuo modo di vedere quali trasformazioni ci sono state guardandole dall’attuale fase storica?

«La mia generazione si è impegnata e ha lavorato duramente per due obiettivi prioritari, purtroppo non raggiunti: costruire una grande storia industriale e raggiungere l’unità sindacale.

Abbiamo sperato e lavorato nell’ottica  della riunificazione  del sindacato, poiché consideravamo l’unità sindacale e del movimento, un bene prezioso da raggiungere nell’interesse dei lavoratori.

 Sono stati momenti indimenticabili, per l’ardore giovanile, per la partecipazione per il consenso sia perché c’era sostegno pieno da parte dei lavoratori: tutto ciò ormai fa parte  integrante del mio essere.

La mia generazione ha pensato in grande, molti miti e utopie ci frullavano per la testa, ma la più importante di tutte direi  che è stata quella di credere nella possibilità di costruire una società più giusta, diversa, una nuova Italia, di incamminarci verso un socialismo  riformatore e democratico.

 

Anche oggi, nonostante numerose sconfitte, il crollo di molte utopie, credo nella possibilità che una Sinistra possa essere ricostruita, diversa dal passato, un’alternativa socialista ed europea. Molti di noi ci battemmo duramente perché lo scioglimento dei DS fosse scongiurato, non fummo, inoltre,  d’accordo nella costituzione del PD: i fatti di questi dodici anni ci hanno dato ragione.

Secondo me, l’obiettivo del superamento del capitalismo, di questa globalizzazione selvaggia e ingiusta, deve essere ancora nei cuori e nelle menti dei giovani se vogliono costruirsi un futuro migliore.

Certamente la nostra esperienza sindacale e politica è stata  vissuta in un periodo particolarmente favorevole, oggi, forse, non sarebbe possibile. Purtroppo sono cambiati, anche, sia il sindacato sia il padronato».

 «Dal libro cito una frase che racchiude tutto questo discorso: La mia generazione, in quaranta anni di lavoro alla Dolciaria, ha fatto di tutto e di più, non si è fatta mancare niente. Comunque c’è stato sempre un confronto leale, anche con scontri molto duri sulle politiche e sulle prospettive aziendali. Ritengo che fosse meglio di oggi, quando pure in soggetti diversi, si afferma solo la voce dell’azienda: la posizione padronale viene considerata un bene comune».

 

«Il sindacato, anche per la complessa trasformazione dei lavori, lo vede in grande difficoltà. Ritengo che acumi temi non siano ormai più rimandabili, pena la perdita di titolarità complessiva, di rappresentanza e di attendibilità».

 

“Gestione  delle vertenze, democrazia di fabbrica, rappresentanza di tutti, formazione e approvazione delle piattaforme sindacali, degli accordi (referendum), revisione della linea strategica nei confronti delle multinazionali”.

«Anche il padronato ha subito un’opera di trasformazione e d’involuzione, oggi forse per il momento favorevole è tornato a cavalcare temi e mettere in discissione i diritti che sembravamo appartenere al passato.

Più che datori di lavoro sembrano che oggi vestano di nuovo i panni dei Padroni».

“ I lavoratori della sinistra non possono non vedere come compito decisivo sia la ripresa d’iniziative nei luoghi e nei confronti del mondo del lavoro al fine di contribuire alla ripresa e all’estensione delle lotte contro la disoccupazione, la precarietà, i salari da poveri, la perdita di tutele e diritti.

«È dunque nel conflitto il compito fondamentale che dobbiamo affidare alla stessa politica e ad essa collegate la riflessione sulla nuova natura del capitalismo liberista».

Di tutte le vicende racchiuse ne ‘Il profumo delle utopie’ quali ricordi con maggiore entusiasmo? E quali con maggiore affetto? 

«Infine, nonostante le lotte, l’impegno e la passione di batterci, la delusione e i timori che la storia industriale della Perugina possa essere finita e che una Multinazionale avulsa dal territorio avrebbe potuto svuotare il patrimonio industriale vendendo i grandi marchi, e dismettendo prodotti prestigiosi, e  ridimensionare  duramente  la presenza di lavoratori.

Cosa che puntualmente alcuni anni dopo si è verificata.

Nel libro  Umbria: tra memoria, realtà e futuro, racconto quale sia oggi la realtà della Perugina».

 

 

 

”Lo stabilimento di San Sisto è un sito industriale, in parte svuotato, efficiente che, in un clima oppressivo e conservatore, genera un’alta produttività e molto sfruttamento: pochi prodotti e poco personale, in linea con la politica grigia, senza anima delle multinazionali”.

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