PERUGIA - Da ormai troppo tempo perdura una pesante crisi che sta investendo il mercato e l’industria italiana delle costruzioni, con la stagnazione degli investimenti nelle infrastrutture pubbliche, una crescente disoccupazione nel settore della progettazione e il continuo incremento del ricorso delle imprese alla cassa integrazione straordinaria.

Oltre all’inderogabile necessità d’interventi sul risanamento del Bilancio dello Stato e di riforme per eliminare l’inefficienza e la pesantezza burocratica con cui ci si scontra quotidianamente, si devono individuare nuove strategie e nuovi mercati, capaci di dare concrete prospettive per uscire da questa prolungata situazione di emergenza.

Il CNAPPC sta promuovendo, con diversi soggetti interessati, quali ANCI, Regioni, ANCE, LEGAMBIENTE ed altri, una serie di azioni, studi, ricerche e proposte legislative, finalizzati alla trasformazione e rigenerazione delle aree urbane salvaguardando l’ambiente, il paesaggio e limitando il consumo di territorio. Il tema della rigenerazione urbana sostenibile, a causa dell’esaurimento delle risorse energetiche e delle pessime condizione del patrimonio edilizio costruito nel dopoguerra è, per gli architetti italiani, la questione prioritaria nelle politiche di sviluppo dei prossimi anni.

Questione da intendersi non solo come materia rilevante nella pratica urbanistica, ma come una politica per
uno sviluppo sostenibile delle città, limitando la dispersione urbana e riducendo gli impatti ambientali insiti nell’ambiente costruito: frenare il consumo di nuovo territorio, attraverso la densificazione di alcuni ambiti solo a fronte della liberalizzazione di altre aree urbanizzate, da tramutare in servizi e luoghi di aggregazione.

In città sempre più disgregate a causa dell’incontrollata crescita degli ultimi decenni, la riqualificazione delle periferie deve essere il punto di partenza per poter dare una svolta ad una situazione precaria sia a livello edilizio che ambientale. L’assenza di spazi pubblici di qualità e il consumo del suolo arrivato al livello di guardia, il costo energetico non più in grado di sopportare sprechi e lo smaltimento dei rifiuti e dei materiali non riciclabili, hanno determinato consapevolezza da parte dei cittadini con richiesta di interventi e di soluzioni.

Il patrimonio edilizio esistente
E’ necessario trasferire i concetti di compatibilità ambientale, ormai acquisiti per le nuove edificazioni, impiego di materiali edili eco-compatibili, ricorso a fonti energetiche rinnovabili, limitazione dell’inquinamento acustico, anche al patrimonio edilizio esistente: da singole unità immobiliari a interi edifici, quartieri e perfino città, rivolgendo lo sguardo soprattutto alle esigenze degli abitanti, così da ottenere case più umane, meno costose e più vivibili. Edifici caratterizzati da una maggiore qualità edilizia e architettonica e da standard innovativi in campo energetico, tecnico e ambientale, oltre che collocati in ambiti dotati di standard adeguati, esercizi commerciali, luoghi di aggregazione, verde e parcheggi. Con una legge urbanistica antiquata, ferma da 70 anni, integrata da leggi regionali troppo spesso velleitarie ed inefficaci, i piani urbanistici nascono vecchi, non in grado di contenere le disfunzioni in atto e di programmare il futuro delle città post-industriali, caratterizzate dalla carenza di infrastrutture e servizi indispensabili e in cui le funzioni abitative convivono in una congestione insostenibile con le attività secondarie e terziarie.

L’insufficienza di verde urbano e l’utilizzo di energie non rinnovabili concorrono alla formazione delle cappe
d’inquinamento che caratterizzano luoghi sempre più invivibili. Alla paralisi della città e dell’innovazione urbana corrisponde quella dell’architettura, troppo spesso lontana da quel “diritto alla qualità” degli abitanti e degli stessi architetti, ridotti spesso al ruolo di meri interpreti di norme. Con un mercato edilizio saturato da fabbricati privi di qualità e immobilizzato da normative contraddittorie, sommerso dalla più grave crisi dal dopoguerra in poi, è indispensabile investire in qualità e tecnologia. L’amministrazione pubblica deve pianificare lo sviluppo, governando il territorio ai vari livelli, nazionale, regionale e comunale. Occorrono politiche d’intervento che investano il quadro legislativo, istituzionale e finanziario.

L’utilizzo della perequazione urbanistica, strumento indispensabile per il riequilibrio territoriale, può attivare capitali privati più di quanto abbiano fatto gli incentivi volumetrici previsti nei recenti piani casa. È quanto
mai urgente una riforma urbanistica che sappia affrontare l’emergenza sismica e geologica, pianificare un reale sviluppo del contenimento dei consumi energetici, e ridare un senso civile e dignitoso alle periferie.

La riqualificazione del patrimonio immobiliare è una priorità per garantire ai cittadini la qualità e la sicurezza dell’abitare e per migliorare la qualità sociale e ambientale delle periferie degradate, oltre che una grande
occasione per promuovere l’occupazione e l’impiego dell’imprenditoria locale. 

Un approccio innovativo
In una situazione in cui le trasformazioni socioeconomiche degli ultimi decenni hanno favorito non solo l’accentuazione delle disuguaglianze, ma anche un progressivo indebolimento dell’attivismo sociale e politico, e dunque dell’elemento su cui principalmente si basa il rapporto fra l’urbanistica e la comunità, le esperienze
maturate con i Contratti di Quartiere hanno dimostrato come la partecipazione dei cittadini sia indispensabile
per giungere a soluzioni condivise. Soluzioni in grado di individuare, sostenere e sviluppare politiche di
sostenibilità in cui trovino equilibrio gli interessi sociali, ambientali ed economici. La rigenerazione urbana rappresenta l’occasione per risolvere problemi come l’assenza di identità di un quartiere, la totale mancanza di spazi pubblici e l’elevata densità edilizia che rende impossibile gli allargamenti delle sedi viarie, la realizzazione di aree verdi e perfino la messa a dimora di alberature lungo i marciapiedi.

La disincentivazione del consumo di suolo non urbanizzato, pone la questione dei costi vivi diretti e indiretti per l’ambiente, che non possono essere sottovalutati se la prospettiva in cui ci poniamo è quella della sostenibilità: è quanto mai necessario governare il territorio con strumenti urbanistici adeguati, in grado di frenare le nuove costruzioni al di fuori di programmi di rigenerazione del patrimonio edilizio inadeguato.

Programmi che, oltre alla riqualificazione urbanistica ed edilizia, con utilizzo di materiali sostenibili e ricorso a energie alternative, favoriscano l’eliminazione del disagio sociale conseguente allo sviluppo che ha caratterizzato il secondo dopoguerra, con interventi che hanno risposto quasi esclusivamente alla speculazione edilizia ed alla rivalutazione della rendita fondiaria. La riqualificazione degli spazi pubblici, incidendo sulla qualità della vita degli abitanti e sul loro senso di appartenenza ai luoghi può, infatti, costituire un fattore decisivo nella riduzione delle disparità tra quartieri ricchi e poveri, contribuendo a promuovere una maggiore coesione sociale: oltre agli aspetti relativi alla casa, gli interventi si devono porre l’obiettivo della riqualificazione delle infrastrutture urbanizzative e il trattamento delle tematiche sociali, economiche, ambientali.

In questo scenario la riconversione, valorizzazione ed alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, oltre ad essere una straordinaria opportunità per l’abbattimento del debito e la razionalizzazione della spesa delle amministrazioni locali, rappresenta una grande occasione per sperimentare interventi di ridefinizione e rigenerazione dei centri urbani. Un patrimonio che per consistenza, localizzazione, valore storico-artistico e sociale, è di grande importanza strategica sia per lo sviluppo a livello locale, che per il rilancio complessivo del sistema Paese.

Allo Stato e agli enti locali afferiscono infatti beni immobiliari valutati oltre 400 miliardi di euro, più del 20 per cento del nostro Pil: una ricchezza straordinaria e mal gestita, che risulta avere modesti rendimenti, a fronte di costi di gestione da due a tre volte superiori a quelli dei privati. Beni situati in ambiti strategici, che alla collettività non forniscono più né ricchezza né utilità ma che, se adeguatamente valorizzati e gestiti, possono produrre grandi benefici, sia economici che sociali, rappresentando un patrimonio da utilizzare come volano strategico per attivare allettanti opportunità di sviluppo territoriale e locale. La riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente è una priorità per garantire ai cittadini la qualità e la sicurezza dell’abitare e, oltre che promuovere la ricerca e l’innovazione tecnologica, può costituire un importante volano economico per il settore delle costruzioni, affermando così il ruolo del progetto di architettura quale strumento per le politiche di welfare e di sviluppo dei valori culturali e sociali del territorio italiano: a questi nuovi bisogni l’architettura deve dare risposte, tornando, così, a rappresentare il suo naturale valore etico che è quello di contribuire allo sviluppo civile del Paese, interpretando, attraverso la qualità dei progetti, le nuove esigenze dei cittadini, avendo però ben presente che un progetto così complesso richiede competenze e funzioni diverse. Esige sinergia con istituzioni, università, urbanisti, associazioni ambientaliste e costruttori, oltre che con tutti i gruppi sociali portatori di interessi, sistema bancario, sindacati e forze culturali. Tutti uniti nella convinzione che non vi sia altra strada per tentare il riequilibrio della città, del territorio e la tutela del paesaggio, se non quella d’avviare un ampio piano di riqualificazione e di ristrutturazione dell’edilizia priva di qualità, mediante uno straordinario processo di rigenerazione urbana. Occorre intervenire sia sul degrado fisico e ambientale che sull’eliminazione dell’esclusione e della marginalità comune, potenziando il “capitale sociale” presente e facendo grande attenzione alle fragilità collettive ed economiche delle minoranze e delle identità culturali.

La rigenerazione delle aree urbane, un progetto per il Paese
Per raggiungere gli obiettivi del progetto della “rigenerazione delle aree urbane” è indispensabile una strategia complessiva, che garantisca standard di qualità, bassi costi, minimo impatto ambientale e risparmio energetico. Non possiamo lasciare che tanti microinterventi risolvano ognuno il piccolo singolo problema: in questo modo senza una strategia complessiva si rischia addirittura di operare in modo dannoso. Servono ricerca, intelligenza e risolutezza, lavoro coordinato per ridare capacità alla nostra industria e mettere in moto un volano di processi economici capace di garantire un grande ritorno. Occorre quindi una politica nazionale sulla rigenerazione delle città, ma questa presuppone un salto culturale di tutti i protagonisti. Gli architetti devono modificare il loro tradizionale approccio progettuale, le imprese devono uscire dalla loro consueta logica di operare, la politica deve farsi carico rapidamente ed in modo complessivo di questa grande riforma che proponiamo al paese. Così come i cittadini devono superare pregiudizi derivanti da un’innata abitudine a trattare la propria abitazione come un qualcosa di acquisito a costo di ogni sacrificio. 

Occorre, da parte di tutti, superare il tabù della demolizione e ricostruzione: i costi per rimettere a nuovo edifici non adeguati al rischio sismico sono più alti di una ricostruzione vera e propria. Conviene abbattere qualche muro, cancellando così anche i nefasti risultati della pianificazione scorretta degli anni Sessanta, realizzando contestualmente scuole, asili, negozi e centri culturali. In Europa si trovano molti esempi di brutte periferie demolite e ricostruite come nuovi quartieri urbani integrati. In Francia, interessata nel 2005 dalla rivolta delle Banlieues, letteralmente i ”non luoghi”, è stata avviata una politica nazionale di rinascimento urbano. È stata emanata una legge nazionale e istituita un’agenzia: l’ANRU, Agence Nationale pour la Renovation Urbaine. Sul suo sito si trovano i vari Grands Ensembles degli anni 60 e 70 del secolo passato, oggi demoliti.

Per garantire la possibilità d’interventi sostitutivi, demolendo e ricostruendo non necessariamente sullo stesso sedime, si deve superare l’approccio espropriativo, non sostenibile dalla Pubblica Amministrazione nelle operazioni di trasformazione urbana, affiancando ai principi perequativi quelli compensativi. Si può così caricare sugli operatori privati l’onere della realizzazione delle opere di urbanizzazione, permettendo al soggetto pubblico l’acquisizione dei suoli e/o di altre risorse, in cambio di diritti edificatori economicamente “equivalenti” da localizzare su aree appositamente preposte allo scopo o di immobili di proprietà degli enti locali.

Alla stessa compensazione urbanistica può essere ricondotta l’attribuzione di crediti edilizi agli operatori che realizzano interventi di miglioramento della qualità urbana e/o di riqualificazione ambientale, come ad esempio la bonifica di siti inquinati, la demolizione di manufatti dismessi e il potenziamento e/o l’ammodernamento delle infrastrutture, che potranno essere realizzate mediante interventi di project financing e gestite da società opportunamente costituite.

Gli interventi di rigenerazione consentiranno di rivedere la rete delle centralità e dei luoghi di riferimento, introducendo usi ed attività miste compatibili ed integrandole in sistemi più ampi, dissolvendo così le negatività attualmente presenti. Le periferie non devono più essere viste come luoghi marginali della città storica, ma vanno considerate zone urbane da integrare nel tessuto edilizio e sociale della città.

Occorre porre attenzione alla dimensione “micro”, spiccate sensibilità di progetto, della cura degli spazi pubblici e delle fragilità sociali ed economiche, prevedendo che piani e programmi contengano, oltre a norme e parametri, anche indicazioni progettuali e tipologiche che garantiscano il migliore utilizzo delle risorse naturali e dei fattori climatici, nonché la prevenzione dei rischi ambientali. In particolare, attraverso le modalità di sistemazione degli spazi esterni, la previsione di idonei indici di permeabilità dei suoli, l’indicazione di tipologie edilizie che migliorino l’efficienza energetica e utilizzino come parametri progettuali la riflessione della radiazione solare verso l’edificio e la geometria degli ostacoli fisici che influiscono sui guadagni solari, oltre all’individuazione di un sistema di certificazione univoco e credibile a livello nazionale, in grado di coinvolgere tutti gli immobili esistenti.

Un nuovo ciclo
Il progetto della “rigenerazione delle aree urbane”contiene già in sé le risorse economiche che, messe a reddito con strumenti finanziari adeguati e sommate a incentivi pubblici, bonus volumetrici e fondi europei, rendono realizzabile questa sfida. Per vincerla serve una vasta condivisione politica e sociale di Governo, Parlamento, Regioni, Comuni, ma anche del Demanio, non solo per la dismissione ma anche per la valorizzazione del patrimonio pubblico; così come serve coinvolgere anche le grandi proprietà immobiliari private e le istituzioni finanziarie italiane e comunitarie.

Vi è ormai la consapevolezza della chiusura di un ciclo storico postbellico, durato oltre sessant’anni, e caratterizzato da un’espansione disordinata che non ci possiamo più assolutamente permettere; è per questo che occorre puntare sul rinnovo dell’esistente per non consumare ulteriore suolo, per dare soluzione ai problemi energetici, per tutelare il paesaggio e per rilanciare l’intera economia italiana.
Queste iniziative sono da attuarsi anche mediante sostituzione di isolati, parti o interi quartieri costruiti nel secondo dopoguerra, caratterizzati da un’edilizia di scarsissima qualità, inadeguata sia in riferimento alle norme antisismiche ed idrogeologiche, che a quelle sulla qualità degli impianti e contenimento dei consumi. Si tratta di un progetto ambizioso ma inevitabile: in un futuro non più rimandabile, un patrimonio di circa 90 milioni di vani costruiti negli ultimi 60 anni, sarà inadeguato e dovrà essere sostituito da una pianificazione che non può che essere pluridecennale. In uno scenario dove l’industria edilizia (intesa come finanziamento, produzione, progettazione, realizzazione), nonostante la disponibilità di efficaci alternative fornite dalla ricerca, è ancora troppo spesso fossilizzata su sistemi produttivi tipici del primo dopoguerra.

I circa 120 milioni di vani che costituiscono la nostra struttura urbana sono formati da:
edifici che consideriamo “storici”, ai fini della tutela, della consistenza di circa

• 30 milioni di vani, realizzati
in oltre 3.000 anni di storia e che costituiscono l’identità stessa della civiltà italiana, da considerare un “bene unico e irriproducibile” da ri-vitalizzare, ri-funzionalizzare e ri-attrezzare;

• fabbricati che costituiscono le periferie urbane e non, la cui consistenza è stimabile in circa 90 milioni di vani, caratterizzati da scarsissima qualità architettonica e costruttiva, generalmente non antisismici, realizzati anche in ambiti geoambientali inadeguati e con impiantistica superata e materiali non “sostenibili”, carenti di servizi primari, che nei prossimi anni saranno, avendo esaurito il proprio ciclo economico, totalmente obsoleti e dovranno essere sostituiti con una programmazione che non può che essere pluridecennale.

La proposta di una rigenerazione urbana sostenibile nasce anche dal notevole sconforto causato dalle mancate aspettative dei recenti piani casa, sia di origine governativa che regionale, il cui quasi generalizzato insuccesso è dovuto sia al fatto che gli eventuali aumenti volumetrici si sono rivelati spesso inattuabili a causa degli eccessivi costi di adeguamento dell’intero edificio ai nuovi criteri antisismici, sia perché spesso tali aumenti hanno dato origine a nuovo disordine architettonico ed urbanistico oltre a non aver avuto alcuna incidenza sul “recupero sociale” degli ambiti interessati.

Gli architetti italiani sono in prima fila per la proposizione di un piano strategico complessivo, che preveda modi d’intervento pubblico-privato, con ricorso alla perequazione compensativa e a soluzioni tecnico-amministrative in grado di garantire un’attuazione semplificata e in tempi certi. Un piano che oltre a garantire grandi prospettive al mercato della progettazione e della realizzazione, contribuisca ad arrestare il consumo di nuovo territorio e a liberare aree già urbanizzate, trasformandole in piazze, servizi e parchi urbani, riqualificando così anche il “capitale sociale” delle periferie.

Questo piano non può più essere considerato un’ illusoria utopia, ma una realtà già in corso di attuazione in
altri paesi europei più pronti del nostro. Perché si possa attuare, occorre intervenire con politiche in grado di investire sia l’ambito legislativo, che quelli istituzionali ed economico/finanziari. Questa è una grande occasione per il rilancio dell’economia del nostro paese. Mediante una nuova concezione urbanistica e, quindi, tramite programmi urbanistici adeguati si può, infatti, generare un flusso economico virtuoso in grado di recuperare quelle parti di città, dove l’assenza di funzioni direzionali e d’insediamenti qualificati, la mancanza di servizi sociali e il deperimento degli spazi pubblici hanno prodotto forme di tensione ed esclusione sociale. Nell’affrontare i temi del recupero e della valorizzazione delle aree periferiche con programmi complessi, si dovranno perseguire, anche attraverso l’impiego di risorse private, obiettivi di riqualificazione diffusa degli spazi pubblici, di risanamento e ripristino delle aree degradate, d’inserimento di funzioni e attività per servizi collettivi e attrezzature, volti a favorire i processi d’inclusione e sviluppo sociale.

Il Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile
L’Italia, messi sotto controllo i conti pubblici e debellata l’evasione fiscale, ha bisogno di politiche per lo sviluppo per tornare a crescere garantendo un habitat migliore alle nuove generazioni. L’obiettivo principale per dare competitività al paese e attrarre gli investimenti è ridare efficienza, sicurezza e vivibilità alle 100 città italiane che ospitano il 67% della popolazione nazionale, che sono il principale patrimonio non solo culturale ma anche produttivo del Paese producendo l’80% del PIL, oltreché – con i suoi milioni di case frutto del risparmio degli italiani – la vera garanzia a fronte del debito pubblico. Va perciò attivato un Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile – sul modello del Piano Energetico nazionale – che fissi gli obiettivi e ne deduca gli strumenti politici, normativi e finanziari. 

Gli obiettivi sono: La messa in sicurezza, manutenzione e rigenerazione del patrimonio • edilizio pubblico e privato, ricordando che nelle zone a rischi sismico risiedono oltre 24 milioni di persone, mentre altri 6 milioni convivono con il rischio idrogeologico.

• La drastica riduzione del consumo del suolo e degli sprechi degli edifici, energetici e idrici, promuovendo “distretti energetici ed ecologici”, se è vero che il consumo energetico negli edifici ad uso civile, per il riscaldamento, raffrescamento e l’acqua calda sanitaria, è pari a 29,0 Mtep (milioni di tonnellate di petrolio equivalente), ovvero oltre il 20% del consumo totale.

• La rivalutazione degli spazi pubblici, del verde urbano, dei servizi di quartiere.

• La razionalizzazione della mobilità urbana e del ciclo dei rifiuti.

• L’implementazione delle infrastrutture digitali innovative con la messa in rete delle città italiane, favorendo l’home working e riducendo così spostamenti e sprechi.

• La salvaguardia dei centri storici e la loro rivitalizzazione, evitando di ridurli a musei

Le risorse disponibili per fare ciò provengono da:

• La messa a sistema delle risorse dei programmi comunitari sui quali il Paese continua a procedere in modo irrazionale, senza la guida di un Piano complessivo e una adeguata organizzazione.

• Il riequilibrio degli investimenti pubblici tra grandi infrastrutture e città, dove gli investimenti sono scesi a meno di 7 mld di euro, a fronte dei 50 del programma francese: gli stessi investimenti in infrastrutture devono essere integrati con le politiche urbane, per non diventare mero strumento di “occupazione” di breve respiro, incapaci di accrescere la competitività del Paese e la qualità dell’habitat.

• Il risparmio derivante dalla messa in sicurezza dei fabbricati da terremoti e eventi calamitosi afferenti alla condizione idrogeologica, stimabile in 3 miliardi all’anno (dal 1944 al 2009 oltre 200 miliardi).

• La razionalizzazione dei contributi o incentivazioni pubbliche sull’energia già in essere, ora destinati a politiche settoriali fuori da un progetto sintetico e generale: dal 2006 al 2011 sono stati investiti 69 miliardi sul fotovoltaico, di cui 8,5 sono stati destinati ai produttori esteri (Germania, Cina, Giappone). All’interno di un Piano di rigenerazione gli investimenti dovrebbero essere suddivisi più razionalmente tra risparmio e produzione energetica, tenendo conto che gli obiettivi 2020 comporterebbero per sistemare il “colabrodo” del patrimonio edilizio italiano una spesa di 56 miliardi.

• La messa a sistema degli investimenti privati e pubblici per le manutenzioni ordinarie e straordinarie, oggi condotte sulla scorta dell’emergenza e senza finalità né di ordine energetico, né coordinate in un disegno generale, per un valore complessivo nel 2011 di 133 mld.

• La messa a frutto delle dismissioni del patrimonio pubblico per raggiungere gli scopi del Piano, facendone il volano delle trasformazioni urbane sostenibili.

• L’ideazione di strumenti finanziari ad hoc in grado di mettere a reddito il risparmio energetico, idrico e sulla manutenzione, oltre a bonus volumetrici a fronte di un impatto ambientale vicino allo zero e di innovazioni tecnologiche utili all’efficienza delle città.

L’esito sarebbe:
• Porre le condizioni per un risparmio complessivo a lungo termine delle risorse energetiche, naturali (acqua, terra) ed economiche degli abitanti delle città, attuando così le premesse di sostenibilità del welfare abitativo.

• Il rilancio dell’occupazione, aumentando la capacità di spesa dei cittadini, rianimando le casse dei Comuni, aumentando l’efficienza delle città e favorendo lo sviluppo anche di altri settori.

• Il miglioramento dell’habitat urbano, potenziando la sicurezza dei cittadini, riducendo le malattie connesse all’inquinamento e allo stress, favorendo la socialità e perciò riducendo i fenomeni di delinquenza.

• La salvaguardia del patrimonio edilizio degli italiani e del patrimonio culturale delle città, favorendo il turismo colto e l’educazione dei cittadini. A fronte di obiettivi condivisi, formalizzati nel Piano Nazionale per la Rigenerazione Urbana Sostenibile, a livello centrale e periferico vanno create le condizioni e il contesto normativo per realizzarlo, per esempio con:

• Proposizione di nuovi programmi di riqualificazione urbana basati su “distretti energetici urbani”, aree urbane all’interno delle quali ricercare l’integrazione e la valorizzazione della domanda pubblica, gli incentivi energetici, l’esigenza privata di interventi di riqualificazione sia micro che di maggiore dimensione. In sostanza una sfida di progettazione e integrazione che potrebbe delineare un nuova stagione di trasformazione urbana.

Rivisitazione dei contratti di quartiere a sostegno dei distretti, • utilizzabili ora come “contratti di coquartiere”,
a fronte di progetti avanzati e partecipati di sostenibilità ambientale e sociale, parametrati sulla base di standard ecologici elevati riguardanti gli edifici, gli spazi pubblici, la mobilità, il ciclo dei rifiuti,  l’infrastrutturazione digitale.

• Cooperazione progettuale, economica ed urbanistica tra pubblico e privato, connessa ad una semplificazione responsabile ed a una maggiore efficacia dell’azione amministrativa. La promozione dei concorsi di architettura, anche nel privato, per incentivare l’innovazione progettuale, favorendoli con incentivi fiscali o volumetrici.

• Attivazione, tramite legislazione statale e regionale dei principi di Compensazione e Perequazione urbanistica, sulla fiscalità e gli incentivi. Nell’ambito della legge complessiva sul RIUSO, introdurre l’obbligo per le regioni di promulgare leggi (entro un massimo di 12 mesi) che obblighino i Comuni a ridefinire le destinazioni urbanistiche delle aree attualmente occupate da proprietà dello stato passate agli enti territoriali, quali caserme ed altri immobili demaniali comunque inseriti entro le perimetrazioni urbane. La norma dovrebbe anche dettare i tempi massimi concessi ai Comuni per individuare urbanisticamente le aree (residenziali e non) soggette al nuovo regime di sostituzione edilizia/urbanistica.

• Introduzione di norme incentivanti la maggiorazione sostanziale della fiscalità a carico della nuova edificazione occupante nuove aree di espansione e comunque totalmente nuova e non preesistente e contemporanea effettiva defiscalizzazione dei nuovi interventi derivanti da precise politiche e specifiche norme basate sulla sostituzione edilizia. Tali norme ovviamentesono intese ai fini del contenimento di consumo di nuovo suolo non urbanizzato.

• Previsione, all’interno della nuova normativa, che i Comuni possano entrare in possesso di una quota percentuale dell’incentivo urbanistico (volumetrico o di superficie) derivante dalla norma perequativa sulla trattazione di mercato dei diritti edificatori. Congruentemente con la soluzione dell’invenduto tale quota può diventare realisticamente valutabile, sia in termini di bilancio, che in termini di eventuale intervento edilizio di iniziativa comunale, oltre a conferire agli stessi Comuni capacità economiche per sostenere le procedure progettuali finalizzate alla attuazione delle nuove politiche di sostituzione edilizia ed urbanistica.

• Previsione di incentivazioni volumetriche, di superficie e fiscali in misura diversificata a livello territoriale in base a criteri di compatibilità ambientale, risparmio energetico e idrico massivo, di emergenze sismiche o idrogeologiche, soluzioni in house del ciclo dei rifiuti, ecc.

• Ricorso al prevalente utilizzo di fondi da reperirsi nel privato o con istituzione di specifici eco-bond, con sinergia pubblico-privata, mediante l’introduzione di normative sulla trasferibilità dei diritti edificatori e la valorizzazione, ove esistente, del patrimonio demaniale dismesso, in grado di garantire il necessario volano alle singole iniziative. Gli strumenti finanziari innovativi devono essere in grado di mettere a reddito i risparmi derivanti dal RIUSO, in termini di risparmio energetico, idrico e dei costi di manutenzione, anche tenendo conto del trend di aumenti di costo previsti nei prossimi 20 anni

• Introduzione di auspicabili incentivi, quale una sostanziale de-fiscalizzazione con norma transitoria degli alloggi nuovi invenduti negli ultimi 5 anni, al fine di risolvere la soluzione dell’invenduto che al momento blocca il mercato assieme ad azioni utili a rimettere in circolazione le centinaia di migliaia di locali sfitti, per rispondere al fabbisogno abitativo immediato. Occorre quindi, in sintesi, promuovere efficaci e concrete azioni atte a trasmettere un nuovo concetto di urbanistica non limitato al governo dell’esistente, ma in grado di far fronte all’emergenza sismica e idrogeologica, produrre un reale contenimento dei consumi energetici e ridare un significato civile e dignitoso alle periferie. È necessario lasciare alle spalle gli ultimi decenni di spreco e inefficienza, sostituendo l’edilizia di scarsa qualità realizzata negli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo e riqualificando le periferie urbane: alle forze politiche, agli operatori economici privati e agli amministratori locali, si devono proporre soluzioni tecnicoamministrative atte a rendere agevole e snella l’attuazione d’interventi caratterizzati da elevata qualità edilizia e architettonica, oltre che da standard innovativi dal punto di vista energetico, ambientale e della riqualificazione sociale.

I Comuni devono individuare, in appositi strumenti urbanistici di rinnovo urbano, gli ambiti periferici degradati e le aree dimesse situate all’interno del tessuto urbano, definendo le linee guida strategiche del loro rinnovo, da attuarsi mediante interventi coordinati di conservazione, ristrutturazione, demolizione e ricostruzione anche di intere parti, garantendo un’adeguata dotazione di servizi e attrezzature pubbliche. A tal fine si prevede l’incentivazione delle iniziative dei soggetti pubblico-privati interessati con la previsione di incrementi adeguati diritti edificatori. Mediante opportuni incentivi, premi volumetrici e procedure semplificate, già presenti nel Decreto Legge Sviluppo 70/2011, che ha fissato un quadro di riferimento per l’attività normativa delle Regioni, si devono promuovere strategie innovative per la riqualificazione urbana, intervenendo su alcune categorie di opere, in particolare pubbliche, che possano attivare la riqualificazione della città, definendo le modalità di intervento. Per attivare il processo di riqualificazione delle periferie urbane mediante ricostruzione d’intere parti sulla scorta di un piano strategico complessivo e non per singoli interventi scoordinati, è indispensabile acquisire preliminarmente al patrimonio pubblico, un adeguato numero di alloggi di elevata qualità e sostenibilità in grado di accogliere temporaneamente, a rotazione, i residenti dei comparti oggetto di rinnovo urbano. Detti alloggi possono pervenire sia dal ricorso a meccanismi operativi di perequazione compensativa, anche “incentivati” da finanziamenti pubblici, che dalla messa a disposizione di unità immobiliari sfitte e invendute. Rifacendosi a quanto avvenuto negli ultimi due decenni in ambito europeo, si può, infine, ricorrere ad appositi Fondi di Sviluppo Urbano, in cui dovranno confluire risorse pubbliche e private.

Per un cittadino consapevole
Per fare tutto ciò non basta la sinergia tra politica, tecnici, impresa e finanza: serve la consapevolezza dei cittadini italiani sulle condizioni del loro habitat. Da una nostra ricerca con Cresme risulta che metà dei cittadini italiani ritiene di abitare in edifici sismicamente sicuri, mentre forse il 6% del campione vive in case progettate con criteri adeguati. Ovvero dei 24 milioni di italiani che vivono in zona sismica, 10 milioni credono di essere al sicuro in caso di terremoto. Altrettanto dicasi dell’inquinamento indoor, dove l’83,3% degli intervistati crede che la propria abitazione non sia interessata da materiali nocivi, mentre quasi tutti vivono in edifici realizzati antecedentemente al 1991, quindi precedenti all’emanazione delle principali norme relative ai materiali malsani in edilizia. Per non dire della pressocchè diffusa non conoscenza della certificazione energetica o delle ancora alte percentuali di mancata messa a norma e certificazione degli impianti elettrici.

Poiché primo destinatario della Rigenerazione Urbana Sostenibile è e deve essere il cittadino è un dovere di tutti noi renderlo consapevole dello stato della sicurezza dell’abitare e delle condizioni, anche patrimoniali, dell’immobile su cui ha investito e acceso lunghi mutui. Tanto più nel momento in cui si aumentano gli estimi catastali e le tasse sul patrimonio immobiliare. Il cittadino consapevole deve perciò sapere che gli edifici non sono eterni, che la manutenzione deve essere finalizzata in primis alla sicurezza e al risparmio di risorse, che la qualità e la sicurezza degli spazi pubblici sono un diritto.

Il Piano Nazionale della Rigenerazione Urbana Sostenibile non è solo strumento di sviluppo, di occupazione, di PIL, ma un’occasione per riconnettere il progetto della città alla vita quotidiana degli italiani, rendendoli consapevoli delle condizioni abitative ma anche rispondendo alla loro richiesta di bellezza: un quarto degli italiani (Cresme- Federcostruzioni, 2012) ritiene che la qualità delle costruzioni sia riconducibile al concetto di bello.

 

Condividi