di Elio Clero Bertoldi

 

Il sole era ancora alto quando i tedeschi piombarono, i mitra spianati, nei cascinali dei Ramaccioni e dei Sorbi. Una decina di soldati, silenziosi e torvi, al comando di un sottufficiale. In mezzo a loro, alcuni componenti dei due gruppi familiari - che si erano rinserrati in cantina per sfuggire ai colpi di cannone e di mortaio - riconobbero anche, in abiti borghesi, il figlio di un professionista della zona. Cercavano gli inglesi, almeno così dicevano, gli uomini della Wehrmacht.

La linea del fronte, infatti, in quel luglio del 1944 era via via salita da sud fino a Lugnano e Bonsciano. I contadini di Pian dei Brusci, che ne avrebbero fatto ben volentieri a meno, si erano ritrovati in mezzo tra la retroguardia tedesca e le avanguardie angloamericane. Le cannonate assordanti, degli uno e degli altri, cadevano in mezzo ai campi, con enorme fragore, sconvolgendo la terra, schiantando alberi, frantumando i filari, tanto che, per non rischiare la vita, la mietitura, già avviata, era stata interrotta. Fino ad allora questo angolo di Alta Val Tiberina, tra Trestina e Badia Petroia, era stata risparmiata dalle peggiori brutalità del conflitto. Certo i Ramaccioni e i Sorbi avevano congiunti in armi, chissà dove, chissà se ancora vivi, ma qui l'esistenza filava via lenta nel lavoro giornaliero: il grano da seminare e da mietere, il tabacco "Virginia" da coltivare, il foraggio per gli animali da trinciare, la frutta da raccogliere, i filari dell'uva da irrorare col verderame e da zappettare con cura se si volevano riempire i tini, in autunno. I morsi della fame, anche se le due famiglie non navigavano nell'abbondanza e i sacrifici e il sudore della fronte erano i loro usuali compagni di strada, non li avevano mai avvertiti. Le galline, le oche, le uova, il maiale integravano, nei giorni di festa, i magri pasti.

Anche in quelle ultime settimane, in cui il via vai dei soldati tedeschi, pressati come erano dalle truppe Alleate, si era fatto più frequente, più intenso, le donne di casa non avevano mai negato agli occupanti di passaggio un filone di pane, quattro uova, un po' di vino. I loro nemici, dal tempo dei tempi, erano stati soltanto le gelate, le grandinate e, come quell'anno, la piena del Nestore, che scorreva a poca distanza tra i pioppi: insomma le avversità atmosferiche che danneggiavano i raccolti per i quali ci si dannava di fatica.
Ma i tedeschi e fascisti, quel pomeriggio dell'8 luglio 1944, erano sicuri che gli inglesi avessero trovato riparo nei cascinali delle due famiglie. I mezzadri, perché tali erano, alle domande pressanti avevano risposto senza scomporsi: "Qui 'n emo viduto nessun inglese..."
"Dobbiamo perquisire" - aveva replicato, brusco, il comandante del plotoncino. "Fate pure, ecco le chiavi..." - la risposta immediata, di chi non ha nulla da nascondere.

I tedeschi in armi fecero irruzione, misero tutto sottosopra, ma non trovarono nessuno e nulla di sospetto. Invece di placarsi e di convincersi, però, si inquietarono ancora di più. Strattonarono e trascinarono davanti ad un muro due dei Ramaccioni (un adulto di 37 anni e un ragazzo di 18 anni), minacciando una immediata esecuzione. Le preghiere, le implorazioni e i pianti delle donne li fecero desistere.
"Noi da lassù li abbiamo visti, gli inglesi" - tuonò, tornando alla carica, il sottufficiale.
"Nei campi, pole esse, nascosti tra il grano... Ma in casa non sono venuti. Non li abbiamo visti proprio..." - ribattè uno degli uomini.
Non bastarono le spiegazioni, i chiarimenti.

"Dovete venire al comando" - ordinò il graduato. Trenta persone tra adulti, donne e bambini furono raggruppati, messi in fila e costretti a marciare, circondati dai tedeschi. Durante il cammino due donne caddero svenute per l'afa, la paura e la fatica. Uno dei ragazzi, Stefano Sorbi, si fermò, pietoso, a soccorrerle. Un soldato, rimasto di guardia, cercava di trascinarlo via, ma lui resistette testardo e impavido. Alla fine, nel timore di rimanere troppo distanziato dal resto del plotone, il tedesco se ne andò, lasciando i tre sull'erba, ai margini dello stradello.
Nella sede del comando gli uomini (dai 15 anni in su) vennero richiusi in una stanza; le donne e i bambini furono spinti, poco lontano, in un seccatoio del tabacco. Parlottavano tra loro gli adulti. Qualcuno ricordava, preoccupato, come nei giorni precedenti fossero stati uccisi a raffiche di fucile o di mitra un uomo a Lugnano, altri due a Morra, addirittura 14 a Badia. Tutti civili. I Sorbi e i Ramaccioni, tuttavia, si mostravano fiduciosi nel poter dimostrare, al momento dell'interrogatorio, che di inglesi non se ne avevano visti nei loro poderi e tanto meno li avevano ospitati nelle loro case. D'altronde durante la perquisizione, tedeschi e fascisti, non avevano trovato nessuno e alcunché di sospetto, dunque...

I loro discorsi furono interrotti dalla porta che si apriva con un angosciante cigolìo e dall'ingresso del solito sottufficiale, scortato da due soldati. "Tutti fuori"- l'ordine. Li spinsero all'aperto e li fecero disporre su due file. E prima che i contadini si rendessero conto di quanto stava succedendo partì una prima raffica, seguita qualche attimo dopo, da una seconda. Attilio Sorbi, ferito alle gambe, cadde mentre al suo fianco e sopra di lui, raggiunti dal piombo assassino, stramazzavano parenti e amici. Ferito ma lucido, il giovane sentì una voce in italiano che suggeriva: "Bisogna dargli un colpo in testa..."

E qualcuno - Attilio fingeva di essere morto - cominciò l'odioso compito di sparare il colpo di grazia su quei poveri corpi. Proprio in quei momenti, a poca distanza, dalle vittime e dai carnefici, esplose rumorosamente una granata inglese. E il plotone di esecuzione, nel timore di essere sorpreso allo scoperto da un bombardamento, rientrò di corsa al comando.

Attilio, con la cinghia dei pantaloni e le strisce della camicia, confezionò un legaccio artigianale ma efficace per fermare, per quanto possibile, la fuoriuscita di sangue dalle ferite alle gambe. E poi si trascinò, puntando i gomiti - non ce la faceva proprio a camminare - prima fino a un covone di grano e poi continuando, ancora più avanti, si fece scivolare in un fossetto. Giusto in tempo: i tedeschi erano tornati indietro per completare il loro macabro servizio. Si accorsero, nonostante il buio - il sole era tramontato da un pezzo, ormai -, contando i cadaveri, che mancava un corpo e per questo spararono, per rabbia e frustrazione e all'infranscata, più colpi. Anche a raffica. Alla fine si allontanarono e, senza accorgersene, passarono a pochi metri dal nascondiglio del sopravvissuto.
Attilio, profittando del buio e della conoscenza del terreno, si diresse - sempre carponi e con dolori lancinanti alle gambe - fino a Lugnano, dove arrivò all'alba. Sette ore di tormenti ma in salvo, finalmente.

Le donne e i bambini, intanto, erano stati rilasciati. E subito avevano chiesto dove fossero i loro mariti, i loro figli, i loro fratelli (Ignazio, Settimio e Ottavio Sorbi, Enrico, Ruggero, Domenico, Rodolfo e Mario Ramaccioni, Marino de Brachino). La risposta piombò impietosa, brutale, inumana: "Kaputt".
 

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