Perché Terza Repubblica, c'è populismo e populismo
di Giuseppe Castellini (dal Nuovo Corriere Nazionale di oggi)
Ieri questo giornale titolava “È nata la Terza Repubblica”. Non pochi hanno chiesto ragione di questo titolo. Che a mio parere è azzeccato in pieno e che coglie un cambio profondo già avvenuto nella società e nella politica italiana. Questa ragione è il populismo. Ma non come si intende in Europa, abbinandolo a cose come qualunquismo, rapporto diretto leader-masse e così via. E nemmeno nel senso del populismo sudamericano dei Peron, dei Chavez, caratterizzati per un eccesso di redistribuzione non supportata dalla vivacità della produzione (lo stesso male che ha minato i regimi comunisti), che anzi è ostacolata da questo eccesso di redistribuzione per mano dello Stato.
No, mi riferisco alla nobile tradizione del populismo Usa, che conta anche non pochi presidenti. Teddy Roosevelt, ad esempio, può essere considerato un populista, e lo stesso Franklin Delano Roosevelt, il presidente del New deal. Il populismo americano, infatti, si è caratterizzato per porsi come protettore del cittadino medio di fronte allo strapotere delle corporations, del mondo degli affari, del ‘big business’. Sono stati i presidenti ‘populisti’ a stroncare alcuni importanti monopoli, alcuni importanti trust, a imporre la vendita ‘a spezzatino’ di realtà economiche monopoliste od oligopoliste in grado di manipolare i mercati, di condizionare in modo pesante i governi, di fare il bello e il cattivo tempo. Franklin Delano Roosevelt, nella propaganda dei monopoli e dei trust suoi nemici, “amava “mangiare i ricchi a colazione”. La vena di un populismo sano e necessario è sempre corsa nelle vene del Partito democratico Usa e probabilmente se i Democratici avessero candidato Benny Sanders invece di Hillary Clinton, Democratica della Terza via (ricordate? Quella di Bill Clinton, del ‘New Labour’ di Blair e del Partito socialista europeo), avrebbero vinto contro Trump.
Insomma, veniamo al punto. In tutto il mondo occidentale gli squilibri di una globalizzazione mal governata (su questo sarebbe necessaria un’analisi a parte) e che ha prodotto polarizzazioni sociali con l’aumento della disuguaglianza hanno generato movimenti populisti. Quali masse raccolgono questi movimenti? Soprattutto ceti medi e cet i popolari, che si sentono penalizzati da un certo modello economico e finanziario imperante e che percepiscono di esserne le vittime. Chiedono quindi protezione dalla prepotenza e cambiamento. Chiedono Governi che riportino al centro i loro interessi, che facciano svanire i loro timori, che contrastino e, potendo, sovvertano, il modello del turbocapitalismo imperante (che, detto per inciso, non ha nulla a che vedere con il liberalismo, anzi presenta tratti illiberali di fatto). Queste masse hanno abbandonato i partiti tradizionali perché li hanno considerati non capaci di assicurare questa protezione e questa scelta di campo. E in effetti è manifesto il fallimento della Terza via, cioè di una Sinistra che fosse capace di ‘cavalcare il drago’, domandolo, prendendo le cose positive di una liberalizzazione spinta ed eliminando quelle cattive. Il fatto è che il drago se li è mangiati e, se si guarda all’Europa, i Partiti aderenti all’Internazionale socialista sono in coma, meno guarda caso dove sposano temi ‘populisti’, come Corbyn in Gran Bretagna.
Il recente voto italiano esprime questa domanda di ceti medi e ceti popolari e dà mandato pieno a contrastare fenomeni minacciosi, come l’aumento delle disuguaglianze, l’ascensore sociale bloccato, il rifiuto crescente dei ricchi di pagare il welfare a favore dei meno abbienti. Perché chi è benestante, ed è pertanto dotato di una rete di relazioni robusta, dei consumi collettivi non ha bisogno, perché può acquistarli da sé, e non vuole più versare denaro per essi. Non a caso questi movimenti populisti raccolgono il favore dei giovani, che pagano duramente l’aumento della disuguaglianza, che significa prima di tutto l’uguaglianza delle opportunità. Che è un principio sacro per i veri liberali, tanto che un liberale del calibro di Luigi Einaudi era favorevole a una tassa di successione non solo e non tanto come incasso dello Stato, ma come forma di riequilibrio nelle condizioni di partenza e delle opportunità.
Insomma, c’è populismo e populismo. E, vada come vada il Governo M5S-Lega, l’agenda sociale e politica è cambiata. Ci sono domande diverse da quelle del passato da soddisfare. Come chiamare un tale cambiamento sociale e politico se non Terza Repubblica? L’agenda della Seconda, infatti, è morta.
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