Di Ciuenlai - E’ buffo il PD parla tanto di congresso, una cosa che non conosce, perché un congresso vero non l’ha mai fatto. Anche le 4 fasi indicate da Letta non hanno in se le caratteristiche di una sessione congressuale. Portano , dritte dritte, alle primarie e cioè alla votazione del segretario che vengono, erroneamente indicate come congresso.

Un congresso è, principalmente, una discussione tra gli iscritti per esaminare due cose : 1) i risultati del periodo trascorso dall’ultimo congresso  2) la costruzione di un progetto, di una linea politica per il futuro del partito. Questo percorso parte da un documento  o da delle tesi elaborate dal gruppo dirigente uscente che lo o le  propone all’area di partito (che può essere allargata a forze affini).

Rispetto a questa proposta iscritti e dirigenti possono reagire in tre modi : 1) essere d’accordo  e sostenere le idee e la proposta, 2) non concordare e presentare un piano alternativo da sottoporre agli iscritti e ai partecipanti, 3) essere in disaccordo solo con una parte del documento che si vuole sostenere e presentare emendamenti  che cambino il testo nelle parti contestate.  Di più. Un singolo iscritto e un singolo circolo deve avere il potere di mettere in discussione proprie tesi totali o parziali e, dopo averle fatte approvare dall’assemblea di base, proporle all’assise territoriale superiore , che può votarle e riproporle al prossimo  stadio, fino al livello nazionale.

Si discute, si modifica e si approva se lo si ritiene necessario, un progetto. L’uomo e il gruppo dirigente che , si pensa, sia più idoneo a realizzarlo, sono una logica conseguenza, non il fine. Questo, in sintesi,  è un Congresso, quello che i piddini non hanno mai visto e non hanno mai fatto. Con un’ aggravante.

I Democratici, per scelta, non posseggono un’impalcatura ideale e valoriale, non hanno un’idea alternativa di società e gruppi sociali di riferimento. Sono solo dei conservatori al servizio delle istituzioni economiche e finanziari extranazionali (è per questo che stanno sempre al Governo indipendentemente dagli esiti delle elezioni). Un’impalcatura che è fondamentale per avere una identità  fuori della quale non possono essere costruite proposte e non possono essere preparati progetti.

Un’ identità che serve ad evitare quei  personalismi che il lodo Veltroni porta con se fin dal Lingotto.  E’ inutile aprire una discussione se non si ha questi poteri. Il dibattito è solo uno sfogatoio senza esiti, perché il programma del cosiddetto partito appartiene al segretario che verrà eletto ed è immodificabile.  Le primarie sui nomi sono la scorciatoia con la quale il gruppo dirigente sconfitto si perpetua e si ricicla magari cambiando nome, indirizzo e alleanze con un solo unico fine : il potere.

Quel contenitore elettorale chiamato  PD non è mai appartenuto agli iscritti e nemmeno ai partecipanti alle primarie, ma ai capobastone che , indipendentemente dai risultati elettorali,  se lo tengono stretti. Perché  garantisce a loro, solo a loro e sempre a loro,  in qualità di sconfitti, i privilegi della “ditta”. Per questo equivoco, tipicamente doroteo, il Pd, in senso collettivo, è inutilizzabile per qualsiasi idea di ricostruzione della sinistra.

Esso rappresenta un ingombro, l’ostacolo principale alla ricostruzione della casa dei “rossi”, perché, approfittando della grande storia  dalla quale , ahimè, deriva , tiene bloccate, con l’ideologia del menopeggismo, con la formale  demonizzazione  dell’avversario (con il quale poi fa governi ed inciuci di ogni tipo), molte delle energie necessarie alla realizzazione di un nuovo percorso affidato a chi crede che “un altro mondo è possibile” .

Per questo ci vorrebbe un atto di generosità collettiva che porti allo scioglimento di questa ostruzione,  per ripartire avendo in mente , come prima cosa, un postulato : i moderati stanno con i moderati (care e cari Boccia, Franceschini, Letta , Ascani e via democristianizzando), i conservatori con i conservatori (Cari e care Lorenzin, Romano, Casini, Bonafè e via destrando)  e non fanno parte del partito della sinistra. Se no l’equivoco continua e tra 5 anni ci sarà ancora il Pd o un suo surrogato che ci inviteranno a votare per loro “perché se no vince la destra”.  Ma quale destra,  la loro o quella della Meloni?

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