di Maria Pellegrini.

«La fama planetaria di Palmira è purtroppo legata alla drammatica guerra che, dal 2011, sconvolge la Siria e ha travolto il Paese, la sua gente e il suo patrimonio culturale». Così sottolinea Maria Teresa Grassi autrice di “Palmira, Storie straordinarie dell’antica metropoli d'Oriente” (Milano, Ed. Terra Santa, 2017, pgg. 158, € 16,00). Narrare la sua storia attraverso i secoli, dal II millennio a. C. alle distruzioni, saccheggi e vandalismi degli ultimi anni, è quanto si propone questo libro «in attesa che l’auspicata fine della guerra possa consentire di immaginarne un futuro». La narrazione si ferma al gennaio 2017 quando la città è sotto il controllo dello stato islamico. Dopo una serie altalenante di passaggi dallo stato islamico al governo siriano e viceversa, 1º marzo 2017 l’esercito siriano è rientrato a Palmira. Il brutale assassinio di Khaled al-As’d, per quarant’anni direttore dell’area archeologica e del museo, ha costituito l’episodio più inquietante e ignobile di tutte le violenze a uomini e cose alle quali il mondo civile ha dovuto assistere inerme e sbigottito.

La devastante furia dell’Isis, dopo decapitazioni, violenze su soldati e civili, ha distrutto edifici, scuole, case, beni storico-archeologici di immenso valore senza che né l’Unesco né l’Onu siano riusciti a fermarla. Considerata uno dei principali centri culturali del mondo antico, Palmira fece parte dell’impero romano, a cui risalgono i suoi templi e il colonnato, celebri in tutto il mondo e oggetto nella seconda metà del Novecento di grande interesse da parte di archeologi siriani che promossero ricerche, scavi, restauri, con aperture a collaborazioni internazionali. All’inizio del nuovo millennio si aprivano nuove prospettive di studi e progetti riguardanti il suo immenso patrimonio culturale, ma la guerra ha fatto perdere la speranza di un futuro per quella martoriata città. I suoi templi, la celebre Grande Via Colonnata, principale arteria cittadina, la Valle delle Tombe, sono stati lo scenario di violenze e atrocità entrati nel libro nero della Storia.

Il regno di Palmira assunse un rilievo di primo piano nel III sec. d. C., la regina Zenobia ne è il personaggio più celebre. Prima di occuparsi di questa straordinaria figura femminile, Maria Teresa Grassi, che ha diretto la missione archeologica congiunta italo-siriana di Palmira dal 2007 al 2010, inserisce due capitoli a ritmo serrato di notizie: l’uno, “Un piemontese a Palmira”, si occupa dei primi viaggi diretti in questa città nei secoli XVII e XVIII e l’altro, “Colonne”, descrive la Grande Via Colonnata, «cuore pulsante della vita cittadina», costruita nell’arco di un secolo (150-250 d. C.) e diventato simbolo di Palmira.

Sulla stampa si è spesso ricordata la storia di questa città, si è espresso sdegno per le devastazioni della guerra e, con molti dettagli, si è parlato in termini agiografici e talora con risvolti fiabeschi della sua celebre regina divenuta ben presto un mito. Minore importanza è stata data ai primi viaggiatori, nonostante fossero immaginabili i pericoli cui andarono incontro, le loro escursioni ai siti archeologici, i primi scavi, il loro stupore di fronte alla bellezza di colonnati, templi, archi di trionfo, tombe; tutto ciò è invece raccontato con grande precisione di dati e nomi, e partecipazione emotiva da Grassi.
La prima spedizione per una ricerca scientifica fu organizzata da un gruppo composto da tre britannici e un piemontese architetto-ingegnere ed eccellente disegnatore, Giovanni Battista Borra. La mèta era Palmira. Imbarcatisi a Napoli nel 1750 carichi di libri e documentazioni, arrivarono il 14 maggio del 1751. Nel breve tempo della permanenza Borra disegnò vedute, piante, prospetti, dettagli degli ordini architettonici e delle decorazioni, un lavoro immenso che «oggi ci appare sconcertante, abituati come siamo a utilizzare una tecnologia sempre più sofisticata». Al ritorno pubblicarono il volume “The ruins of Palmyra otherwise Tadmor in Desert” ad opera di Robert Wood, uno dei tre britannici. Dagli schizzi di paesaggi, rovine, monumenti, eseguiti da Borra si ricavarono acquarelli e incisioni per le 57 tavole grazie alle quali l’Europa scopriva Palmira.
Nel secolo precedente, nell’anno 1691, si erano avventurati altri viaggiatori, alcuni mercanti inglesi che arrivarono ad Aleppo e poi a Palmira dove si fermarono pochi giorni per il clima di insicurezza che vi regnava, come hanno raccontato nel loro resoconto entusiastico dell’antica bellezza della città, arricchito dai disegni di ben 58 colonne del tempio di Bel ancora in piedi.
Ancora meno noto - almeno per i più - è il resoconto del viaggio di due militari inglesi tra la 1817-1818 che, fuori del coro, raccontarono la loro avventura con parole di disapprovazione per la fama che circondava quei luoghi, fama per loro «immeritata». «L’elenco delle ‘bruttezze’ di Palmira è piuttosto lungo e articolato: non vi è una singola colonna, frontone, architrave, portale o fregio degno di ammirazione, sgradevoli sono le mensole che sporgono dalle colonne della Grande Via Colonnata; addirittura insignificante l’Arco Monumentale, che sembra bello solo sulla carta». Incredibile giudizio di fronte al quale non rimane altro che supporre fosse dettato da ignoranza e da assoluta mancanza di quell’amore per i resti del passato e delle culture di tutti luoghi del mondo, giustificabile «forse solo dalle difficoltà del viaggio», commenta benevolmente l’archeologa Grassi. Nell’Ottocento seguirono viaggi e interesse di studiosi, ma fu il Novecento il secolo delle fortunate spedizioni scientifiche internazionali per il sito di Palmira, che da 1980 fa parte del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.

Ripercorrendo il racconto a larghi tratti della storia di questa città scopriamo che da tempi lontani è stata centro carovaniero per viaggiatori e mercanti, nodo urbano dove si sono succeduti popoli e civiltà, punto di passaggio tra Occidente e Oriente. Sotto il regno di Tiberio, e poi di Nerone, la città fu annessa all’Impero romano. Plinio il Vecchio ne raccontò le ricchezze del suolo e l’importanza che essa ricopriva all’epoca nei commerci tra Roma e l’Oriente, soprattutto Cina, India e Persia. Nel II secolo d. C. Adriano la visitò e la proclamò città libera, dandole il nome di “Palmira Hadriana”. Tra la fine del II e l’inizio del III secolo, Settimio Severo o il suo successore, il figlio Caracalla, concesse a Palmira lo statuto di città libera.

Nel corso del III secolo d. C. divenne prospero regno cuscinetto tra l’impero romano e quello parto-persiano. Il principe Odenato nominato dall’imperatore Gallieno «coreggente delle regioni orientali» diede vita al regno di Palmira sotto l’egida di Roma. Alla sua morte la moglie Zenobia fece salire al trono il giovane figlio Vabalato del quale assumeva la reggenza. Quando nel 271 Vabalato si dichiarò indipendente da Roma, incominciando a battere moneta per conto proprio, Zenobia proclamò il figlio “Imperator Caesar Vabalathus Augustus”, assumendo per lei il titolo di “Augusta”, allora il regno di Palmira cessò di essere alleato di Roma e ne divenne nemico. Il suo sogno era far rinascere un grande regno ellenistico dal Nilo al Bosforo, indipendente da Roma. Si intrapresero campagne espansionistiche alle quali la regina stessa partecipava e, come le riconobbe il nemico, «combatteva come un uomo». Fu conquistata la Siria, gran parte dell’Asia Minore e l’Egitto.

Nel ritratto di Zenobia, sono citate le fonti storiche, ricordato l’interesse delle arti figurative con la testimonianza di disegni, quadri, arazzi, sculture, e quanto il fascino del personaggio abbia ispirato il teatro, il cinema, l’opera, la letteratura di ogni epoca. Notevole importanza è data anche alle monete non sempre tenute nella dovuta considerazione, sebbene siano oggetti parlanti che possono darci preziose informazioni con ciò che recano inciso.
Una documentazione ampia e articolata, riguarda l’intreccio delle tante religioni presenti a Palmira. Non è rimasta alcuna opera che parli delle numerose divinità che vediamo raffigurate in alcuni rilievi e nominate in tante iscrizioni. Due sono assimilabili al Zeus greco: Bel, il cui tempio è ora ridotto in macerie e Baalshamin, un dio fenicio il cui culto si era diffuso nella Siria meridionale. Le forme monumentali del tempio risentono dell’influenza artistica del mondo romano dei primi imperatori.
Molto c’è ancora da esplorare sugli aspetti della vita quotidiana degli abitanti di Palmira, di cui nel capitolo “Vivere l’oasi”, Grassi cerca di tracciare un’idea attraverso le testimonianze provenienti dagli scavi archeologici. Le abitazioni, gli spazi commerciali e artigianali dovranno essere studiati ancora perché ci diano informazioni sulla vita privata ed economica di quell’antica città. Qualche aspetto ci arriva dalle epigrafi, la più importante è quella denominata “Tariffa”: scoperta alla fine dell’Ottocento, oggi conservata al Museo dell’Hermitage di Pitroburgo, è un «documento di enorme interesse non solo per conoscere l’economia del sito e riscriverne la storia, ma anche per ricavarne qualche dato sulla quotidianità dei suoi abitanti». Si tratta di una legge fiscale promulgata nel 137 d. C. In essa sono citate le categorie professionali soggette a tassazione, tra le quali figuravano anche le prostitute.
Oltre alle epigrafi, i ritratti di cui molti esemplari si possono ammirare nei musei più importanti del mondo, ci mostrano gli abiti, le calzature, i gioielli, tutti particolari che rivelano la classe sociale di appartenenza. Nelle tombe i rilievi funerari ci lasciano altre tracce della vita e del ruolo ricoperto, ad esempio sul capo dei sacerdoti erano poste corone di diversa fattura. La fisiognomica può delineare sentimenti o supposizioni sull’età, anche le mani possono dirci qualcosa. Dai ritratti dei morti si può scoprire molto sui chi fossero da vivi.
Attraverso la narrazione di un’appassionata e competente studiosa, che dal 2007 al 2010 ha diretto la missione archeologica congiunta italo-siriana, abbiamo appreso tanti aspetti delle millenarie vicende di Palmira: da città leggendaria circondata da ogni lato dalla sabbia, come isolata dal mondo per opera della natura, ha preso per il lettore una dimensione storica.

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