Perché in Italia il pacifismo non raccoglie consensi di massa? Forse perché non esiste un movimento pacifista, ma una miriade di movimenti pacifisti, ognuno con il suo programma e la sua piccola cerchia. Bisogna cambiare strada e costruire un movimento unico, dotato di poche parole d’ordine, semplici e determinate. Anzi di una sola parola d’ordine: “no alla guerra!”.
di Pier Giorgio Ardeni e Ginevra Bompiani-

Grazie alla poderosa azione dei media dominanti, la guerra in Ucraina è stata per lo più recepita solo come un’aggressione da parte della Russia, dando credito all’idea che la Russia sarebbe pronta a invadere l’Europa e, di conseguenza, che non potremmo che riarmarci per difenderci. Senza tenere conto di ciò che aveva preceduto quell’invasione, come il riarmo occidentale dell’Ucraina fin dal 2014 – dopo aver fomentato la rivolta di una parte del paese contro un presidente democraticamente eletto – e l’allargamento della Nato nei paesi limitrofi, accerchiando la Russia. La reazione di Israele all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, ferocemente sproporzionata per obiettivi e mezzi, ha portato all’annientamento di Gaza, con il bombardamento ininterrotto dei territori della Striscia, abitati da più di due milioni di palestinesi, e il conseguente massacro di più di 40mila civili, di cui due terzi donne e bambini. Sui media e tra le forze politiche – in un ampio spettro – è però prevalsa la tesi che questo fosse il prezzo da pagare per la difesa di Israele contro il terrorismo di Hamas: uno stermino di massa di proporzioni enormi, che non si era più visto dalla Seconda guerra mondiale, se non in Rwanda e in Bosnia. Ma se in quei casi nessuno aveva messo in questione che si fosse trattato di genocidio – certificato da sentenze e condanne della Corte Internazionale – l’interpretazione dominante di quel che accade a Gaza rifiuta il confronto, e vanifica le numerose denunce della Corte dell’Aia, impedendo l’applicazione del diritto internazionale.

Lo sdegno e la protesta, nel mondo, si erano fatti sentire. Tanto a Berlino come a Londra, a Copenaghen e in centinaia di altre città vi erano state decine di manifestazioni di sostegno ai palestinesi, di condanna di Israele e del suo governo. Milioni di persone erano scese in piazza chiedendo il cessate il fuoco, la fine delle atrocità perpetrate, il boicottaggio di Israele e l’interruzione di ogni rapporto con quel paese, incluso soprattutto l’invio di armi e munizioni. Anche la reazione della Nato e dell’Europa alla guerra in Ucraina era stata fortemente criticata, per la sua unilateralità e per la totale assenza di una qualsivoglia prospettiva negoziale. Non in Italia, però, anche se, con l’annientamento di Gaza, il movimento pacifista sembrava essersi risvegliato, raccogliendo le coscienze turbate. Le manifestazioni degli studenti sono state represse, chi protestava è stato tacciato di antisemitismo, anche se la protesta veniva da ebrei, come negli Stati Uniti. In Italia, alcune forze politiche hanno chiesto il cessate il fuoco, Sinistra Italiana ha fatto suo lo slogan internazionale che chiede «l’arresto del criminale Netanyahu». Ma il movimento pacifista è rimasto per lo più sottotraccia e non ha trovato una “sponda” politica.

Lontano appare oggi quel 15 febbraio 2003, quando ben tre milioni di persone erano scese in piazza a Roma per dire no alla guerra che si annunciava contro l’Iraq, un movimento enorme, parte di quei 100 milioni di persone che in 600 città del mondo protestarono contro la prepotenza americana. Dopo quell’invasione – sancita da un esitante appoggio dell’ONU – e vent’anni di occupazione dell’Afghanistan, con centinaia di migliaia di morti, gli Usa e i loro alleati Nato se ne sono tornati a casa, lasciando paesi distrutti, e nessuno ha messo in questione il loro operato.

In occasione delle elezioni europee, la bandiera del “no alla guerra e al riarmo” pareva avere raccolto attorno a sé molti sostenitori. Diversi partiti e liste l’avevano fatta propria, chi apponendo la parola “pace” al proprio logo (i 5 Stelle), chi facendone un proprio slogan (AVS), chi presentando candidati schierati in quel senso (il Pd), pur mantenendo una linea bellicista. Era stata persino messa insieme una lista – Pace, Terra, Dignità – dichiaratamente schierata contro il riarmo europeo e per la “diserzione”. Insomma, era parso che, finalmente, l’impeto pacifista contro il bellicismo dilagante potesse portare una voce diversa in Europa. Ma così non è stato. L’opposizione alla guerra, all’invio di armi all’Ucraina e a Israele, non è stata sufficiente. I risultati sono stati insoddisfacenti: PTD ha raccolto cinquecentomila voti, non abbastanza per accedere al Parlamento, il M5S ha eletto appena otto candidati, AVS sei (di cui tre Verdi, due di Sinistra italiana e un indipendente), mentre il Pd ha eletto i suoi candidati “bandiera” senza peraltro cambiare linea.

Passate le elezioni, comunque, ogni afflato pacifista nelle forze politiche si è spento. Di Pace, Terra, Dignità si sono perse le tracce. I Verdi, in Europa, hanno votato per l’invio delle armi. Nel Pd ci si agita contro le “cianfrusaglie pacifiste” di taluni suoi eletti. Mentre la situazione è tragicamente peggiorata sia in Ucraina che a Gaza e in Cisgiordania, a soli tre mesi dal voto, i politici italiani sembrano imbambolati. Il popolo italiano nella sua maggioranza soggiace, invece, addormentato dai media dominanti sotto l’incubo della guerra nucleare, succube del verbo imperialista e adagiato nella cieca fiducia nell’occidente. Eppure, solo qualche giorno fa, a Londra sono scese in piazza per la Palestina un milione di persone. Il movimento pacifista italiano, invece, sembra disperso. Forse perché, in realtà, non esiste un movimento pacifista, ma una miriade di movimenti pacifisti, ognuno con il suo programma, la sua mossa, la sua cerchia. È come un grande prato battuto dal vento dove non cresce nessuna pianta. In questo il cosiddetto ‘movimento pacifista’ sebbene non sia necessariamente di sinistra, somiglia alla sinistra: a ciascuno il suo pacifismo, a ciascuno la sua sinistra, mentre gli eserciti col passo dell’oca marciano compatti verso la morte e lo sterminio.

Non solo la pace non è (ovviamente) armata, ma non è nemmeno compatta, unita, solidale, non scorre come un’immensa fiumana, ma come tanti rivoletti subito prosciugati. Bisogna creare un movimento centripeto, anziché centrifugo, dotato di pochissime parole d’ordine, molto semplici e molto determinate. E forse sarebbe più chiaro se a guidarlo non fossero le parole “sì alla pace”, ma “no alla guerra!”. Perché tutti dicono o credono di volere la pace, pur senza muovere un passo verso di lei; altra cosa è non volere la guerra: per questo bisogna scegliere le parole, eliminarne alcune, smascherarne altre, affermarne altre ancora. E bisogna fare delle scelte, e dei gesti, e dei rifiuti. E bisogna dire di no, con tutto il corpo, tutto l’animo, tutta la voce.

E farlo ora. Le iniziative pacifiste pullulano, ma manca loro un luogo unitario – o unico – di lotta e di confronto, ove far campeggiare lo slogan del “no alla guerra!”. Che glielo si dia. Il coraggio uno non se lo può dare, dice don Abbondio. Ma che almeno scelga la paura giusta.

 

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