di Vito Nocera.

Le gare si susseguono e non si puo' seguirle tutte.
Dovresti stare inchiodato allo schermo.
E pero' l'essenziale si riesce a sbirciare.
Questo Qatar 2022 non e' il meglio della vita.
E neanche del calcio.
Come in ogni innamoramento - pero' - le ombre si perdono dentro lo sguardo d' amore.
Al netto delle sofferenze sociali, e anche qualcosa di piu', che si vedono in filigrana dietro la copertina patinata, comunque ha la meglio la magia della sfera.
Non e' piu' il pallone di un tempo, scuro, pesante, affascinante.
E guardandoti attorno hai l'impressione che abbia ragione il mio amico Marco Ciriello: ormai si gioca in banca piu' che sul campo.
E pero' come reggere al sapore di un gioco che quando parte - scrisse Galeano - le mosche interrompono il volo.
E dunque siamo lì a cercare qualche inganno.
Il calcio e' questo, l'inganno, fingi di andare da una parte poi vai dall'altra.
Ora di campioni così scarseggiano, e anche organizzazioni di gioco innovative non mi pare vederne.
Il francese Giroud, giocatore normale, celebratissimo solo perché e' un vero nove.
E il suo compagno Mbappe', fortissimo, forse il migliore che c'e' oggi, con la sua faccia da nero ricco fa pensare piu' a una multinazionale che a una poesia.
E si capisce così che perfino l'ultimo Ronaldo, nella sua disperata corsa contro il tempo, finisce per apparire epico, eroico, come non e' mai stato prima.
Il Brasile forse e' il gruppo piu' forte.
Il fascino delle squadre fanciulle invece si perde ogni volta dopo i primi due turni.
Africani, arabi, altri paesi di minore tradizione calcistica, portano con spensieratezza loro colori ed usanze.
Ora sono anche tutti tatticamente cresciuti, ma ammainano bandiera di fronte alle armate finanziarie fatte di professionisti affermati.
Ma il Brasile sforna talenti moderni, dal gioco rapido e verticale, niente piu' danza.
Anche nei nomi.
Una volta si chiamavano Vava' o Didi' ora Fred e Richarlison. E quasi tutti giocano nei grandi club spagnoli e inglesi.
Quando arrivava il mondiale li aspettavi, come da un mondo sconosciuto e lontano, con le loro storie e leggende.
Il Socrates, marxista della democrazia corinthiana, che aiuta la spallata del paese ai generali al potere, con quel suo lungo nome: Socrate, brasileiro, Sampaio de Souza Veira de Oliveira.
Potevamo sognare, come con Mane' Garrincha.
Da quale anfratto del mondo sbucavano quelle gambe asimmetriche e quell'uccellino leggendario che dribblava ogni cosa.
Compresa la sua stessa vita.
Svanita anche la celeste dello scavallante Cavani che cosa resta?
Per questo l'Argentina alla fine si fa preferire.
Oggi e' squadra di mezzo, meta'
multinazionale e meta' fanciullezza, voglia di dribbling e di pampa.
Non sono della scuola di quelli che pensano sia meglio Messi non vinca per non rischiare di credere di aver superato Diego.
Al contrario il mondiale per Messi sarebbe l'omaggio migliore a quell'Ermete, quell'Ulisse, incenerito da un dardo divino.
Se fosse oggi in Qatar, Diego, ne sono sicuro, correrebbe al capezzale di Pele'.
Con sentimento profondo.
Quasi come fece Pertini con Berlinguer.
Immagino sia d'accordo il mio amico Darwin Pastorin, insieme italo brasiliano e ammiratore di Diego.
Chi come noi due, e come Diego e Pele', ha sentito l'odore dell'erba e patito il fango di certe aree di rigore.
Fuoriclasse assoluti come loro due o ragazzini sognatori e modesti come noi, non fa differenza.
A dare la cifra di tutto e' quel guizzo fanciullo.
Che Diego e Pele', Pele' e Diego, in modo diverso possedevano entrambi.
Il brasiliano piu' punta, cannoniere elegante e completo.
Diego piu' leader, piu' uomo squadra, dentro e fuori dal campo.
Come quando potevi trovarlo a fumare un sigaro con Castro o davanti a una folla immensa fianco a fianco di Chavez e Toni Negri.
In barba a dittature e finanza il calcio, come la letteratura, resta per sempre.
Pele' e Diego, Diego e Pele'.
Una semplicita' che e' difficile a farsi.

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