NEW YORK. Un viaggio tra gli indignati di Liberty Plaza
di Barbara Pianca (Vita.it)
NEW YORK - Questa è la terza settimana. Loro non si muovono. O meglio, si muovono, marciano, dibattono, rispondono alle interviste dei giornalisti televisivi che ora finalmente invadono l'accampamento, si intervistano a vicenda (non si contano i videofonini continuamente in azione), dormono nel sacco a pelo battendo i denti, puzzano di giorni e giorni senza docce, distribuiscono cibo, lavano i vassoi con detersivi ecologici, raccolgono lo sporco che inevitabilmente si forma per terra. Ma rimangono. «Non abbiamo nessuna intenzione di andarcene» affermano, e sembrano davvero convinti. Sono quelli del movimento “Occupy Wall Street”. A New York uno zoccolo duro di ragazzi per lo più sulla ventina - qualcuno dice i soliti figli di papà che amano vestirsi da pezzenti e gridare alla rivoluzione, per poi tra cinque anni inserirsi nel sistema che oggi contestano – non molla. Dal 17 settembre si sono seduti a Liberty Plaza, una piazzatta subito accanto Wall Street, per manifestare contro il sistema capitalista adducendogli le colpe della crisi economica mondiale, sull'onda della primavera araba e delle proteste degli indignados. Dicono: «Rappresentiamo la maggioranza, il 99%: Lo strapotere dell'1% deve finire. Banche, lobbies, mercato finanziario: basta».
Ciò che sta accadendo è più interessante di quanto certi media hanno provato a raccontare: fossero i soliti figli di papà, se ne sarebbero già andati (in uno dei numerosi cartelli che si trovano un po' ovunque nella piazza si legge: “Vi stiamo divertendo? Intrattenervi non è il nostro obiettivo”). Non fosse per altro, se ne sarebbero andati almeno per la pioggia, che più volte in questi giorni arriva improvvisa e battente. Loro però invece rimangono, anche quelli che l'impermeabile non ce l'hanno, con i tamburi e un hula hop che si illumina nella notte, a ballare a turno in un cerchio improvvisato, o a discutere, accendersi, confrontarsi. O, ancora, a ripetere in massa le parole di uno. Gli oratori si turnano e ogni loro frase viene ripetuta ad alta voce da tutti gli ascoltatori. Si formano gruppi sparsi e a volte non è facile capire se sono organizzati o improvvisati. Nonostante ci tengano a dire che non esiste una leadership, di cose organizzate, almeno dal punto di vista pratico, ce ne sono. C'è, soprattutto, il centro “media”, un manipolo di computer protetti da un paio di ombrelloni, dove alcuni ragazzi diffondono in tempo reale le notizie tramite i social network. D'altronde, è proprio da lì che tutto questo è partito, eora cominciano anche a venire diffusi i primi documenti ufficiali del movimento.
Soprattutto nei fine settimana in molti li raggiungono e la massa aumenta, assumendo mille facce, età, idee, e la polizia si spaventa. Sabato alcuni di loro hanno marciato fino al ponte di Brooklyn, bloccando il traffico. Risultato: arrestati in settecento, tra cui perfino una ragazzina minorenne, per disturbo dell'ordine pubblico (i newyorkesi si chiedono perchè la polizia li abbia lasciati invadere il ponte senza bloccarli prima). Già nel weekend precendente c'erano stati i primi arresti, avvenuti con la proverbiale e pur sempre shockante irruenza delle forze dell'ordine americane. Mancando di leadership, le opinioni che si ascoltano a Liberty Plaza sono molteplici. Per alcuni occupanti le iniziative spettacolari come quella del ponte di Brooklyn non hanno senso, è meglio restare nell'accampamento e sostenere il dibattito assembleare ogni giorno. Perseverare. Ma anche le opinioni strategiche diverse sembrano convivere pacificamente, almeno per ora. I ragazzi continuano a ringraziarsi a vicenda ogni volta che uno prende la parola ed esprime i propri pensieri. Micheal Moore e Susan Sarandon sono andati a sostenerli. Ma chi c'è andato domenica sera ha stupito ben di più: un manipolo di marines arrivato a proteggerli. «Abbiamo combattuto per l'America, non per Wall Street» hanno spiegato.
L'aspetto più interessante del movimento, e il più pericoloso per l'establishment, è che è velocemente contagioso. In altre zone d'America sta già accadendo la stessa cosa: Chicago, Los Angeles, Boston, la lista è lunghissima. Secondo le fonti di Occupytogether.org, ad oggi si contano più di 100 città solo negli Stati Uniti. Una settimana fa erano 64 in tutto il mondo. Occupytogether.org è il sito che offre le informazioni necessarie per far partire una protesta nella propria area geografica. Questo è solo l'inizio.
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