Nel giorno dello sciopero generale della CGIl, ci piace l'America
PERUGIA - La Federal Reserve, l'equivalente dalla Banca d'Italia o della BCE europea, a seguito di un lungo lavoro istruttorio, ha deciso di citare in giudizio 17 tra grandi banche ed istituti finanziari, non solo americane ma anche europee, tra le quali spiccano Deutsche BanK, Credit Suisse, Societe Generale, RBS, tutti accusati di aver fornito false valutazioni sulla qualità ed affidabilità degli strumenti finanziari che inglobavano mutui ipotecari e sono stati venduti ad investitori tenuti all'oscuro delle condizioni di bassa solvibilità e quindi alto rischio dei mutuatari. L'obiettivo dell'azione legale è quello di recuperare almeno una parte di quanto sborsato (30 miliardi di dollari) per il salvataggio di Fannie e Freddie, la società che assicurava i prodotti finanziari “intossicati” emessi dalle banche in questione. In precedenza analoga azione era stata intentata dal governo americano nei confronti del colosso bancario svizzero USB. A nessuno può sfuggire la portata di un'iniziativa di questo genere che , nel paese simbolo del capitalismo finanziario, mette sotto accusa la mitologia del mercato, della sua efficienza ed intoccabilità. Al di là di queste implicazioni si pone l'interrogativo. e l'Europa? Perché la Commissione Europea, su mandato dei singoli paesi membri, e la BCE non avviano un'iniziativa simile nei confronti degli istituti bancari e finanziari che hanno riempito gli investitori europei di titoli tossici? Perché il signor Trichet ed il suo successore Draghi non prendono esempio dalla Federal Reserve? Forse sarebbe un bel segnale anche nei confronti dei “mercati” in questa convulsa situazione di crisi.
Pochi giorni fa il Presidente della Federal Reserve, Bernake, in un suo intervento ricordava che “ politiche a breve per rilanciare la crescita e rimettere la gente al lavoro diventano centrali per il successo di quelle di lungo periodo”. Nel giorno del Labor day (una sorta di Primo maggio americano che si festeggia il primo lunedì di settembre), il Presidente Obama, parlando a Detroit ha annunciato per il prossimo 8 settembre il varo di un Piano nazionale per il Lavoro, fatto sopratutto di interventi di pubblica utilità e di opere pubbliche (Obama ha parlato esplicitamente e keynesianamente di strade e ponti). In altre parole, stando a queste dichiarazioni, negli Stati Uniti sta ormai maturando la convinzione che accanto a politiche di investimento sui fattori strategici per lo sviluppo, tecnologia, ricerca innovazione, sia necessario attivare fin da subito, a gran velocità, programmi di breve termine indirizzati a sostenere una ripresa economica che abbia al centro il lavoro. Se guardiamo all'Europa, veniamo da anni precedenti la crisi di crescita (non elevata) ma senza lavoro, anzi con diminuzione del lavoro: cresceva il PIL e arretrava l'occupazione. E la crisi ci ha colti proprio nel bel mezzo di questo meccanismo. Riproporre ricette per la crescita che, ancora una volta prescindessero dal lavoro, sarebbe un suicidio. Da qui, come annunciato per gli USA da Obama, la necessita di un piano del lavoro europeo che attraverso programmi di impiego pubblico sia finalizzato alla erogazione di beni e servizi. Come ricorda l'economista Laura pennacchi, già sottosegretario nel primo governo Prodi, in un articolo apparso sull'Unità, negli Usa si calcola che con un programma al costo netto di 28,6 miliardi di dollari (17 miliardi di euro) si possono creare oltre un milione di posti di lavoro diretti con un effetto moltiplicatore di altri 414.000 posti fuori dal programma.
In attesa dell'Europa si potrebbe cominciare in Italia. E le risorse? Un contributo di solidarietà chiesto a quel 10 per cento di italiani che detengono il 45 per cento della ricchezza nazionale ed una imposizione sui grandi patrimoni immobiliari, sarebbero in grado di assicurare una solida base finanziaria per un intervento di questo tipo. E forse anche i” mercati” non sarebbero d'accordo.
Franco Calistri
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