di Massimo Villone - da "Gialloverdi, né nuovi né barbari" - Il Manifesto 09.09.2018

Ogni scenario ha una chiave di lettura principale. In un Paese profondamente segnato dalla precarietà e dall’incertezza, che vede cinque milioni di cittadini nella fascia di povertà assoluta e altri milioni in quella relativa, la chiave è la paura. Dei penultimi di diventare ultimi, degli ultimi di essere dimenticati e scivolare fuori classifica, dei figli di stare peggio dei padri. Chi ha visto il ceto medio impoverito entrare in una mensa della Caritas, magari vergognandosene, può capire come tante persone dalla pelle scura suscitino il timore che con il prossimo barcone di migranti diventi più difficile trovare un posto. Lo stesso vale per il ragazzo che lavora fuori da ogni regola per una paga miserabile, per chi non può permettersi l’affitto e aspetta invano dal comune l’assegnazione di un alloggio, per chi vive in un degrado segnato dalla criminalità.
Ecco le reclute di Salvini. A chi citasse i diritti costituzionalmente protetti di chicchessia risponderebbero:” E i diritti miei la Costituzione come li tutela?”.
I nuovi barbari in realtà non sono né nuovi ne barbari. Sono i nostri figli e nipoti. Discendono da chi per un quarto di secolo non ha orientato la centralità politica che pure aveva verso i bisogni e le paura di tanti. Da chi ha colpevolmente dissolto i partiti radicati nel territorio che avrebbero potuto cogliere quelle paure e quei bisogni, tradurli in politica,segnalarne l’urgenza.
Chi oggi vuole uscire dall’irrilevanza deve scrivere un progetto che veda italiani e migranti protagonisti insieme di una crescita di diritti individuali e collettivi. Una nuova stagione di eguali speranze. Ma non se ne vede al momento il segno.

 

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