di Leonardo Caponi

PERUGIA - E’ sempre utile (anche se difficile, in questa informazione superficiale e drogata, oltrechè di regime) attingere ai testi originali e integrali, per cogliere il senso di un evento politico e tentare di mettere a fuoco l’identità del protagonista o dei protagonisti. La relazione del segretario Bersani alla recente assemblea nazionale del Pd è istruttiva per “capire” questo partito e la sua politica.  Lasciamo perdere il tratto comune, come dire?, alla “politica” di oggi, cioè il carattere di una riunione fondamentalmente concepita come tribuna di un leader, dove non c’è in realtà discussione, o meglio, paradossalmente, la discussione (o quel che c’è di essa) avviene fuori dalla sede assembleare, attraverso i “lanci” delle agenzie e i resoconti giornalistici del giorno dopo. Una assemblea che, assomigliando ad un congresso per il numero dei partecipanti e anche – come si diceva una volta - per la rilevanza dei temi in discussione, in altri tempi sarebbe durata due giorni o, come minimo (ricordate il vecchio protocollo organizzativo?), uno e mezzo e che, al giorno d’oggi, dal partito che poi viene additato (da alcuni criticato) come il “partito più partito” che c’è, viene liquidata in poche ore, come si fa per una pratica qualsiasi, che più veloce è, meglio è. Tutto questo è deprimente per chi ragiona ancora in termini di partiti veri, confronto reale, partecipazione e protagonismo dal basso. E pensare che ancora si accaniscono nella critica dei “partiti”! Ma di quali partiti parlano? Questi non sono partiti, sono agglomerati politici tenuti insieme, fondamentalmente, se non esclusivamente, da finalità di scopo elettoralistiche e di gestione del potere. Ma, come detto, lasciamo perdere!

La cosa che colpisce e impressiona della relazione di Bersani è la sua ambiguità: politica e programmatica. Particolarmente la seconda, è accentuata nella parte economico sociale. C’è una genericità assoluta nelle affermazioni e nei principi (nell’ambito di una linea di “sinistra”) tale da far apparire come nella politica del Pd per tutti c’è qualcosa (lavoratori e imprenditori, risparmiatori e banchieri, laici e cattolici, industrialisti e ambientalisti), non si scontenta nessuno e tutti i protagonisti del duro scontro sociale e di classe di questi anni si troveranno “armonizzati” in un generale progetto di “ricostruzione” nazionale, di cui sarà protagonista il governo, a guida Pd, prossimo venturo. Si dirà: non c’è da stupirsi, un grande partito interclassista, fa così! Si ma il punto è che stavolta i margini e le risorse per accontentare tutti non ci sono, né è prevedibile che ci saranno  in un futuro di medio periodo. E allora l’ambiguità e, se permettete, anche la furbizia sta nell’esporre un ottimo programma all’insegna di giusti principi e di buoni obiettivi senza indicare le scelte conseguenti, anzi preliminari, tra gli interessi in campo, che saranno necessarie.
Esemplificativo, da questo punto di vista, per passare alla parte più “politica” della relazione, il rapporto con Monti, per l’oggi e per il domani, che è un vero e proprio monumento all’ambivalenza: noi appoggiamo la politica di Monti senza riserve, però ne avremmo fatto una diversa. Per il futuro vogliamo proseguire la sua politica, però vogliamo anche cambiarla.

Il rapporto del Pd con Monti evoca il controverso intreccio di relazioni tra Edoardo e Carlotta e gli altri due protagonisti, descritto da Wolfgang Goethe nel suo romanzo “Le affinità elettive”. Com’è noto, nell’opera del grande scrittore tedesco, le affinità elettive, “ispirate” alla naturale attrazione tra sostanze chimiche che si legano tra loro escludendone altre, sono sentimenti umani spontanei irrefrenabili che confliggono però, irrimediabilmente, con la razionalità e gli obblighi del proprio ruolo, suscitando sofferti rimorsi e crisi di identità.

Il Pd non riesce (non vuole) rispondere ad alcune semplici domande. Una volta al governo rimetterà le mani sulla “riforma” delle pensioni della Fornero, su quella del mercato del lavoro e su alcuni altri dei più nefasti provvedimenti assunti dal governo Monti? Se la “ricostruzione” non parte da quella, almeno parziale, dei diritti e della condizione di vita dei lavoratori e del popolo, che ricostruzione è? Quella di una nuova etica pubblica e della riforma della Rai? Cose per carità importanti e pregevolissime, ma un po’ poco per essere gli unici elementi distintivi tra un governo progressista di centro sinistra e quello della destra liberale e conservatrice.
E, soprattutto (punto chiave) come farà il Pd a conciliare una politica di ripresa della crescita fondata anche, come si propone di fare, sul rilancio degli investimenti pubblici, con quegli jugulatori vincoli monetari (40 miliardi di “tagli” all’anno per vent’anni, ci si rende conto di cosa si parla?!) sottoscritti, col cosiddetto fiscal compact, da Monti per conto dell’Italia in sede di Unione Europea?  “Proseguire la politica di risanamento di Monti” e rispettare questo vincolo vuol dire mettersi nella impossibilità materiale di praticare qualsiasi reale politica di intervento a sostegno dell’economia, della politica industriale, della ripresa dello sviluppo. E’ giusto rassegnarsi a questa prospettiva? E, risorse diverse e/o aggiuntive dove saranno prelevate? Da nuove “riforme” contro la condizione popolare o, tanto per dirne una, con una patrimoniale che colpisca finalmente le grandi rendite e le grandi ricchezze?

Il fatto che l’assemblea del Pd, silente su questi interrogativi cruciali, si rianimi sulle primarie e, addirittura, si “scateni” sui matrimoni gay, è, con tutta la considerazione per quei temi, a dir poco deludente.
La vicenda che Goethe racconta ne “Le affinità elettive”, come è noto, segna una conclusione tragica, per i suoi protagonisti. Non vorremmo che la stessa fine facciano le ambizioni elettorali del pd.

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