di Maria Pellegrini.

Agrippina, passata alla storia soprattutto per essere stata la madre di Nerone e per il suo personale coinvolgimento negli intrighi della corte imperiale tanto da finire uccisa dal suo stesso figlio, ha avuto una vita tumultuosa che lei stessa ha raccontato in un libro di memorie andato completamente perduto. Gli storici Tacito e Cassio Dione, il biografo Svetonio e il naturalista Plinio il Vecchio, che l’hanno ricordata nelle loro opere, attestano di essersi avvalsi, tra le proprie fonti, anche di una storia della sua vita e di quella della gens Giulio-Claudia, scritta da lei stessa.

Nel prologo del volume Io, Agrippina di Andrea Carandini (Laterza ed. 2018, pp.303, € 20,00) si legge un ipotetico inizio di queste memorie:

«Io, Giulia Agrippina Augusta, […] mi considero la narratrice ideale della casata dei Cesari - pronipote di Augusto, sorella di Caligola, moglie di Claudio e madre di Nerone - sufficientemente vicina ai fatti senza però averli potuti determinare salvo in qualche onda lunga del potere. Sono pertanto una testimone inferiore alle pietre, ma superiore ai pettegolezzi che cingono il palazzo con il miasma degli “ho sentito dire...”. Per gli eventi che ho vissuto e che in alcuni momenti ho contribuito a determinare non riferisco chiacchiere o versioni in contrasto tra loro - come fanno abitualmente gli storici - ma le notizie così come le ho sapute».

La narrazione di Carandini continua in prima persona come se fosse Agrippina stessa a ricordare gli avvenimenti che hanno attraversato il tempo di quattro imperatori della gens Giulio-Claudia: Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone. I fatti narrati hanno inizio con tutte le intricate vicende della discendenza di Augusto e delle sue manovre per assicurarsi un successore che appartenesse alla sua famiglia. La genealogia delle importanti famiglie romane è spesso complicata dal ripetersi di nomi uguali ai quali si è aggiunto l’appellativo Maggiore o Minore per distinguere i personaggi omonimi in ordine di tempo.

Augusto non aveva figli maschi, invece Giulia (figlia di sue nozze precedenti a quelle con Livia), sposata con Agrippa aveva avuto cinque figli, due femmine: Giulia Minore e Agrippina, e tre maschi: Caio, Lucio, Agrippa (lo stesso nome del padre). La sorte o piuttosto un piano diabolico di Livia, fece morire i tre figli di Giulia, perciò Augusto adottò Tiberio, figlio di Livia e del suo primo marito Tiberio Claudio Nerone, ma lo costrinse ad adottare Germanico, il figlio di suo fratello Druso, benché egli avesse già un figlio, nato da un precedente matrimonio, Druso Minore. Tiberio, costretto a divorziare dalla sua prima moglie sposò Giulia rimasta vedova dopo la morte di Agrippa, ma da lei non ebbe figli. Per rafforzare la parentela con la sua famiglia Augusto fece sposare Germanico, figlio di Druso Minore (quindi nipote di Tiberio), con Agrippina, figlia di Giulia e nipote di Augusto. La coppia ebbe nove figli, di cui tre morti piccoli, sei sopravvissuti: tre donne Agrippina Minore, Drusilla e Livilla e tre maschi, di cui sopravvisse soltanto Caio Cesare, il futuro imperatore Caligola. Gli altri due, Cesare Nerone e Cesare Druso morirono perseguitati da Seiano, il prefetto del pretorio nelle mani del quale Tiberio aveva lasciato il governo ritirandosi a Capri nel 27.

Nel libro di Carandini questo intreccio tra le due famiglie, quella della gens Giulia di Augusto e quella della gens Claudia di Livia e Tiberio, con le opportune adozioni e i matrimoni imposti, è narrata da Agrippina Minore che emette un giudizio severo su Livia e sulla debolezza di Augusto di fronte alle pressioni di sua moglie:

«Nella guerra che travaglia le dinastie le donne hanno gesta da rammentare; gesta maligne, come quelle dell’astuta Livia, e gesta benigne, come quella di mia madre, la troppo franca e ingenua Agrippina […] Considero la sua vita come la prima parte della mia: due donne, un solo nome, un’unica impresa».

«Quanto più gli uomini sono abili nella guerra e nella politica, tanto più sono deboli con le donne».

 

La prima parte delle memorie è narrata nel capitolo “Al tempo di Tiberio” dove è descritto tutto il bene e il male accaduto durante gli anni del successore di Augusto di cui Agrippina Minore lascia un ritratto in linea con tutto quello che Svetonio e Tacito scriveranno di lui, i suoi vizi, le sue atrocità, ma soprattutto ricorda quanto odio Tiberio avesse mostrato verso la sua famiglia. Per suo ordine infatti avvennero fatti delittuosi: suo padre Germanico fu avvelenato mentre era in Oriente in guerra contro i Parti; i suoi due fratelli Cesare Nerone e Cesare Druso, morirono - come si è già detto - dopo condanne inflitte ingiustamente. Dopo la congiura ordita da Seiano per impadronirsi del potere, ma fallita, implacabile fu la vendetta dell’imperatore contro di lui e i suoi seguaci. Ben più dolorosa fu la fine di sua madre Agrippina Maggiore: confinata nel 29 sull’isola di Pandataria (odierna Ventotene) con l’accusa di tramare contro Tiberio, si lasciò morire di fame.

I ricordi di Agrippina Minore sono molto dolorosi: aveva quattro anni quando suo padre Germanico fu ucciso e impressa nella sua memoria è il ricordo di sua madre che tornava a Roma da Antiochia con l’urna di Germanico, accolta da una folla silenziosa e sdegnata e a lei sembrò che nulla avesse ferito Tiberio «più dell’entusiasmo del popolo verso la madre Agrippina». Rientrati a Palazzo, di notte Livia e Tiberio sentirono «voci che gridavano ‘restituiscici Germanico’».

Un giudizio conclusivo su di lui è riassunto in questa frase:

«In un primo tempo, Tiberio è stato considerato esemplare; poi, un simulatore; quindi un misto di vizi e virtù; dopo, occultamente detestabile; e infine un tiranno feroce senza freni».

 

Le memorie di Agrippina Minore proseguono con il racconto della morte di Tiberio soffocato da Caio Cesare, detto Caligola, unico superstite della famiglia di Germanico, acclamato imperatore. Era amato dalle truppe che lo avevano visto poco più che bambino vagare per gli accampamenti al seguito del padre Germanico.

Siamo “Al tempo di Caligola”. Il carattere ambizioso e volitivo di Agrippina Minore si rivelò per la prima volta nel 37, quando, asceso al principato Caligola, lei e le due sorelle, Drusilla e Livilla (figlie come lei di Germanico e Agrippina Maggiore), cominciarono praticamente a regnare insieme al fratello. Agrippina aveva solo ventidue anni, e le sorelle erano adolescenti. Non si fa mistero sulle scabrose e incestuose passioni di Caligola per le sorelle, Drusilla, la preferita, era notoriamente sua amante. Nel 40 fu sventato un complotto contro l’imperatore nel quale Agrippina era coinvolta, perciò fu relegata insieme a Livilla (Drusilla era morta) nelle isole Pontine. Tuttavia più tardi, nel gennaio del 41, una nuova congiura organizzata dagli stessi pretoriani ebbe esito positivo e pose fine alla vita di Caligola a colpi di pugnale. Tra le azioni meritorie di Claudio Agrippina ricorda che fu quella di «purgare il senato dai membri di cattiva fama integrandolo per la prima volta con uomini della Gallia Transalpina».

Questo è ciò che Agrippina pensa dell’imperatore, suo fratello:

«Nessun principe come Caligola è stato un despota tanto estremo, che ha mostrato dove possa giungere la crudeltà e la stravaganza di chi possiede un immenso potere, […] è stato l’esatto contrario di suo padre Germanico, avvelenato perché onesto e clemente - le virtù più invidiate e temute dai potenti - mentre lui è stato ucciso per la sua efferatezza e follia».

 

Nei tumultuosi momenti successivi all’assassinio di Caligola, Claudio zio di Caligola e di Agrippina, in quanto unico membro maschio superstite della dinastia Giulio-Claudia, era stato portato a spalle in trionfo per le strade di Roma, ed eletto dai pretoriani imperatore per nessun altro merito che l’essere fratello del defunto Germanico.

Dunque siamo giunti “Al tempo di Claudio”, che salito al soglio imperiale nel 41, proclamò un’amnistia, sospendendo i processi di lesa maestà e richiamando a Roma gli esiliati dei processi precedenti, anche Agrippina.

Carandini attraverso le parole di Agrippina ricostruisce la storia di un’epoca di grandi conflitti, di cambiamenti, di guerre per proteggere i confini dell’impero o ampliarli. È però una storia dipinta al nero che si sofferma più sui difetti, le malvagità, gli intrighi dei prìncipi che sulla loro politica e le loro imprese belliche che tuttavia sono riportate.

Nello stesso anno in cui Claudio fu eletto imperatore, la moglie Messalina (non era la prima delle mogli, ce ne erano state altre) diede alla luce un figlio maschio, Tiberio Claudio Cesare, ma quando nel 43, a seguito della conquista della Britannia, il senato offrì a Claudio il titolo onorifico “Britannico”, l’imperatore rifiutò di adottarlo per se stesso, ma lo concesse al figlio che da allora in avanti diventerà noto con questo nome. Messalina, «vendicativa, intrigante e ambiziosa», irritata per l’influenza che la nipote aveva sul marito, cercò di osteggiarla in mille modi ma Agrippina fu in grado di tenerle testa per mandare a effetto i suoi piani a proposito dell’avvenire del figlio Domizio, il futuro Nerone (avuto da un precedente matrimonio con Domizio Enobarbo cui l’aveva costretta Tiberio). Infatti cominciò a circuire lo zio con affettuose premure con le quali ottenne che il giovinetto suo figlio, già amato dal popolo perché nipote di Germanico, suscitasse affetto e simpatia anche nell’animo di Claudio. Tali manovre tendenti a scavalcare Britannico, legittimo pretendente alla successione imperiale, scatenarono l’ira di Messalina: la guerra tra le due donne fu dichiarata senza esclusione di colpi, ma nel 48 il liberto Narcisso ordì una congiura per eliminare quella spudorata che conduceva una vita sregolata e piena di amanti. C’era il timore che Claudio revocasse la condanna e la perdonasse, così Narcisso accelerò la sua sorte e la fece pugnalare a morte. Per Agrippina la via al talamo di Claudio era aperta. Si liberò delle rivali con metodi non proprio legali: per sincerarsi della morte di Lolla Paolina si fece portare la testa recisa a Palazzo.

«Claudio era debole: si era sempre lasciato condizionare dagli interessi dei liberti e dai capricci delle donne, per cui a tener la barra dritta ora servivo io».

Così scrive Agrippina e, sposato Claudio, aggiunge:

«Accerchiando il principe con braccia seduttive e con liberti a me legati, mi sono impadronita del potere tanto da avere a volte un’influenza più forte di quella di Claudio».

Ottenne infatti che Seneca esiliato da otto anni in Corsica tornasse a Roma e gli fosse affidata la tutela del figlio Lucio Domizio. Nonostante l’esistenza di Britannico ottenne da Claudio l’adozione di suo figlio che avrà il nome di Tiberio Claudio Nerone.

«Le donne devono avere non tanto l’apparenza del potere, che va lasciata agli uomini, quanto il controllo su di esso, per cui diventano maschere dietro le quali sono esse ad agire». È questa la regola seguita da Agrippina: ottenere la fiducia del potente di turno per poi eliminarlo. «Ricorrendo allo strumento estremo delle donne, già usato da Livia», Agrippina aveva corrotto l’assaggiatore dei cibi di corte che «aveva sparso veleno su un piatto di funghi, cibo di cui Claudio era ghiottissimo». L’imperatore morirà durante il pranzo.

Agrippina aveva preparato la via al trono per il figlio Nerone diciassettenne con tanta abilità e spregiudicatezza che il passaggio di potere da Claudio a Nerone avvenne senza incidenti. Ben accolto dal Senato e dalle coorti pretorie, divenne imperatore il 13 ottobre 54 d. C., e governò per i primi anni (il cosiddetto “quinquennio felice”) in pieno accordo con i due suoi precettori, Anneo Seneca, espressione del ceto senatorio, e il prefetto del pretorio Afranio Burro. Ma in seguito Nerone cambiò volto, cercò il favore della plebe e manifestò la sua indole istrionica e sanguinaria Durante un banchetto fece avvelenare Britannico, in cui vedeva un pericoloso rivale, ma la morte fu attribuita a malori di cui lo sfortunato soffriva fin da ragazzo.

«Eliminato Britannico, morire toccava ormai a me» scrive Agrippina con una tetra previsione del futuro che l’aspettava.

Dopo aver cercato di neutralizzare il potere della madre allontanandola dal Palazzo e privandola della guardia del corpo, Nerone decise di porre drasticamente fine alla sua invadenza e mise in atto la sua decisione. Il tentativo di far affondare la nave che la riportava a casa dopo un banchetto dove il figlio l’aveva invitata mostrandosi falsamente affettuoso, fallì e Agrippina era riuscita a salvarsi a nuoto e a raggiungere la sua residenza. Era l’anno 59.

Qui termina il racconto delle memorie scritte da Agrippina. Prevedendo la sua fine lasciò un biglietto alla liberta Caenis (che trascriveva in bella copia gli scritti della sua padrona) pregandola di aggiungere i particolari della sua morte, di conservare i rotoli delle sue memorie e metterli al sicuro. Da quanto lei scrisse sappiamo che Nerone quella notte stessa ordinò che fosse uccisa. Fece poi circolare una opposta e complicata versione dei fatti.

La fidata liberta ripose le memorie in un recesso e le consegnerà a Vespasiano che prese il potere dopo i tre imperatori che seguirono la morte di Nerone. Ora è possibile leggerle attraverso il lavoro di Carandini che con lo sguardo e l’animo di una donna ha saputo raccontare con profonda sensibilità e introspezione i fatti. C’è molta chiarezza di sintesi nei giudizi che l’Autore scrive attribuendoli a Agrippina.

Il volume è arricchito da illustrazioni e tavole, curate da Maria Cristina Capanna e Francesco De Stefano, utili per individuare la posizione dei luoghi della città nominati nel corso della narrazione; per guardare le piantine e i disegni dei templi, dei palazzi, le carte geografiche con le tappe delle conquiste da Augusto a Nerone. Essenziali note e indice dei nomi completano questo saggio di Andrea Carandini, emerito professore di Archeologia e Storia dell’arte greca e romana presso l’Università di Roma La Sapienza, e autore di numerosi e importanti pubblicazioni.

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