Il leader della France Insoumise ha spiegato in un video pubblicato nei giorni scorsi come la situazione politica e sociale francese sia estremamente fragile. Il governo voluto da Macron dopo la sconfitta elettorale di luglio si basa su una precaria alleanza tra il raggruppamento fedele al Presidente della Repubblica, anch’esso attraversato da tensioni, e la destra tradizionale dei Republicains con la tolleranza di fatto dell’estrema destra guidata da Marine Le Pen.

Ricorrendo alla nota tesi degli studiosi degli effetti caotici secondo la quale il battito delle ali di una farfalla può creare una tempesta in un’altra parte del mondo, Melenchon ha indicato come già nelle prossime settimane l’assetto voluto da Macron possa entrare in crisi. Il governo Barnier potrebbe non riuscire a far approvare la previsione di bilancio per il 2025 trovandosi a dover aprire una crisi di governo dagli esiti imprevedibili. La stessa tolleranza dell’estrema destra è sempre appesa al filo delle convenienze politiche del Rassemblement National. La Le Pen che, oltre tutto, rischia in caso di condanna nel procedimento legale in corso di non potersi candidare alle prossime presidenziali, deve dimostrare contemporaneamente di rimanere un partito anti-establishment ed avere la giusta ragionevolezza per potere diventare un partito di governo.

Il contesto politico dagli esiti imprevedibili, frutto delle scelte irresponsabili e contraddittorie di Macron (con l’unica bussola di non far mettere in discussione le sue scelte economiche a favore delle classi dominanti), si accompagna ad un quadro economico difficile. Il bilancio presenta un forte deficit al quale il governo reagisce con il rilancio di politiche di austerità mentre crescono le crisi industriali e si cominciano a prevedere centinaia di migliaia di possibili licenziamenti. La Francia, come la Germania, sembra una nave senza timoniere alle prese per altro con i possibili effetti negativi della imminente presidenza di Donald Trump.

La France Insoumise (LFI) si muove in Parlamento cercando di orientare l’insieme delle forze che compongono il Nuovo Fronte Popolare e compiendo a volte forzature e strappi. Può contare sul fatto che le altre componenti non hanno ancora definito con chiarezza una possibile alternativa strategica. Il Partito Socialista resta diviso e soffre il rischio di una eccessiva subordinazione a La France Insoumise. I comunisti si sono collocati con la leadership di Roussel su una strada che sembra guardare più alla ricostituzione di un modello di relazioni con la società improntata alla nostalgia del passato (nel quale i comunisti erano molto più forti di ora) piuttosto che far fronte ai mutamenti avvenuti. Si pensi alla recente decisione di dar vita ad un “federazione di cacciatori comunisti”. I Verdi risentono della evoluzione dei confratelli tedeschi pronti a qualsiasi concessione ai loro residui principi pur di restare nel prossimo governo, che sarà quasi certamente dominato dai conservatori.

Melenchon ha come orizzonte le prossime elezioni presidenziali, previste nel 2027, e sembra certo che tenterà per la quarta volta la scommessa dell’ascesa al ruolo politico chiave della quinta Repubblica. In un recente discorso all’Istituto La Boetie (collegato a LFI) ha delineato la propria strategia con alcuni elementi nuovi di un certo interesse.

Dopo aver rivendicato di essere in pratica l’unica forza della sinistra radicale in Europa ad avere perseguito una politica vincente, a differenza di partiti come Syriza o Podemos, ed avere trattato con qualche disprezzo i suoi alleati del Nuovo Fronte Popolare, ha confermato la sua visione di una ineluttabile tendenza alla radicalizzazione dello scontro politico tra estrema destra e sinistra radicale. Ovvero tra RN e LFI. La sua lettura che, in forme diverse, si è andata via via delineando, è quella di una traduzione francese dell’ispirazione populista. Da un lato il “degagisme”, l’idea che vi sia una forte spinta anti-establishment che possa essere incanalata nel momento elettorale, dall’altra la convinzione che ormai il classico conflitto di classe sia superato, sostituito invece da una possibile attivazione del “popolo”, soprattutto quello delle realtà urbane. Per questo un certo uso della radicalità, combinato con una capacità di manovra politica anche spregiudicata, è considerato fondamentale nel progetto politico della France Insoumise.

Melenchon ha esplicitamente riconosciuto di avere cambiato opinione su un importante elemento di analisi da cui deriva anche una netta correzione strategica. Negli anni scorsi l’esponente della sinistra francese aveva lanciato la formula dei “faches pas fachos” riferendosi agli elettori dell’estrema destra. Si trattava in sostanza di arrabbiati e non di fascisti. Vale a dire che il loro spostamento elettorale era più una reazione alle politiche socialiste che avevano abbandonato molte delle promesse politiche di sinistra per allinearsi con i dogmi del neoliberismo, piuttosto che una reale adesione alle idee della destra.

Dato che nel caso di Melenchon le analisi non sono una pura esercitazione accademica ma si traducono in strategia politica, questa tesi si è tradotta in un tentativo di andare direttamente alla conquista degli elettori della destra, adattando la propria narrazione e la propria strategia comunicativa. Ad esempio spostando, in una delle sue campagne elettorali, tutto l’accento sull’identità nazionale (bandiere tricolori, La Marsigliese) piuttosto che sul tradizionale simbolismo della sinistra radicata nel movimento operaio (bandiere rosse, L’Internazionale). Analogamente, Melenchon provò a battere la Le Pen sul suo terreno andando a candidarsi nella circoscrizione del nord dove veniva eletta. Alla fine la sfida venne persa e le analisi dimostrarono che il voto ottenuto alle presidenziali restava basato sul consenso di elettori orientati a sinistra.

Ora viene decisamente archiviata la convinzione che il voto dell’estrema destra sia solo un voto di protesta e non invece anche radicamento di una visione della società. Ma, cambiando l’analisi diventa anche necessario cambiare la strategia. Nella concezione della France Insoumise di una radicalizzazione e polarizzazione crescente dell’elettorato sui due versanti non avrebbe senso tentare di spostarsi verso posizioni più moderate per conquistare quell’elettorato che ha votato Macron. Un’idea che invece continua a serpeggiare tra i socialisti, tra i quali si affacciano candidati, compreso l’ex presidente Hollande, che sembrano del tutto fuori sincrono rispetto alla sensibilità popolare.

Ma con una sinistra che raccoglie complessivamente un terzo dei voti (e al suo interno LFI ne raccoglie un terzo, pur riuscendo a svolgere effettivamente un ruolo politicamente dominante) è evidente che occorre ampliare il bacino elettorale. Date le tendenze in atto in quasi tutti i paesi del capitalismo (post)democratico che vedono un forte aumento degli astenuti, questi vengono visti come la chiave di ogni possibile vittoria.

Melenchon, considerando le analisi sociologiche che hanno esaminato questo variegato arcipelago, è consapevole che non basta parlare genericamente di astenuti, i quali sono una massa informe. La tesi di fondo è che questi tendano ad allinearsi all’orientamento politico dominante nel contesto in cui vivono. Laddove il voto si orienta prevalentemente a destra anche gli astenuti, se decidono di diventare elettori, tendono a muoversi nella stessa direzione. In molti casi le tendenze elettorali sono di lunghissimo periodo. Melenchon ha portato l’esempio della Correze, una regione della Francia tradizionalmente divisa a metà, con la parte cattolica che vota a destra e la parte protestante che vota a sinistra. Collocazioni che a volte risalgono già alle fratture determinate dalla Rivoluzione francese. Occorre quindi conquistare gli astensionisti laddove il voto si orienta già prevalentemente a sinistra. Il successo della prossima quarta sfida delle elezioni presidenziali sarà affidata alla conquista di nuovi elettori.

Un ultimo elemento sollevato da Melenchon nel suo discorso riguarda un altro aspetto interessante: la capacità della sinistra di definire in forma sintetica e popolarmente comprensibile l’orizzonte per il quale si mobilita. Se un tempo questo poteva essere definito come “socialismo”, anche se inteso in vari modi e a volte in forma critica rispetto a quello di impronta sovietica. Esso evocava una idea di società relativamente definita nella mente di milioni di persone. Tentativi successivi messi in campo successivamente di trovare nuove formulazioni non ha avuto successo. “Armonizzare i tempi sociali con i tempi della natura”, ad esempio, implica una conoscenza di una serie di ragionamenti complessi e non ha certamente la stessa forza evocativa. La nuova proposta avanzata da Melenchon è quella di prospettare la “Nuova Francia”, nella quale vengano assorbite nuove esigenze sociali. È dichiarata l’intenzione di guardare a quel 25% di francesi che hanno origini familiari, più o meno recenti, provenienti da altri paesi. Ma evidente la forte dimensione nazionale, se non apertamente nazionalista, contenuta nello slogan proposto. Se il socialismo poteva indicare un orizzonte universale, se pure diversamente declinato sulla base delle caratteristiche nazionali, l’obbiettivo della “Nuova Francia” può essere perseguito in un solo paese.

Come si è cercato di tratteggiare, l’impianto delineato da Melenchon, per quanto sollevi perplessità su alcuni punti e resti dubbio se davvero possa vincere la sfida elettorale del 2027 con l’estrema destra, offre in ogni caso riflessioni utili anche al di fuori dell’esagono.

Franco Ferrari

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